Brulotti

Gaetano Bresci

 

Io non so ricordarlo, nell'anniversario del suo eroico atto di giustizia, senza un intimo profondo senso di mortificazione.

Sono così diversi, così lontani da quelli che egli sperava suscitare, i propositi che oggi prevalgono nel campo libertario, ed è così diverso, così lontano dal suo, lo spirito che pervade le stracche falangi sovversive che il levare alto come un presagio la memoria del suo olocausto sul volgo degli gnomi fanfaroni, imbeceriti nell'ozio allo sterile pettegolezzo caino, od incitrulliti nelle aride accademie del sofisma petulante e della casistica poltrona, mi pare un sacrilegio odioso.

Sacrilegio osceno come quello di vedere tra la turba cinica dei bigotti per bene — che di dio onnipotente si burla e del vangelo cordialmente diffida e del Cristo rassegnato sogghigna e lo rivenderebbe un'altra volta a Caifa ed al Sinedrio se glielo pagassero ancora i trenta scicli leggendari; ma per amor del mondo e per la fortuna dei negozi sagaci s'inchina e si percuote il petto e bisbiglia la prece pubblica bugiarda — passar turgidi
 di fede ardente e vissuta gli umili conclamando sui pentiti la remissione dei peccati e sulle cervici umiliate la benedizione del cielo.

 
Perché a me pare, dolorosamente, che il senso di quell'eroismo e di quel sacrificio alla grande famiglia proletaria sia rimasto impenetrato.

E non parlo degli strati letargici profondamente sotterranei della massa in cui la secolare abitudine della rinunzia e della rassegnazione ha fossilizzato il midollo della ragione e della coscienza, spento ogni fiamma d'indagine, ogni luce di liberi giudizi, ogni temerità d'insurrezione; e guardano alla violenta soppressione dei simboli ciecamente venerati come ad una satanica tentazione delle inesorabili vendette divine.

E neanche della ciurma arruffianata dei giullari e dei cavadenti che la pania dell'ideale ha prudentemente innescato tra le avanguardie destinate a cimentarsi nei primi scontri e la massa cauta e podagrosa che avanza od arretra a secondo dei rischi e della fortuna; pronti a gridare ferocemente viva la repubblica! se il colpo torna, ed a farsi pagare in contanti od in prebende gli eroismi fantastici della sesta giornata; pronti a subissar d'anatemi e di scherni le sentinelle perdute che si indugino anche se l'indugio paghino colla vita o colla libertà. Spento nella penombra della universale indifferenza eunuca il lampo di Monza, si affrettarono i giullari a belare nelle sagrestie di Corte il panegirico al re buono, ed a schernire dalle avvedute confraternite gli iconoclasti coi sarcasmi atroci: «siete pur la povera gente, ed era pure un triste sire il vostro eroe che tagliando una testa
coronata s'illudeva mutar la faccia del mondo, e parlate curiosamente il linguaggio dell'avvenire voi a cui non imparò il passato che morto un papa se ne fa un'altro, e la chiesa non muore e non pericola la vigna».

Tra vent'anni costoro eleveranno a Gaetano Bresci sul luogo del sacrificio un monumento, come venti giorni dopo di averlo vituperato bandivano, rassicurati ed impudenti, che al suo atto dovevasi la restaurazione in Italia delle guarentigie costituzionali.

Le sgualdrine possono essere la parte più disgraziata del genere umano e degne della più alta commiserazione , ma sarebbe temerario chiedere alle loro smorfie mercenarie la sincerità dei giudizi e dell'azione.
Ma in mezzo a noi Gaetano Bresci aveva vissuto tutta la sua nobile esistenza fatta di ambasce e di sogni, vibrante di lucide visioni e di fremiti generosi. E noi sappiamo tutti, quelli che lo conobbero prima e quelli che lo conobbero poi, che egli non aveva portato con sé di là dal mare il valico delle assurde pretese che nel suo olocausto il mondo si sarebbe rinnovato, e che l'ostia della sua fervida giovinezza e del suo sangue puro sarebbe bastata a riscattare i secoli d'iniquità di servitù e di vergogna di cui si trama la nostra istoria dolorosa.

E senza rifare qui il processo per cui lentamente nel ricordo sanguinoso delle giornate di Maggio, nel diuturno spettacolo degli eccidi consumati in nome del re e dell'ordine sugli esausti proletari della patria, e dell'oscuro strazio ond’erano zimbello le pubbliche libertà, e dell'invereconda rassegnazione con cui l’armento imbelle si piegava disperato a tutti i supplizi, l'idea dell'atto ammonitore divenne l'ossessione delle sue giornate, l'incubo e lo scopo della sua vita — noi possiamo senza temerità affermare che una cosa sola egli ha semplicemente e fermamente voluto: che non rimanesse nella storia nostra la vergogna, che non rimanesse sulle nostre fronti lo stigma, e lacerante nei cuori nostri la rampogna 
che da noi, pionieri di una civiltà nuova, da noi araldi di riscatto, da noi annunziatori di risurrezione civile e di palingenesi sociale, si concedesse una criminosa remissione al tentativo audacemente e recidivamente osato di ricacciarci, oltre tutte le rivoluzioni e le conquiste dell'ultimo secolo, sotto i gioghi dell'antico regime.

In alto egli ammonì con voce che riecheggia formidabile per le auree magioni dei felici che mal si asside sulle stragi e sui tormenti degli umili la fortuna delle dinastie che dagli umili attingono la loro sanzione; che non consente il nuovo diritto umano ai satrapi oziosi ed alle clientele parassitarie il tripudiare sinistramente sulla miseria e sul dolore; e altro salario che non sia di piombo, di sangue, di scherni, reclama dai fondachi, dai cantieri, dai campi, dalle officine, dalle miniere la forza nuova e miracolosa fin qui disconosciuta, la fonte fin qui spregiata e vilipesa da cui rampollano la luce, la vita, la gioia.

Ed in basso ammonì che si prescrivono irrimediabilmente le conquiste non vigilate, che si manomettono le libertà indifese, che sono astrazione sterile e vana i diritti invendicati, che non germogliano le speranze sullo strame dell'ignavia, e che ad accampare diritti sull'avvenire ed a parlare in nome della vita e della libertà non bisogna soggiacere alle religiose paure ed alle superate devozioni del passato.

Non questo diceva il gesto ammonitore?


 
Ed ora?

È ripassato il lampo dei moschetti regi sui solchi della patria ingrata ed una e due e cento volte: li irrorano di generoso sangue proletario le stragi rinnovate, stride inulta la miseria sui focolari deserti, ghigna impunita la rapina sulle galere del capitale tentacolare; sulle menti, sui cuori, sulle braccia disperatamente dimesse incombono i gioghi, le ritorte ed i ceppi di tutte le servitù...

E l'esempio dell'Ammonitore?

Se non sappiamo integrarlo dell'opera tenace e paziente di ogni ora, se non sappiamo invocarlo ed imitarlo nelle ore tragiche delle indicibili angosce, non ne rinnoviamo inutilmente ogni anno il ricordo penoso.

Si velano di gramaglie e d'oblio in terra di servi le statue della libertà.

 
 
[Cronaca Sovversiva, anno VII, n. 31, 31/7/1909]