Brulotti

Che scandalo!

[Joseph Déjacque]
 
Viviamo in un’epoca di decadenza. Il mondo è popolato da cadaveri ambulanti. Tutto ciò che si muove, si muove lentamente. Una sovrana indolenza grava sulle nazioni e sugli individui. Tuttavia, guardando in profondità dentro questo carnaio umano, si scorge la vita sotterranea agitarsi, pullulare e ogni tanto avventurarsi in superficie. Il nostro è un secolo di transizione; sotto la sua apparente inerzia si opera una immensa trasformazione. Non è ancora la morte completa del vecchio ordine sociale ed è già l’inizio di quello nuovo. L’operazione, pur latente, nondimeno è reale. Governo, proprietà, famiglia, religione, tutto ciò che componeva l’organismo delle società civilizzate marcisce e va in putrefazione. Non c’è più morale; la morale del passato non ha più linfa, quella del futuro è appena un germe. Ciò che per uno è bene, per l’altro è male. La giustizia non ha altro criterio che la forza; il successo legittima tutti i crimini. Il pensiero come il corpo si prostituisce nel commercio degli interessi mercantili. Non ci sono più gioie possibili, se non le gioie del bruto. La dignità, l’amicizia, l’amore, sono banditi dai nostri costumi, giacciono separati l’una dall’altro, oppure muoiono strangolati allorché cercano di farsi largo attraverso questa società ufficialmente borghese.

Non c’è più né grazia né bellezza in questo mondo, né ingenuo sorriso né delicato bacio. Al sentimento dell’arte si è sostituito il gusto per l’ignobile ed il grottesco. La società, nella sua decrepitezza, ha fatto ricorso a sanguinose flagellazioni per sovreccitare la sua vecchia carcassa e darsi ancora di tanto in tanto raccapriccianti sembianze di virilità. L’atonia e la cancrena hanno smorzato ogni sua facoltà per il lavoro come per il piacere. Non sa più godere di nulla. Per essa, il lavoro è una pena e il piacere un lavoro. Non sa quel che vuole né ciò che non vuole. Tutto le pesa; vacilla e si accascia nel vizio e nelle viltà. Vorrebbe uscire da questo orribile incubo, scuotere il fardello di degradazione che la soffoca; ha fretta di risvegliarsi; sa che per annientare questa oppressione deve solo alzarsi in piedi, ed è talmente snervata da non aver la forza di sollevarsi, né il coraggio di vincere il proprio torpore. E tuttavia l’idea fermenta in essa, e la illumina interiormente nel suo sonno, in attesa che sia abbastanza potente da farle aprire gli occhi e irradiarsi dalla sua pupilla. Un lembo della sua vita, il suo abito carnale, è preso nel sepolcro del passato; un altro lembo, il suo spirito, ondeggia al vento dell’avvenire. 
Due maniere di agire si presentano a chi vuole diffondere delle idee. Una è la discussione pacata, scientifica, di chi, senza nulla abdicare dei propri principi, li espone e li commenta con squisita cortesia, con ferma moderazione. Questo procedimento consiste nell’infiltrare goccia dopo goccia la verità in intelligenze già preparate, intelligenze d’élite, ancora preda dell’errore ma animate di buona volontà. Missionari della Libertà, predicatori dallo sguardo sorridente, dalla voce suadente (ma non ipocrita), versano col miele della loro parola la convinzione nel cuore di chi li ascolta; iniziano alla conoscenza del vero quanti ne hanno la consapevolezza. L’altra è la discussione acerba, anch’essa scientifica, ma che, piantata nei principi come in una cotta d’arme, si arma dello Scandalo come di un’ascia per colpire ripetutamente i crani bardati di pregiudizi, e costringerli a smuoversi sotto il loro spesso involucro. Per i suoi sostenitori, non ci sono parole abbastanza pungenti, non ci sono espressioni sufficientemente taglienti da far volare in frantumi tutte quelle ignoranze d’acciaio temperato, quella pesante e tetra armatura che acceca e rende sorde le goffe masse popolari. Si servono di tutto — del dardo acuminato e dell’olio bollente — per far sussultare fin nell’intimo e sotto le loro scaglie di tartaruga quelle intelligenze apatiche, e far risuonare straziandoli quei temperamenti che non vibrano. Girovaghi aggressivi, dannati ed erranti portatori alla dannazione, camminano, insanguinati e sanguinanti, col sarcasmo sulle labbra, con l’idea nella mente, con la torcia in pugno, attraverso gli odi e gli schiamazzi, verso la realizzazione del loro compito fatale; essi convertono come converte lo spirito dell’inferno: con il morso e con il fuoco. 
Entrambi i modi di procedere sono buoni e utili, a seconda del genere di ascoltatori che si incontrano lungo la strada. Ci vogliono sia gli uni che gli altri. Per gli uni e per gli altri è questione di temperamento, e dipende dalla condizione nella società attuale. Si può anche essere alternativamente l’uno e l’altro, a seconda della disposizione di spirito o dell’ambiente in cui ci si trova. Gli uni come gli altri, se non inciampano nei principi, se restano fermi nella libertà, sono gli agenti provocatori della Rivoluzione. Solo che, nelle nostre società civilizzate, in pochi sono disposti ad ascoltarli, in molti fanno orecchie da mercante, ed è con lo Scandalo che si sfondano i timpani. 
Del resto, come non usare parole forgiate con la lingua del disprezzo per penetrare in questo letamaio di mondo in cui si pavoneggiano, come funghi velenosi, le tonde e piatte facce dell’ignominia borghese. Si può forse usare altro dei denti di un forcone per parlare a queste vegetazioni di materie legali? Possiedono forse una coscienza o un pensiero? Come può un individuo di cuore vivere in una simile società? Si chiama vivere trascinare i propri giorni in mezzo a questa calca immonda? È colpa mia, è colpa nostra, che abbiamo nel cuore la poesia dell’avvenire, se la natura ci ha donato un temperamento per amare, un’intelligenza per il bene, un entusiasmo per il bello, e se ad ogni passo non incontriamo che deformità intellettuali ed etiche? È colpa nostra se in una simile società non abbiamo da dispensare che l’odio, se non possiamo nutrirci che di disgusto? 
Oh Scandalo! Furia vendicatrice, sii sempre mia compagna finché il mondo sarà il vecchio mondo, finché l’obesità e l’oscenità borghese si dispiegheranno senza correre rischi sullo sfruttamento, finché il servilismo ed il cretinismo operaio strisceranno sul solco e sotto la cavezza del capitale! Si, ci vogliono quelli come me, quelli come noi — i maledetti, i ribelli — per camminare inflessibili nella direzione del progresso, per rimuovere i blocchi inerti, per affrontare le valanghe di sassi e spianare la strada a chi ha il medesimo scopo, ma fa propaganda con forme meno irritanti, con epiteti più pacifici. Scandalo, a te la mia penna e le mie labbra! È attraverso te che la vergogna entra nel cuore dell’uomo. È attraverso te che il suo spirito si risveglia alla luce. È attraverso te che il cattivo trema e che il buono spera. Se c’è ancora, o piuttosto se c’è già qualche pudore nel mondo, è a te che lo si deve. Sei tu che costringi i nemici della nuova idea a servire questa idea criticandola. Presto o tardi la verità si libera dalla contro-verità, alla lunga ha ragione dei suoi detrattori. Solo il mutismo le nuoce, e sei tu, Scandalo, che imponi la parola ai muti e, volenti o nolenti, li costringi a farsi gli araldi di ciò che perseguitano. Scandalo, sei più potente di tutte le autorità del mondo ufficiale. I re ed i borghesi, gli imperatori e i loro sudditi possono solo mettere il bavaglio della morte sulla bocca degli uomini; tu, voce stridente, fibra elettrica, fai parlare perfino chi non lo vuole! 
 
 
[Machete, n. 2, aprile 2008]