Brulotti

Prostituzioni

«Onore a quelle che preferiscono eroicamente la morte all’infame prostituzione… Il mio cuore di donna le glorifica. Ovviamente comprendo che una donna abbia un amico o dieci amici, se ciò le aggrada. Ma concedersi senza desiderio, per un pezzo di pane… commercio odioso che la stessa scusa dell’amore materno non può purificare»
Libertaire, 29 luglio
 
È in un articolo le cui idee in generale mi sembrano eccellenti, che Félicie Numietska scrive questo paragrafo.
Che questa compagna non provi il desiderio di andare ad offrire il suo corpo al passante in fregola, che la maggior parte delle donne la pensi alla stessa maniera, lo capisco molto facilmente.
Ma, che pensare dell’idea di stare piegate dodici o quindici ore a cucire, di andare a sfinirsi in laboratori malsani dove per due o tre franchi le donne stirano, cuciono, battono a macchina, inscatolano zucchero o dolci in stanzoni senz’aria e con una temperatura pari a quella di una serra…
Non è prostituire le proprie braccia? Non è prostituire la propria forza, la propria salute, la propria gioventù? Dedicare ore ed ore a simili lavori non è prostituirsi del tutto?
E non è prostituire il proprio cervello insegnare ai bambini cose notoriamente false, scrivere libri ed articoli non per la gioia di diffondere le proprie idee, ma per guadagnare denaro?
Che alcune donne preferiscano prostituire il loro sesso, che alle dodici o quindici ore di laboratorio preferiscano le due o tre ore necessarie ad adescare qualche maschio che contribuisca al loro sostentamente, in ciò non vedo null’altro che una delle tante forme di prostituzione. Che ciò possa spiacere a certe donne più che ad altre, è solo questione di temperamento e di gusti. Non è più onorevole impiegare le proprie mani ad acconciare artisticamente inutili merletti piuttosto che prestare il proprio sesso all’uomo che passa, affamato d’amore.
Félicie Numietska, che prova un simile orrore per il traffico di quella parte del suo corpo, sembra dimenticare un punto importante.
Per sua stessa ammissione, ha poca importanza il numero di amici che gioiscono del corpo di una donna e quella non è prostituzione, la quale consiste nel fatto di vendersi.
Da ciò deriva chiaramente che la prostituzione della donna ad un solo uomo sia degna di repulsione quanto la prostituzione a dieci, venti, cento... o a quanti si vuole.
Ma allora la maggioranza delle donne sono prostitute, prostitute oneste, di quelle che senza desiderio e senza piacere adempiono al «dovere coniugale», siano esse sposate oppure no; perché l'uomo fornisce il nutrimento; perché l'uomo le alloggia e le veste, le «mantiene», loro, le puttane oneste che disprezzano altezzosamente quelle che dell'amore fanno mestiere.
Allora, compagna Numietska, quante donne devono ispirarvi disgusto! Guardate attorno a voi il fiorire di prostituzione, tutti quei sessi femminili affittati per un'ora, a chi può assicurare un pasto, o per una notte, a chi può fornire un tozzo di pane e il riparo quotidiano, o per un anno, due anni o tutta la vita, a colui che vive di rendita o guadagna abbastanza per avere una donna a domicilio. Semplice questione di omnibus, di veicolo a noleggio o di automobile padronale... per non parlare del veicolo merci, ovvero della donna presa per utilità di commercio.
Quale fiume inondante di fango, quale odioso commercio non potete scusare, compagna, che nemmeno la ragione dell'amore materno potrebbe purificare!
Siate dunque logica fino in fondo, compagna Numietska, e non perdetevi — voi che vi ritenete libera da pregiudizi — nei flutti delle leggi morali che dichiarano buona la prostituzione delle braccia, delle gambe, del cervello, e vergognosa la prostituzione del sesso. L’utero della donna è una parte del corpo che non è più piacevole da prostituire di questa o di quell'altra.
Dite con noi: «Ogni prostituzione è cattiva. Facciamo in modo di lavorare liberamente nella gioia, e di amare liberamente, nella gioia, chi o coloro che desideriamo».
Non lasciate credere di aborrire soltanto un genere di prostituzione.
E sopratutto non dite: «Onore a quelle che preferiscono eroicamente la morte all’infame prostituzione. Il mio cuore di donna le glorifica».
Non so quanto il vostro «cuore di donna» possa glorificare quelle che hanno provato disgusto solo per una forma di prostituzione. La loro morte non le mostra eroiche. Ci indica solo le loro preferenze, la loro volontà di affittare solo le loro membra o il loro cervello, escludendo il loro organo sessuale.
Non sono né da elogiare né da biasimare. Sono state né più né meno che prostitute come le altre. Esse muoiono di disoccupazione nella forma di prostituzione che hanno scelto, e che non hanno voluto o potuto sostituire con un'altra...
Il loro gesto non può interessarci; vediamo in esso un atto di rassegnazione.
Compagna, parlate pure di gusti, di inclinazione, di preferenze, ma non stabilite una scala nella prostituzione. La più terribile, quella di cui si parla di meno, che tutti considerano di natura superiore, è la prostituzione del cervello nella quale la donna compete con l'uomo. Io sostengo che questa prostituzione sia la più pericolosa, perché la sua nocività non termina con l'atto ma si estende a macchia d'olio.
Andiamo, niente particolarismi, eleviamoci accanto agli uomini per la liberazione del corpo umano che l'ignoranza e la vigliaccheria hanno gettato nella prostituzione.
 
[l’anarchie, n. 17, 3 agosto 1905]