Brulotti

La stura 2.0

 

«Migliaia di gruppi ti urlano dattorno,
ti chiamano,
lodano la calda patria: la mandria.
Di': non hai avuto nostalgia della stalla,
della calda stalla, dove non è solo la greppia ad attirarti
– bastano i prati –
no, dove è il calore animale dei corpi,
quel familiare "muh" insieme al senso della profonda umana comunanza?
Gridano:
In fila!
Nell'associazione!
Gridano:
L'era dell'individuo è tramontata,
è una moda che più nessuno porta!
Vincolo volontario!
Pappa molle! – gridano – stravagante! eterno indeciso!
Vieni da noi!
All'ordine! all'ordine!»
Kurt Tucholsky
 
 
A quanto pare La stura, articolo apparso su questo sito lo scorso 20 maggio, ha suscitato reazioni alquanto contrastanti. Se è stato apprezzato da alcuni, al punto da essere ospitato su blog e altri siti e tradotto in altre lingue, ha scatenato l'isteria ed il livore di altri che si sono sentiti punti sul vivo. Nello specifico è stato preso come un affronto personale da parte di alcuni anarchici affetti da una curiosa sindrome che in Francia, paese dove dicono fosse assai diffusa negli ambiti sovversivi, è nota sotto il nome di "nombrilisme". Un miscuglio di egocentrismo e mitomania che induce a reputarsi l'ombelico dell'universo: qualsiasi cosa accada nell'ambiente più o meno circostante deve provenire o essere indirizzata alla propria persona. 
Ne La stura codesti anarchici non hanno letto una critica al dilagare del dissociazionismo, e ad una certa mentalità che purtroppo ne favorisce lo sviluppo, bensì una pretestuosa diffamazione nei loro confronti, un «subdolo attacco» (sic!) alla pubblicazione che curano. Qualcuno con tanta boria e poco cervello ha provato a zittire alcuni redattori di Finimondo buttandola in rissa. Quando gli argomenti scarseggiano, meglio agitare le mani, e farlo in fretta, prima che la propria mancanza di argomenti affiori in tutta la sua povertà. Mossa decisamente sbagliata. Così abbiamo deciso di tornarci sopra, tanto per far capire a tutti i capibastone ed ai loro tirapiedi che avranno bisogno di ben altro ardire per tentare di ridurci al silenzio.
Da quel che abbiamo capito, pare che la cosa che ha fatto perdere le staffe a costoro sia stata il riferimento a due slogan — "si parte e si torna insieme" e "condivisione o Stato" — che sostengono essere inconfondibile marchio della propria impresa, essendo i titoli (hanno tenuto ad informarci!) di altrettanti articoli apparsi sul loro giornale. La cosa è a dir poco ridicola, in primo luogo perché gli estensori del testo oggetto di tanta indignazione – La stura – non leggono il giornale in questione e non sono interessati a farlo nemmanco in futuro. Tornando ai due slogan intoccabili, il primo è un detto (un tempo orgoglioso patto di sangue criminale, oggi ridotto a miserabile diktat civico-collettivista) oramai dilagante in molti contesti. Basterebbe distogliere lo sguardo dalla contemplazione del proprio ombelico per scoprire come sia perorato da diverse realtà, dagli anarchici agli autonomi, dai disobbedienti ai sinistri più riformisti. Ma per i poveretti anarco-nombrilisti esso è l'indiscutibile indice di gradimento della loro popolarità. 
Ancora più ridicola, se così si può dire, è la reazione scomposta circa il riferimento al secondo slogan "condivisione o Stato", diventato già da qualche tempo un intercalare comune, un'espressione ripetuta da molti compagni in parecchie occasioni, financo a tavola durante i pasti a mo' di celia.
 
Ma veniamo al punto che qui ci interessa ribadire. Fino a qualche anno fa, almeno in buona parte del movimento anarchico, la dissociazione da un atto individuale di rivolta era considerata esecrabile in quanto negava e condannava l'individuo e la sua libertà d'azione, il suo libero arbitrio, la sua iniziativa autonoma. Ovvero, tutto ciò che veniva maggiormente difeso. Se oggi la dissociazione è diventata un atto a malapena opinabile, evidentemente è cambiato qualcosa. Cosa? A nostro avviso che al centro dell'attenzione non ci sia più l'individuo, ma la collettività, la cui forza d'urto è obbligatorio salvaguardare e difendere. Ora, quando la dimensione collettiva prevale su quella individuale al punto d'annullarla, quando il bene comune diventa più importante delle cattive intenzioni singolari, la dissociazione dagli atti individuali di rivolta diventa una possibilità sempre più concreta. Di più, quasi una ovvietà fin troppo facile da prevedere. Più ci si ostina a ripetere che il singolo si deve piegare alle esigenze dei tanti, più è facile che i tanti mettano i singoli recalcitranti alla porta. E allora, che fare? Ciò spiega come mai da qualche anno a questa parte, in occasione di comunicati di dissociazione e condanna di alcuni atti di sabotaggio, la reazione non sia stata più di rabbia e disprezzo, ma di conveniente e accorto silenzio. Piuttosto che sputare in faccia a chi condannava il sabotaggio, si è preferito fare finta di nulla pur di continuare a tessere rapporti di amicizia politica. Ciò cosa ha provocato? Che nella testa di molti, di troppi, chi si dissocia non è più qualcuno da evitare, bensì qualcuno da accettare comunque, nel migliore dei casi da tollerare ma con cui è pur sempre possibile "collaborare".
Ed a creare questo clima mentale hanno contribuito, come sempre accade nelle mutazioni di sensibilità, assai più le frasi fatte e i modi di dire che i grandi discorsi teorici (che ormai non interessano più di tanto). Ora, la questione che nessuno, ma proprio nessuno, può eludere è: dopo aver sostenuto che solo l'azione collettiva è in grado di trasformare la realtà, perché stupirsi di fronte a chi liquida l'azione individuale? Dopo che la dissociazione diventa un fatto meramente opinabile ed i dissociati restano persone con cui confrontarsi e all'occorrenza fare delle cose insieme, dopo che si è teorizzato che la violenza non deve essere separata (pena il diventare avanguardisti) ma condivisa, perché stupirsi se anche qualche "compagno più vicino" decide di mettere i puntini sulle i? Dopo che si sottolinea l'importanza del partire e tornare insieme, perché stupirsi se chi vuole partire e tornare quando cazzo gli pare viene messo all'indice e guardato con sospetto? Dopo aver reso luogo comune la secca alternativa fra la condivisione o lo Stato, perché stupirsi se qualcuno bolla come provocatori prezzolati coloro che non hanno bisogno di attendere alcuna decisione assembleare per passare ai fatti nel corso delle manifestazioni e anche fuori?
Più si sacrifica la libertà individuale in nome della efficacia collettiva, e più si spalancano le porte a queste derive. Ma a quanto pare c'è chi non tollera che si faccia notare come ogni linguaggio produca determinate conseguenze che, intenzionali o meno che siano, risultano inevitabili a partire da certe premesse. 
Noi, invece, ora sappiamo che i metodi da racket non sono più una esclusiva dei gruppi autoritari (grazie anche e soprattutto all'ignavia di chi, pur affermando di non condividerli, si guarda bene dal contrastarli, preferendo restare a distanza, muto spettatore). Del resto, ben lo sapeva la saggezza "popolare", che chi va con lo zoppo... 
 
[10/7/12]