Brulotti

Conclusioni contro Dio, lo Stato, l'Assemblea

Arthur Arnould
 
Tutte le società moderne vivono sulla concezione di un'autorità superiore all'uomo e, di conseguenza, al di fuori e al di sopra della collettività umana. Nell'epoca in cui la religione dominava, padrona delle anime e delle cose, si chiamava Diritto divino. L'autorità era investita di un carattere sacro. L'obbedienza era un dovere, il Potere un sacerdozio. Doveva rendere conto solo a Dio, da cui era istituito.
Questo stato di cose durò fino alla Rivoluzione francese, che strappò il diritto al cielo per restituirlo all'uomo. A partire dall’89, lo Stato non rappresentava più il Diritto divino, ma il Diritto umano, la Società. Il consenso popolare, il consenso universale, presunto o effettivo, ne divenne il fondamento. Fu definito l'organo della società, che agiva e comandava in suo nome, al meglio dei suoi supposti interessi.

In principio, quella Rivoluzione era immensa e sembrò risolvere definitivamente la questione. Di fatto non risolse niente, e l'esperienza degli ottant'anni trascorsi dal Giuramento della Pallacorda lo dimostra in modo più che evidente.

Infatti, pur avendo cambiato l'origine del Diritto statale, tale Diritto rimase rispettato.
Pur cessando di farlo provenire da Dio, ritenendo a torto o a ragione che attingesse dalla volontà popolare, le cose non erano pressoché cambiate nella pratica.

Lo Stato parlava in nome del popolo, invece di parlare in nome di Dio, questo è vero; — l'onnipotenza veniva trasportata dal mondo metafisico al mondo terrestre, ma pur sempre rispettata. — Che fosse unto dal Signore o mandatario plebiscitario della sedicente sovranità nazionale, lo Stato, rappresentato da un uomo o da un'assemblea, aveva nondimeno le stesse prerogative, la stessa onnipotenza. Dal momento in cui il popolo aveva detto sì, più o meno consapevolmente, tutto era finito tra il Popolo e il Potere.

Il popolo reputato infallibile, onnipotente, fonte sacra dell'autorità, del Diritto, aveva trasmesso al Potere tutti i suoi diritti, tutta la sua autorità, la sua onnipotenza e la sua infallibilità — Pur essendo quindi lo Stato separato dalla nazione, dalla società, nondimeno era al di fuori di essa, al di sopra di essa.

L'antico rispetto per l'autorità, l'antica tutela di alcuni su tutti, non erano affatto spariti. Sotto altri nomi, si trattava della stessa cosa — Invece di girare a destra, si girava a sinistra, ma si arrivava allo stesso punto e il risultato non cambiava.

L'errore — errore inevitabile, probabilmente, prima di averlo sperimentato — era credere che modificando l'investitura del Potere, sostituendo il fatalismo del diritto divino col consenso popolare, sostituendo la modalità aristocratica ed ereditaria con la modalità elettiva e rappresentativa, si modificasse l'essenza del Potere.

Il male non è che lo Stato agisca in nome di questo o di quel principio — è che esista!

Il male non è che mi si opprima in nome di Dio e del beneplacito, o in nome della Società e del plebiscito — è che mi si opprima.

Che il popolo nomini i suoi presunti rappresentanti attraverso il suffragio universale, o che sia governato da alcuni privilegiati per nascita o per fortuna — poco importa. Il Popolo è nondimeno alla mercé di questi rappresentanti, che, eletti o meno, appena entrano nel Potere e si fanno Stato, sono con ciò separati dal Popolo, al di fuori del Popolo, al di sopra del Popolo, nemici del Popolo.

Ciò che è male, ciò che deve essere distrutto, o cambiato se si preferisce, non sono coloro che saranno incaricati di farsi Stato, di agire e governare a suo nome — è la concezione stessa dello Stato, perché avrete un bel cambiare gli uomini, cambiare il loro modo di elezione, costringerli a mettere in cima alle loro azioni: in nome del Popolo! — Non per questo il Popolo sarà più libero, il Popolo sarà comunque la cosa che viene governata, ed è là che risiede il problema, non altrove.

Lo Stato, quale che sia, qualunque sia il nome che gli viene dato, dittatura di un uomo o di un'assemblea, repubblica o monarchia, assoluta o costituzionale, non può essere né democratico, né rivoluzionario, nemmeno liberale, poiché rappresenta il Potere, che è dispotico e reazionario per necessità, per essenza, né può personificare la libertà, l'uguaglianza, poiché personifica l'Autorità, qualcosa che domina, che governa, che guida la società, quindi che la opprime e la schiaccia, che sostituisce la sua volontà con la propria, che pretende di gestire i miei interessi, badare alla mia salute, insegnarmi cosa devo fare, pensare e agire, in mia vece e al mio posto.

Tanto meno può essere la giustizia, o la verità: — la giustizia, perché è il primo dei privilegi, perché fa la legge e la applica senza subirla; — la verità, perché è inevitabilmente l'immagine esatta delle passioni, dei lumi, dei pregiudizi e delle capacità di coloro in cui si è incarnato.

Se voi fate le leggi, come avviene da ottant'anni, per proteggervi dallo Stato e dalla sua onnipotenza, riconoscete di aver bisogno di proteggervi da esso! — Che cos'è allora questo protettore da cui è necessario proteggersi? E dal momento che dovete proteggervi da esso, è dunque pericoloso? Ma chi sarà incaricato di applicare queste leggi preventive contro lo Stato? Di nuovo lo Stato, dal momento che gli avete affidato tutto, consegnato tutto! 
Come non vedere che è proprio là, a monte, il circolo vizioso? 
In realtà, c'è di peggio.
Checché si faccia, vi è una logica che domina tutto, e ciò che esiste, ciò che ha vita cercherà sempre attraverso una legge generale, legittima, di sviluppare la sua esistenza, di rovesciare gli ostacoli che l'intralciano. — Lo Stato esiste, e vuole vivere e svilupparsi. — Combatterà quindi contro gli ostacoli che gli metterete davanti. Cercherà di infrangerli e, siccome lo avete investito della forza, mentre voi siete disarmati, ci riuscirà. 
Data la situazione, posto il principio, eccovi destinati a Rivoluzioni senza fine, a Rivoluzioni sterili. 
Aprite la storia e da ottant'anni, in Francia, dove il problema si è palesato per la prima volta in tutta la sua chiarezza, osservate la lotta intrapresa tra il Popolo e lo Stato. 
Il Popolo che non crede più al diritto divino, a cui è stato insegnato a considerare lo Stato come sua rappresentazione, creata per soddisfare i suoi bisogni, non ha più per lo Stato quel timoroso rispetto, quella stupida rassegnazione che una volta gli veniva imposta dalla credenza nella sua origine provvidenziale. Perciò lo mette in discussione e, in virtù della finzione che lo dichiara responsabile del benessere e degli interessi del Popolo, quest'ultimo gli chiede il benessere e la soddisfazione dei suoi interessi. Lo Stato non ci riesce, non volendolo e non potendolo. Il Popolo si solleva, cambia uomini, cambia nomi. Al posto di Carlo X c'è Luigi Filippo, al posto di Napoleone III c'è la Repubblica di Versailles. Ma i veri nemici non erano né Carlo X, né Luigi Filippo, né Napoleone III, e non è affatto perché settecento uomini legifereranno in nome della Repubblica, invece di legiferare in nome dell'Imperatore, che le cose andranno diversamente.
«Ve lo dico in buon francese, il nostro nemico è il nostro padrone!».
Ora, chi è questo padrone? — È lo Stato, ovvero quell'essenza della ragione a cui avete affidato il diritto di disporre della vostra persona e dei vostri beni, del presente e del futuro del paese in cui crescete. Il male di cui soffrite è di abdicare, a volte sotto una forma, a volte sotto un'altra, ma comunque di abdicare e aspettarsi dagli altri ciò che dovreste chiedere solo a voi stessi. Ciò che vi consuma, ciò di cui perite, se non porrete rimedio, è avere al di sopra di voi qualcosa che non siete voi, che di conseguenza pensa e agisce diversamente da come pensate voi, da come agireste voi e che, pur con le migliori intenzioni del mondo, non può conoscere i vostri interessi o sentire i vostri bisogni come voi li conoscete e li sentite, né soddisfarvi come voi vi soddisfereste. 
È necessario che lo comprendiate bene — classi diseredate, operai, uomini di buona volontà di tutti i ceti che portate in voi l'ideale della giustizia, l'amore del vero — se, invece dei buffoni, dei truffatori e degli ambiziosi che, in stragrande maggioranza, ottengono la loro nomina abusando della vostra ignoranza, se al posto di questa accozzaglia di pasciuti, d'intriganti o d'imbecilli, vostri nemici per interesse di casta o per semplice stupidità, voi nominaste solo operai, uomini assolutamente puri e devoti — a meno che questi uomini non usino immediatamente il loro breve passaggio al Potere per sopprimere lo Stato così come esiste, questi uomini diventeranno domani i vostri nemici, che l'abbiano voluto o meno, e voi non avreste guadagnato nulla dal cambiamento. 
Se conservassero il Potere, diventerebbero in effetti il Potere stesso. Lo Stato si incarnerebbe in loro e, anche ammesso che siano una collezione di onesti uomini di genio, ammesso che le loro virtù private addolciscano il peso della catena, voi sareste nondimeno incatenati. I loro successori, il primo avventuriero arrivato, ve lo farebbero sentire eccome. I diritti di un popolo non possono né devono dipendere dalle virtù dei depositari del Potere.
[…]
È la storia del masso di Sisifo che ricade perennemente su chi lo solleva. — Non si tratta di spostare il masso, si tratta di prendere una mazza e di polverizzarlo. — Non si tratta di cambiare i titolari o l'etichetta del Potere, si tratta di sopprimere il Potere, come è stato progettato in passato, di trasformarlo nella sua essenza, in una parola di abolirlo.
Si ritiene forse che esista al di sopra delle società un interesse diverso dall'interesse sociale?
Si ritiene che esista su questa terra, al di sopra della ragione umana, una ragione superiore all'uomo?
Si ritiene che possa risultare dalla collettività, dalla riunione, dall'associazione di un certo numero di individui, un essere morale che non sia questi uomini, un pensiero che non sia umano, una verità che non sia umana?
Se qualcuno lo crede, che diventi cattolico e chieda regole di condotta all'infallibilità della Chiesa. Io non discuto con i mistici e con i religiosi. Non contano nulla agli occhi della scienza, del ragionamento e della Rivoluzione.
Se non lo si ritiene, perché la Società non agisce da sé?
Perché inventa una sorta d'essere superiore e infallibile, senza altra realtà che quella che gli si concede, affinché agisca al suo posto, vegli su di essa, affronti i problemi che la turbano, risolva le questioni di interesse che costituiscono la sua vita quotidiana?
Come si può perdere il senso comune al punto da non capire che questo Stato — essere ideale e supposto perfetto, giacché gli si affida l'autorità suprema — non può agire dopo tutto se non attraverso un certo numero di uomini, e che di conseguenza i popoli rimettono semplicemente la disposizione di se stessi ad alcuni fra loro, che non possono valere più dell'insieme dell'umanità.
Pertanto, se sono solo uomini, perché quelli invece di altri, a meno di supporre che possedendo il Potere si posseggano lumi superiori, o che si diventi grandi uomini ricevendo un portafoglio, e uomini di genio superiore per il fatto che un certo numero di schede stampate col vostro nome siano state depositate all'interno di un'urna riempita dall'ignoranza o dalle ambizioni di partito.
Accanto a questa concezione fatale dello Stato, accanto a questo errore, origine di tutte le nostre sventure passate, presenti e future, vi è un'altra concezione non meno pericolosa, quella dell'Unità e della Centralizzazione.
Senza quest'ultima lo Stato non vivrebbe, giacché essa è l'arma con cui falcia tutti gli ostacoli e spiana la sua via. La centralizzazione è incorporata così intimamente in esso, ne è talmente parte integrante, che è quasi ozioso cercare quale fra le due concezioni abbia preceduto l'altra. — L'Unità produce l'autorità, come l'autorità produce Unità. — Quindi lo Stato è il più feroce custode dell'Unità, senza la quale non reggerebbe per due giorni.
Gli uomini hanno confuso l'Unità con l'Unione. — È lì l'errore.
L'Unione fa la forza. — L'Unità fa il dispotismo!
Tanto una fa bene, quanto l'altra causa il male. Un abisso le separa. 
L'Unione è il patto con cui un certo numero di individui — esseri morali o materiali — stipulano in piena libertà, in piena indipendenza, un contratto con il quale, avendo gli stessi interessi e gli stessi bisogni, le stesse aspirazioni e lo stesso scopo, uniscono i loro sforzi e mettono in comune la loro azione, ma questa unione non deve andare al di là, e presuppone una comunanza di interessi immediata, o una autentica conformità d'ideale, politico e sociale. — È sottinteso che, per il resto, si sia liberi e si conservi il controllo di se stessi. 
L'Unità, al contrario, è l'abdicazione sotto un giogo uniforme che si estende a tutto e su tutto. Le si sacrifica sempre più di quanto si riceva, poiché ognuno dei gruppi naturali che la costituiscono, essendo soffocato, sommerso dal numero immenso degli altri gruppi, ogni individuo, ogni collettività parziale, sostiene da sola e su tutti i punti contemporaneamente, il peso totale della massa intera.
L'Unità è qualcosa di essenzialmente fittizio, arbitrario, che schiaccia e sbriciola, per creare con parti diverse e autonome un solo edificio, in cui non ci sarà più libertà di movimento, né la possibilità di progredire senza trascinare con sé l'universalità di quelli a cui ci si trova legati, come un forzato alla catena.
L'Unità ha sempre qualcosa di falso e di tirannico, nel senso che non si basa su leggi naturali, e non è affatto il prodotto primario dei bisogni umani, ma il prodotto convenzionale di certe necessità o di certe concezioni filosofico-politiche che avvantaggiano solo qualcuno, a scapito della maggioranza.
L'unione è la realizzazione dell'Unità dei sentimenti, delle volontà, degli interessi. — È una cosa essenzialmente morale, dove sono rispettati il diritto e l'autonomia di ciascuno.
L'Unità è, senza rispetto del diritto e dell'autonomia, l'unione forzata, superficiale ed esteriore dei sentimenti, delle volontà e degli interessi più discordanti.
L'Unione, è l'associazione!
L'Unità, è la caserma!
Tutti i tiranni, uomini o popoli — perché ci sono stati popoli tiranni, ad esempio quello romano, per citarne solo uno — hanno sognato, tentato l'Unità e questo tentativo è sempre sfociato in orribili disastri dopo lunghi dolori.
Da dove proviene dunque questa idea dell'Unità così contraria al genio dell'uomo, al libero sviluppo delle sue facoltà, che ha così spesso fermato i progressi della civiltà ed il suo cammino verso l'avvenire, e che in fondo non è che l'applicazione del diritto assoluto, odioso, della maggioranza, diritto che in sé non è che la soppressione dell'iniziativa individuale schiacciata dal numero?
L'idea dell'Unità, per come è stata applicata, per come la si intende oggi, è una idea essenzialmente religiosa, di origine cristiana e cattolica. È il cattolicesimo, il cristianesimo, se si preferisce, ad aver impresso nelle menti l'ideale di una disciplina unica degli spiriti, e lo Stato, avendo preso il posto della Chiesa nel governo delle cose terrene, ha conservato questo prezioso ideale che adulava la sua mania di assorbimento. — È nato da ciò, e questa idea è la sola che possa sembrare giustificare la sua presunta missione.
Un Dio, un Re, una Legge — ovvero la forza coi suoi tre volti — è la trinità sotto cui l'umanità è prona, e che ha sospeso, poi ostacolato ed infine reso così dolorosi i progressi della civiltà.
[…]
Anche fra i rivoluzionari. — Nati, cresciuti in mezzo ad una società con un'impronta cristiana, le loro menti sono state forgiate in un certo stampo che non sono riusciti a spezzare, e benché molto forti e audaci ogni qual volta c'è da combattere e rovesciare lo Stato esistente, li si può vedere il giorno dopo completamente inerti, disorientati, incapaci, seguire il solco del Potere che hanno rovesciato e che ricostituiscono con ardore. Ne cadono impotenti, se sono onesti, ne adorano tutti i vizi se restano al governo. — Perché? — Perché credono allo Stato e, assodato lo Stato, essi diventano lo Stato, oppure si aspettano dallo Stato delle riforme che sono contrarie all'essenza stessa dello Stato, che lo Stato potrebbe concedere non più di quanto possa dare la luna ai bambini che la pretendono pestando i piedi.
Questa idea religiosa di Potere forte e centralizzatore, questa idea di Unità, si giustifica ai loro occhi attraverso la credenza, mal compresa, nell'unità dell'umanità stessa, che i romanzieri della Bibbia e del Vangelo hanno inventato in seguito all'ignoranza in cui si versava in quell'epoca di autentiche leggi della creazione, che a malapena oggi s'intravedono.
Essa si basa sulla credenza assolutamente falsa che, essendo tutti gli uomini figli dello stesso Dio, usciti da un'unica coppia, creata a parte e per una fede speciale, più il governo, più la società si avvicinerà all'Unità assoluta, più essa si avvicinerà all'ideale divino, alla verità metafisica.
È il cattolicesimo, è la Chiesa ad aver per prima sognato questa unificazione, questa disciplina unica, uniforme dei cuori e degli spiriti, e i feroci rivoluzionari che cercano di realizzarla in nome del progresso e della liberazione umana non sono, a loro insaputa, che i successori, i pallidi imitatori di Sisto Quinto e di Gregorio VII.
 
 
[Histoire populaire et parlamentaire de la Commune de Paris, 1878]