Brulotti

L'uomo, un essere desiderante

 

Benjamin Péret
 
Di tutti i sentimenti che agitano il cuore dell’uomo, il desiderio di libertà è certamente uno dei più imperiosi e la sua soddisfazione una delle condizioni essenziali dell’esistenza. È per questo che non ha pace, quando se ne vede privato, finché non l’abbia riacquisita; sicché la storia potrebbe limitarsi allo studio degli attentati contro la libertà e agli sforzi degli oppressi per scuotere il giogo che è stato loro imposto. Se il desiderio di libertà è a tal punto ancorato nel cuore dell’uomo, non è paradossale che egli se la sia lasciata strappare più di una volta? In realtà la sua sparizione brutale, provocata da violente crisi, sembra essere subita solo qualora la dinamica che vi conduce passi inosservata. Il fatto saliente, l’accidente della storia, rendono il pericolo imminente e sensibile per tutti; ma le forze in azione hanno già acquisito un’autonomia sufficiente affinché il movimento, una volta lanciato, prosegua automaticamente fino alle sue ultime conseguenze. Così, nessuno poteva immaginare che la tradizionale divisione del lavoro in seno alla famiglia, superando il suo ristretto ambito, avrebbe generato un giorno la schiavitù e poi la spietata società capitalista, sotto molti aspetti ancora più atroce del precedente sistema di sfruttamento.
In effetti, accade tutto come se l’uomo non abbia mai tanto aspirato alla sua libertà se non nel momento in cui la perde; certo perché essa costituisce, per lo spirito come per il cuore, l’ossigeno senza il quale non può sopravvivere. Se l’essere fisico non può vivere senz’aria, l’essere sensibile può solo indebolirsi e degenerare senza libertà.
Considerata in tal modo, essa diventa un elemento quasi fisico, acquisendo un valore inestimabile allorché vada incontro a rarefazione. È una concezione rudimentale, quasi animale, della libertà. Tant’è vero che l’individuo, finché non giungerà ad elevarsi al di sopra d’un tale livello, sarà facilmente privato di questa libertà elementare, che, quando viene a mancargli, lo rende totalmente incapace di vedere oltre la gabbia in cui è rinchiuso. Prima conclusione: si deve prendere coscienza della libertà che si è conquistata e difenderla gelosamente da ogni attacco.
L’esortazione di Danton: «Audacia, ancora audacia, audacia sempre!» è lontana dall’aver perso la sua attualità. Nei fatti, la sola colpa dell’uomo è stata la sua pusillanimità. La sua sete di libertà non sarà mai eccessiva. Egli deve suscitarla, stimolarla ogni giorno di più, affinché la concessione strappata ieri gli serva domani per reclamare ancora di più, e questo fino alla sua completa soddisfazione. Ma l’uomo, potrà mai conoscere la sazietà? Ciò starebbe a dire che i desideri umani sono limitati o che, come sostiene Marx, si può ammettere una fine della storia. Tutto va contro una tale asserzione. L’uomo è prima di tutto un essere desiderante, le cui aspirazioni sono ostacolate da tanto di quel tempo che egli ne conserva solo una coscienza intermittente. Ora, non si potrà fondare niente di vivo e stabile, niente che possa estendere il campo magnetico dello spirito e del cuore, al di fuori del prolungamento crescente di questi lampi di coscienza e della loro intensità. Fintantoché il «più luce!» di Goethe morente non sarà diventato per tutti la regola di ogni giorno, la libertà illuminerà solo i topi occupati a minare l’edificio in cima al quale essa scintilla.
 
[Benjamin Pèret, Que fut le quilombo de Palmares?, 1955]