Brulotti

Mollate tutto

Annie Le Brun
 
«...vivo nel terrore di non essere incompreso..»
Oscar Wilde
 
«Vorrei parlarti cristallo incrinato ululante come un cane
in una notte di lenzuola sventolanti...»
Benjamin Péret
 
A sedici anni ho deciso che la mia vita non sarebbe stata quella che altri avrebbero voluto che fosse. Questa determinazione e la fortuna, forse, mi hanno permesso di evitare la maggior parte degli inconvenienti legati alla condizione femminile. Se mi rallegro che le ragazze manifestino sempre più il desiderio di rifiutare i modelli loro proposti finora, nondimeno deploro che non esitino a riconoscersi nella negazione formale di quei vecchi modelli, quando ciò non è che una mera riproposizione di questi in chiave moderna. Mentre oggi ci si compiace di ripetere un po’ dovunque che donne non si nasce, ma si diventa, sembra che non ci si preoccupi affatto di non diventarlo. Anzi, tutt’altro. Al contrario delle femministe del XVIII e XIX secolo, che lottavano per cancellare la presunta differenza che investiva gli uomini di un potere reale sulle donne, le neo-femministe degli ultimi anni si sforzano di stabilire la realtà di questa differenza per rivendicare un presunto potere di cui le donne sarebbero state private. E questo a tal punto che la rivolta davanti ad una impossibilità di essere tende a scomparire sotto i colpi dell’idiozia militante, che instaura un obbligo di essere. È necessario ricordare che in materia di rivolta nessuno ha bisogno di antenati — aggiungendo: e soprattutto non di consulenti tecniche preoccupate di scambiarsi ricette di insubordinazione femminile dalla A alla Z?
Davanti alla vastità di crimini perpetrati più o meno legalmente non solo nei confronti delle donne, ma anche di tutti i refrattari alla codificazione sociale dei ruoli sessuali (fra loro, in particolare, gli omosessuali), considero questa rivolta troppo importante per non sentire il desiderio di disturbare il concerto delle voci di coloro, uomini e donne, che pretendono di astrarla dall’oscurità individuale in cui essa prende violentemente corpo e da cui trae le sue forze sconvolgenti. Insisto, questa rivolta è comunque un attacco alla morale della collettività, quali che siano le basi su cui si fonda. Allora, come non vedere che ogni donna si trova oggi virtualmente spossessata di questa ripresa individuale, se non si accorge che ogni sua bizzarria rischia d’essere deviata per servire alla costruzione di un’ideologia tanto contraddittoria nelle sue proposizioni quanto totalitaria nelle sue intenzioni? Eccola più o meno tacitamente incoraggiata da ogni parte ad esporre le rivendicazioni del suo sesso dopo che la cosiddetta causa delle donne esibisce un’immagine della rivolta addomesticata, presa nelle reti della normalizzazione negativa che la nostra epoca è così abile a tendere fin negli angoli più remoti del nostro orizzonte sensibile.
Disprezzando da sempre i padroni che hanno usanze da schiavi come gli schiavi impazienti di calarsi nei panni dei padroni, confesso di non essermi mai curata degli abituali scontri fra uomini e donne. Mi sento attratta piuttosto da coloro che disertano i ruoli approntati per loro dalla società. Essi non hanno la pretesa di costruire un mondo nuovo, ed è in questo che risiede la loro onestà di fondo: non faranno mai il bene degli altri loro malgrado, accontentandosi di essere l’eccezione che nega la regola con una determinazione spesso capace di sconvolgere l’ordine delle cose.
Oscar Wilde mi interessa più di una qualsiasi borghese che abbia accettato di sposarsi e di fare dei figli e che, un bel giorno, si sentisse repressa nella sua molto ipotetica creatività.
Tutto qui.
Non farò l’elenco delle mie preferenze al riguardo: sarebbe inutile ed impietoso per la causa delle donne.
Che io abbia fatto di tutto per dare il minor spazio possibile alle conseguenze psichiche, sociali, intellettuali di un destino biologico, riguarda solo me; ma non permetterò che si tenti di colpevolizzarmi nel nome di tutte le donne per ricondurmi nei recinti dello stesso destino. Questa promiscuità improvvisamente ineluttabile alla ricerca dell’identità di ciascuna minaccia di fatto le donne nella loro libertà più profonda, qualora l’affermazione di una differenza generica venga fatta a spese di tutte le differenze specifiche. Consideriamo con calma soltanto ciò che gli uni e le altre siamo stati costretti a subire indifferentemente in nome di Dio, della Natura, dell’Uomo, della Storia. Eppure sembra che non sia bastato, se tutto ricomincia oggi sotto l’emblema della Donna. Gli specialisti in materia di coercizione sanno quel che fanno moltiplicando con improvviso zelo gli organismi nazionali e internazionali consacrati alla condizione femminile, senza che per questo la legislazione cambi realmente. Non potrebbero d’altronde sbagliarsi di molto dopo che Aragon, cantore della repressione da circa mezzo secolo, ha annunciato che «la donna è l’avvenire dell’uomo». Ho notevoli dubbi su quest’avvenire quando può capitargli di prendere le sembianze di Elsa Triolet [la compagna di Aragon].
In quel che si dice e si scrive nel nome delle donne, vedo ritornare — col pretesto della liberazione — tutto ciò che tradizionalmente ha causato la mutilazione della donna: ci si dichiara contro la famiglia ma si esalta con trionfalismo la maternità che la fonda; si attacca la nozione della donna-oggetto, ma si lavora al recupero promozionale del mistero femminile; infine, se vengono denunciati i rapporti fra uomini e donne come rapporti di forza, è per farne il punto di partenza di una teorizzazione delle più angoscianti battaglie coniugali. Sono altre buone ragioni per rallegrarmi ancora di aver abbandonato definitivamente il vicolo cieco della sensibilità cosiddetta femminile. In più, niente potrebbe farmi rinunciare alla mia naturale avversione per le maggioranze, soprattutto quando sono composte, principalmente nei paesi occidentali, da martiri a mezzo servizio.
Più il baccano di questa epoca si fa assordante, più ho la certezza che la mia vita sia altrove, scivolando lungo il mio amore, le cui figure seppelliscono il tempo che passa. Ti guardo. Ci incontreremo sul ponte della trasparenza, prima di immergerci nella notte delle nostre differenze. Nuoteremo, vicini o lontani, distratti o nervosi, risalendo la corrente del nostro enigma per ritrovarci nell’abbraccio incerto delle nostre ombre fuggenti. Non siamo i soli ad esserci un giorno levati dalla nostra più profonda solitudine per andare incontro ai nostri fantasmi, senza preoccuparci se siano maschi o femmine. E se ci sono appena pochi uomini che non faticano a riconoscersi in questa confessione di Picabia: «Le donne sono depositarie della mia libertà», forse è perché ne va della conquista di un meraviglioso che le donne e gli uomini devono ancora scoprire. Ecco perché non accetto di essere arruolata nell’esercito delle donne in lotta per una semplice combinazione biologica. Il mio forsennato individualismo è perfettamente aderente a tutto ciò che si adopera all’intercambiabilità degli esseri.
Questo libro è un appello alla diserzione.