Brulotti

Respingiamo la servitù

 


«... Libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta»
Dante
 

A dire il vero, noi non siamo «furiosi della libertà», ma amanti della libertà, che consideriamo la prima condizione di vita. Tutti i doni, i beni, i mezzi, le forze, i talenti, le abilità, contano solo quando siamo liberi di servircene. Se ci viene impedito di usarli, o se siamo costretti ad impiegarli soprattutto a beneficio di un padrone, la nostra vita ne risulterà sminuita. Questo è il motivo per cui rimaniamo fedeli all'idea di libertà in tutti gli ambiti e ci piace definirci libertari.
Orbene, noi viviamo in un’epoca in cui vengono sferrati alla libertà i più gravi attacchi in nome delle idee più antitetiche: rivoluzione e controrivoluzione, comunismo e capitalismo, democrazia e autocrazia, irreligione e religione, socialismo e monopolismo. Anche nei cosiddetti ambienti avanzati, la libertà individuale viene ignorata e ci si affida a leader con sempre più funzioni e poteri. Si sognano valori sociali che derivano principalmente da una svalorizzazione individuale. Il mondo non soffre a causa di pastori inclini a tosature troppo rase e a sgozzamenti troppo frequenti; no, la colpa è tutta delle pecore arrabbiate!

Per di più, sembra che i giovani siano stufi delle poche libertà ereditate dagli eroi e dai martiri del passato. Sognano soltanto di irreggimentarsi, di allinearsi, piegarsi, dispiegarsi, andare avanti, indietro, sempre a comando. Ogni idea di indipendenza, ogni pensiero personale, ogni gesto spontaneo, ogni scelta libera, ogni azione diretta fanno loro orrore. Anelano solo a formare file di automi, dai movimenti impeccabili, saluti uniformi, passi cadenzati, rigidi andamenti, rigorose discipline. Pensate quale disordine comporta il poter respirare, muoversi, spostarsi, esprimersi, comportarsi a proprio piacimento!

Quando sulla stampa borghese si parla di gioventù, è di una certa gioventù che si tratta. Quella pronta a formare orde di pretoriani al servizio di un capo, di un dittatore, di un padrone. E guai a tutti coloro che hanno la pretesa di voler restare liberi!

È per consolarci da tanti servi abietti che abbiamo riletto Gli Eleuteromani [ovvero i maniaci della libertà] di Diderot. Che grandi massime! Eccole:
 

Ho conosciuto, con l’esperienza,

Che chi può tutto, raramente vuole il bene.

. . . . . . 

Il figlio della natura aborrisce la schiavitù:

Implacabile nemico di ogni autorità,

Si indigna per il giogo, la costrizione lo oltraggia;
Libertà è il suo desiderio; il suo grido è Libertà.

. . . . . . 

Testimone dei tempi; mi rivolgo ad ogni età;

Mai a beneficio pubblico

L'uomo ha veramente sacrificato i suoi diritti;

Se osasse col cuore ascoltare solo la voce;

Cambiando improvvisamente linguaggio,

Ci direbbe, come l'ospite dei boschi:

«La natura non ha fatto né servitori né padroni;

Non voglio né dare né ricevere leggi».
 

Gli odierni letterati non sarebbero capaci di usare simili toni. Anche loro svolgono un incarico ufficiale per il rinnovamento nazionale ed i loro scritti sono servili come il resto. Persino  nell'antica schiavitù rilevano una poesia particolare, una bellezza speciale, un fascino indefinibile, così vogliono che le nuove generazioni l’assaporino a loro volta!

Ebbene, no! ancora una volta gridiamo ad alta voce il nostro amore per la libertà; ancora una volta avanziamo nel suo nome, dovessimo per questo finire in fondo a una galera. Questa follia collettiva che spinge gli uomini a degradarsi, ad avvilirsi, a compiacersi persino della loro abiezione, un giorno finirà; ma nell’attesa dobbiamo sapervi resistere e denunciare ovunque la contaminazione di una servitù che diventa volontaria.
 
 
[Le Réveil / Il Risveglio clandestino, n. 1, Ottobre 1940]