Intempestivi

«Inferno o utopia?»

 
È una delle tante scritte comparse nei pressi del commissariato del terzo distretto di Minneapolis, quello andato in fumo nella notte fra il 28 e il 29 maggio nel corso della rivolta provocata dall’omicidio di George Floyd. Non è uno slogan, né un appello, e neppure un grido di battaglia. A fomentare ed eccitare gli animi ci aveva già pensato — ci pensa quotidianamente — il braccio armato dell'autorità, con la sua brutale arroganza. No, quella scritta vergata solleva una questione. Non rivolge una domanda al nemico (come il sarcastico «ci ascoltate adesso?»), pone a chi è sceso in strada un interrogativo su cui riflettere: to hell, or utopia? Qual è il senso di tanta rabbia e tanto furore? Cosa si vuole ottenere? Andare all’inferno, quello della riproduzione sociale, oppure dare vita all’utopia, a qualcosa che sia tutt’altro rispetto a leggi a cui obbedire, merci da acquistare, ruoli cui sottostare, denaro da accumulare, governi da eleggere e a cui delegare?
C'è chi pensa si tratti di un quesito inutile che verrà risolto da sé, superato dalla forza stessa degli avvenimenti, e che indugiare a prenderlo in considerazione fa solo perdere del tempo prezioso che viceversa andrebbe usato per risolvere problemi organizzativi immediati. Comodo determinismo che alleggerisce l'azione, sgravandola dalla fatica del pensiero, e consente di seguire più velocemente («senza tante menate») la corrente trionfale della Storia — anziché sforzarsi ad inventare e realizzare la propria, di storia. 
Eppure, i fuochi accesi a Minneapolis nel corso di quelle notti sono illuminanti anche a tal proposito. Sembra infatti, giacché testimoniato da più parti (anche da non sospettabili di complottismo), che alcuni di quegli incendi siano stati appiccati da estremisti di destra. Se ciò fosse vero, il sospetto ricadrebbe sugli appartenenti a quello che negli Stati Uniti viene ormai definito «movimento boogaloo», sigla guazzabuglio che raccoglie genericamente chi ama comparire in pubblico armato fino ai denti e lanciare infuocati proclami contro la politica del governo. Sebbene al loro interno non manchino sfumature contrastanti, gli estremisti boogaloo sono per lo più suprematisti, miliziani, maniaci delle armi, «survivalisti»… Tutta gente che non nasconde l'intenzione di scatenare una Seconda Guerra Civile in grado di ripulire le strade dalla feccia ed instaurare un «vero governo americano». 
Si dirà che si tratta di puro folklorismo, truce spettacolo mediatico che talvolta può anche fuoriuscire dalla rappresentazione ed assumere forme materiali pericolose — uccidendo una manifestante a Charlottesville nel 2017, ad esempio — ma che in sé non costituisce una vera minaccia sociale. Può darsi, ma... non si potrebbe dire lo stesso di qualsiasi nera rivolta a noi cara? In fondo siamo proprio noi a sostenere che, in determinate circostanze, ciò che in tempi di normalità appare impossibile diventa a portata di mano. Pensiamo davvero di essere gli unici ad aver osservato come basti una piccola scintilla per provocare un grande incendio, o come la fine della pace sociale possa aprire innumerevoli possibilità per rimettere in discussione questo mondo? 
No, certo. E quindi che si fa, per evitare preoccupazioni che intralcerebbero le azioni, ci tranquillizziamo ripetendoci che la situazione per forza di cose evolverà in un senso a noi propizio? Non lo pensiamo. Peggio ancora, poiché i tanti bassi istinti sono molto più facili da provare, condividere ed esaudire rispetto ai rari alti ideali, è assai probabile che se nei periodi di sommovimento ci si limitasse a lasciarsi trasportare dal vento, si finirebbe dritti all'inferno — e non verso l'utopia.
Prendiamo ad esempio la rivolta scoppiata nelle ultime settimane negli Stati Uniti. Non è il frutto della convergenza strategica di più movimenti di lotta, ognuno con una lunga storia alle spalle e una ragionevole bandiera da sventolare sopra la testa, che hanno visto ingrossare le loro fila fino a decidersi di dare all'unisono una spallata al potere. È l'improvvisa deflagrazione provocata da una scintilla verificatasi in un ambiente sovraccarico di tensioni di ogni genere. Ha colto di sorpresa tutti e un po’ tutti hanno cercato di approfittarne (compresi inquilini, ex-inquilini ed aspiranti inquilini della Casa Bianca). Come un tornado, è diventata giorno dopo giorno sempre più potente mutando con una velocità impressionante. Per evitare che travolgesse ogni cosa, e in attesa che esaurisca le proprie forze, le autorità più attente a mantenere la pace sociale sono state costrette a correre ai ripari annunciando profonde riforme (a Minneapolis lo smantellamento del locale dipartimento di polizia, a New York la penalizzazione della stretta al collo). 
Manovra disperata vanificata dallo stillicidio di omicidi commessi in quel paese dagli agenti di polizia, l’ultimo dei quali avvenuto la notte del 12 giugno, due sere fa, quando un altro nero è stato ammazzato ad Atlanta nel corso di un controllo da parte di una pattuglia. Si chiamava Rayshard Brooks e la sua terribile colpa era di dormire nella propria auto all’interno del parcheggio di un ristorante fast-food, con gran disappunto del proprietario del locale che ha richiesto l’intervento della polizia. Ora quel proprietario non avrà più preoccupazioni simili: il suo spaccio di merda è stato incendiato ieri notte, nel corso di una protesta che ha fatto registrare oltre trenta arresti. All’inizio gli agenti si sono giustificati dichiarando che Brooks si era ribellato all’arresto, minacciandoli col loro stesso taser che aveva sottratto durante la colluttazione. Ma poi l’ennesimo video li ha clamorosamente smentiti, mostrando come uno di loro gli avesse sparato alle spalle a distanza mentre cercava di scappare. L’agente che ha fatto fuoco è stato immediatamente licenziato e il capo della polizia di Atlanta si è subito dimessa al fine di «ristabilire la fiducia nella comunità», ma è ovvio che quella fiducia è persa per sempre. Andata letteralmente in fumo.
Lo scrittore nero James Baldwin diceva che «l’impossibile è il minimo che si possa domandare». Dopo l’omicidio di George Floyd nel giro di pochi giorni in tutti gli Stati Uniti folle di persone sono passate da una richiesta comprensibile, come l’arresto dei poliziotti responsabili della sua morte, ad una rivendicazione iperbolica come l'abolizione della polizia. Si tratta di una rivendicazione radicale, ottima per procurar battaglia (come scoperto dal sindaco di Minneapolis, il quale è stato insultato ed allontanato da un incontro pubblico per essersi rifiutato di appoggiarla). Ma se a furia di essere ripetuta diventasse conseguente — non più una provocazione momentanea per aprire le ostilità, bensì un obiettivo da realizzare — dove porterebbe una simile rivendicazione? All’inferno di una sicurezza la cui garanzia sarà contesa fra gruppi di autodifesa (modello sinistro, gli Asayish curdi) e movimento delle milizie (modello destro, gli Oath Keepers statunitensi), o all’utopia di una libertà che non offre alcuna garanzia, alcuna sicurezza, e dove spetta ad ognuno il compito di badare a sé, a chi ama, a chi sente vicino? Per altro, a quale nuova autorità affidare il compito di decretare tale abolizione? Lo stesso autore di La prossima volta, il fuoco ricordava che «la libertà non è una cosa che si possa dare; la libertà uno se la prende, e ciascuno è libero quanto vuole esserlo». Per cui l’impossibile è sì il minimo che si possa chiedere, ma solo perché — essendo una richiesta inaccettabile — permette di smettere di chiedere ponendo fine ai negoziati.
Che dei politici tentino di cavalcare la rivolta, che in mezzo ad essa si possa trovare di tutto, ciò non può stupire nessuno. Ma questo non significa restare indifferenti. I politici vanno disarcionati, non importa quali riforme istituiscano, quante dimissioni pretendano, che regole di ingaggio modifichino. I militanti autoritari vanno neutralizzati, non importa quali siano le loro intenzioni. Nel vecchio continente la differenza fra autorità e libertà non scompare all'interno delle composizioni «anticapitaliste», così come nel nuovo mondo non scompare all'interno delle composizioni «antigovernative». 
Inferno o utopia — o l’uno o l’altra. Ignorarlo o confonderli significa ottenere al massimo la possibilità di venir arrestati un domani per aver cercato di smerciare una banconota di 20 dollari, ma con sopra l'immagine della schiava ribelle nera Harriet Tubman anziché del presidente schiavista bianco Andrew Jackson.
 
[14/6/20]