Brulotti

Corrispondenze

Lettera di René Char a Paul Celan
 
L’Isle-sur-Sorgue, 19 marzo 1962
Caro Paul,
l’ultima lettera che mi hai inviato, un mese fa, rinsalda ancora di più, se è possibile, la mia amicizia per te. Ma a differenza tua, non sono più tormentato da quelle stesse persone che ti sommergono con le loro molestie, da anni ho scavato un sentiero in cui s’ingolfano, una via che misura il loro vuoto. Credono di abbattermi – ma si ammazzano a vicenda… Quando mi chiamano «cuore di gatto», «l’ermetico Char» ecc. (non tarderò a diventare un poeta medievale, un poeta stremato), ecco il movimento immancabile delle sabbie… ma non devio da ciò che è la mia esistenza: una vita ovattata. Il rovescio della poesia è questo odio che accompagna chi la indossa. I nazisti e i vigliacchi, i corrotti e gli incuranti, la certezza di se stessi e una politica da asilo nido, ecco l’impasto con cui viene fatto il pane che vogliono obbligarci a mangiare. No. Se non avessi sperimentato il terribile dell’uomo così spesso, e più di quanto è sopportabile, il mio problema d’enigma, tra gli odiosi enigmi fasulli, non sarebbe più essenziale per me.
Permettimi di augurarti un fitto strato di neve, dove non sei moltiplicato tra le tracce infette.
Ti stringo la mano,
il tuo amico,
René Char
 
Lettera di Paul Celan a René Char (non inviata)
 
Parigi, 22 marzo 1962, 79 rue de Longchamp
Caro René Char,
grazie per la tua lettera – così vera. Grazie per avermi stretto la mano – stringo la tua.
Ciò che mi accade, e scusami se ne parlo ancora, è, credimi, unico nel suo genere. La poesia, lo sai bene, non esiste senza il poeta, senza la sua persona – senza la persona – e, vedi, la mafia, che sia di destra o di sinistra, sa bene come fare per annientarmi. Non posso più pubblicare – sono un isolato, ancora. Tu – sei esiliato nel paese in cui vivi, ma resti nel tuo paese; quanto a me, mi spargo, e si divertono a lapidarmi con… i pezzi di ricambio di me stesso. Non ti sorprenderà sapere che i primi ad averti «trovato» sono gli pseudo-poeti. Molti sono tra i nostri comuni «amici», René Char. (So a cosa mi riferisco, ahimè). Nella loro nullità, ti considerano una fonte di immagini per adornare una parvenza; non ti riflettono; ti oscurano.
Vedi, ho sempre cercato di comprenderti, di risponderti, di stringere le tue parole come si stringe una mano; ed era, ovviamente, la mia mano che stringeva la tua, la dove era certa di non mancare all’incontro. Per ciò che, della tua opera, non si è aperto – o non ancora – alla mia comprensione, ho risposto con il rispetto e con l’attesa: non si può pretendere di conoscere interamente – sarebbe irrispettoso verso lo Sconosciuto che abita – o giunge ad abitare – il poeta; sarebbe come dimenticare che la poesia va respirata; dimenticare che la poesia ti aspira. (Ma questo respiro, questo ritmo – da dove viene?). Il pensiero – muto – si agglutina negli intervalli: esso discerne, non giudica; decide di se stesso; sceglie: custodisce la sua compassione – obbedisce alla compassione.
Perdonami se ho ripercorso i miei passi: mi dici di aver creato il vuoto con i tuoi nemici che sciamano e che si uccidono – sono felice di vederti così forte, così fortificato. Per quanto riguarda il mio vuoto, come il vuoto che mi è stato spalancato intorno, io lo vedo… generatore di tutta una razza di creature che non si possono nominare. E queste creature le vedo feconde: si moltiplicano e si rigenerano; perché la Menzogna sa come perpetuarsi – grazie alle «ninfette» oppure per scissione.
Erranza, Esilio dell’Umano: del Vero…
Paul Celan