Brulotti

La spirale della disperazione

Bernard Charbonneau
 
Chi fa un passo in più sulla strada della verità — di ciò che è o deve essere — lo fa da solo. Le informazioni, la cultura che ha ricevuto, sono d'altronde solo materiale di questa eccedenza. Eppure, l'energia che spinge il suo individuo in avanti, sorta dalle profondità sue e dell'uomo, fonte di una seconda nascita, è ben precedente alla propria. È lo spirito a costringerlo a distinguersi dal dato: a ricercare il vero al di là del falso, a trarre il sensato dall'insensato, il buono dal cattivo, l'utile dall'inutile.
Di più, per cui da solo. Questo fatto, nel definire la condizione primaria di ogni libertà e possibilità di progresso umano, fissa il prezzo intollerabile che l'individuo deve pagare. Perché questo passo lo fa uscire dalla truppa dei suoi fratelli. Anche non scandaloso, pubblicamente maledetto, magari perso di vista. Automaticamente, lui non è più là per gli altri. Solo, più del folle che cova l’illusione di un pubblico immaginario; poiché, fra altre forze dello spirito, è la ragione a guidarlo. E volendo proclamare la sua scoperta, ammutolisce.
Come in un incubo, la sua parola — il suo grido — non riesce ad uscirgli dalla gola. Dal sonno di tutti qualcuno si sveglia: «La nostra casa brucia!». Oggi è anche peggio. Perché si tratta della sola che potremmo abitare insieme: vivere liberi sulla terra. Parola terribile quella di uno solo, che non può essere urlata a squarciagola. Ricacciata in gola e in testa, si strozza. Unico rimedio per liberarsene: le parole, a qualcun altro, oppure tracciate sulla carta. No, io non sono solo, io parlo, scrivo la stessa lingua di generazioni di uomini. Se sono solo, lo sono con loro quando per loro mi batto corpo a corpo con le parole, le leggi e le ragioni del linguaggio. Se anche nessuno mi ascolta, quanto meno, fuori di me, quei segni saranno là, nero su bianco. Può darsi che...
No, non l’ho sognato, l’ho detto, scritto persino; l’opera di ogni vita è là, abbandonata, come un frutto caduto dall’albero. Ho dovuto parlare, ma per questa ragione, in mancanza del sì ho ottenuto un no impronunciabile. Io resto solo, reso muto dalla mia parola, con nessuno accanto, nessun pubblico a riconoscerne il contenuto. Mi indignerò, ne soffrirò? — Non l’ho detto per essere riconosciuto, ma perché era vero, per me e non solo. E la sola gloria viene dall’alto, non dal basso: dalle tenebre di piombo della materia fisica o sociale. Successo o fallimento, che importa! Il senso delle mie parole supera il mio individuo. Io non sono un autore, un «creatore» come si dice, ma un portatore, il messaggero di un nuovo avvento.
Solo? — Che c’è di strano? Ho fatto un passo di troppo fuori dai ranghi. Perché dovrei indignarmi, perché la mia società rifiuta di accettare un’opera che la mette in discussione? Vengo ignorato? — Ma sono io ad aver scartato dalla strada maestra. È il prezzo pagato per le gioie e il senso che la ricerca del vero ha dato alla mia vita. È il mio dovere, la mia dignità. La mia virtù, quella che fino in fondo avrà orientato e guidato in avanti la mia vita. Ma un uomo può valere obbedendo al solo imperativo dello spirito? Per fortuna, essere solo è anche il mio vizio. Dopo tutto, ciò che ho da dire basta a se stesso. I miei amici, il pubblico, non ne vogliono sapere? — Tanto peggio, sono affari loro; quanto a me, avendo fatto ciò che ho potuto, eccomi in pace con il mio primo giudice: me stesso. Tanto quanto l'imperativo dello spirito, è il mio egoismo ad aiutarmi. 
Sfortunatamente, il contenuto stesso delle mie parole mi spinge a fare un passo in più. Dato che la forza che mi costringe ad essere solo non è la mia, se lo sono è per gli altri. Non sono un folle, murato nel proprio isolamento, tutta un'opera verificata nell'arco di una vita è là a testimoniarlo.
Io non sono che il portatore di una notizia importante ed urgente: la terra e la libertà dell'uomo sono in gioco. Non è solo la mia, ma la nostra, questo per molteplici ragioni spirituali nonché materiali. Allora, di nuovo, scopro quanto sia terribile non poter trasmettere questa verità che ha costituito il senso e la passione della mia vita. Per fortuna non sono un santo, bensì un egoista...
 
 
[scritto verso il 1990, poi in Une seconde nature, 2012]