Brulotti

Logorrea elettorale

Brand [Enrico Arrigoni]
 
Centinaia di bocche, che per mesi non hanno cessato, come vulcani, di vomitare immondizie, si sono chiuse ieri sera: la logorrea elettorale è terminata. Ieri sera ancora, in un ultimo sforzo, in un ultimo spasmo di dialettica falsa, vuota ed insulsa, attraverso mille mezzi di comunicazione, le voci rauche, le indignazioni di comodo, gli appelli, le preghiere, le minacce di ogni pretendente al potere hanno rintronato per l'ultima volta, raccomandandosi all'elettore affinché oggi si ricordasse dei suoi servizi verso la patria, dei suoi sacrifici per il popolo, e votasse per lui. E con le raccomandazioni e le preghiere perché votasse per lui volarono per l'aria i suoi ammonimenti perché l'elettore non si lasciasse accalappiare, non si lasciasse confondere, non si lasciasse traviare, non si lasciasse turlupinare dalle false promesse dell'avversario, il cui solo scopo era di carpirgli il suo voto, che, di diritto, apparteneva a lui, il solo candidato onesto, leale sincero e servizievole che lo meritasse.
E quando, finalmente, ad ora tarda, le trombe del minacciato giudizio universale (che si ripete, fino alla noia, ogni due o quattro anni) tacquero, il gregge, sconvolto, confuso ed inebetito da tanto stordimento, ha potuto alfine godere un'ora di raccoglimento, di pace, di solitudine, per esaminare i suoi pensieri, analizzare le sue emozioni, e cercare di mettere un poco d'ordine nel caos della sua mente, che, da tante settimane, è stata sballottata, tirata a destra, a sinistra, in su, in giù, in tutte le direzioni.
Perché qui è proprio il caso di ripetere la frase classica del buon senso, della accumulata sapienza popolare che dice: «In politica, più le cose cambiano, più sono le stesse»
Vengo proprio ora da una passeggiata esplorativa fatta per le vie della grande metropoli. Oggi è il giorno di decisione per il gregge di questa nazione. Le pecore accorrono a manifestare la loro volontà sul pastore che vogliono scegliere per guidare i loro destini nel prossimo futuro. Vanno individualmente, a piccoli gruppi, e formano code davanti alle cabine dentro alle quali, abbandonate a se stesse, dovranno infin decidere a chi abdicare la propria volontà, perché si assuma la responsabilità di rappresentare i loro interessi personali, e per riflesso, gli interessi della nazione.
Oggi si eleggono consiglieri, deputati, senatori, governatori, presidente e vice-presidente. Chiunque siano gli eletti, saranno essi che decideranno di pace o guerra, di vita o morte, nei prossimi due, quattro o sei anni. Il destino, le vite di milioni d'esseri umani saranno consegnate nelle loro mani come dei trastulli, con i quali essi — un semplice pugno d'uomini — potranno divertirsi a giocare a piacere. Il gregge, dopo questo giorno, avrà delegato al potere altrui la propria vita, con una semplice decisione che non gli ha preso che pochi secondi di tempo, e saranno i suoi pastori eletti che faranno legge per tutti. Se essi decideranno che potranno vivere in pace, continueranno a vivere in pace; se invece i pastori eletti decideranno che l'onore e gli interessi della patria sono minacciati, il gregge marcerà per i campi di morte, mentre i non consenzienti saranno soppressi. Il gregge non sarà nemmeno consultato. Avrà delegato il potere di vita o morte ai nuovi pastori, e saranno loro che di vita o di morte decideranno.
Vi è qualcosa di mistico in questa cerimonia di avvicinamento all'urna per mettervi dentro un pezzo di carta, che è una cambiale firmata dall'elettore, nella quale egli consegna al pastore la sua vita perché faccia con essa quello che gli pare e piace. Non gli chiede nemmeno la ricevuta; si fida solo della sua parola, pur rinunciando al controllo sulla propria vita. Di tale follia solamente il gregge umano è capace, perché solamente il gregge umano ignora tutto il valore della vita, ed è sempre disposto a buttarla ai lupi. Osservai quei visi in attesa di votare, e la loro solennità ridicola mi fece ricordare i visi dei penitenti che, nella mia giovinezza, vedevo avvicinarsi all’altare per ricevere l’ostia contenente il corpo di Cristo, che poi ingoieranno tutto d’un pezzo, la chiesa non permettendo loro di masticarlo. I rospi che gli elettori ingoieranno tutto d’un pezzo mi assomigliano un tantino a quel rito. Solo che qui manca la musica per tale canzonatura.
È davvero una meraviglia come il candidato riesca sempre a giocare sull’ingenuità, sulla buona fede, e qualche volta sull’intelligenza dell’elettore di elezioni in elezioni, senza che mai esso si accorga della turlupinatura. Questa canzonatura si ripete d’anno in anno, in ogni nazione del mondo, sotto ogni forma di istituzione, e viene praticata da greggi e pastori d’ogni colore. E le vittime appartengono ad ogni classe sociale, giacché la truffa elettorale non, serve solamente per intrappolare e vittimizzare i poveri. Ed i candidati sono così sicuri che l’elettore non si accorgerà mai della commedia che essi recitano, che quasi non si curano più nemmeno di nascondere il gioco. Conducono la farsa elettorale con una tale sfrontatezza ed una tale svergognatezza, che dimostra come abbian fiducia immensa nell’incapacità dell’elettore di scoprirli e smascherarli per quei commedianti che sono.
Così i vilipendi, le diffamazioni, ed anche le verità sui caratteri vili, senza scrupoli e mentitoti, son cessate da ieri. Il veleno è stato ormai sparso, ma i banditi della politica che, fino a ieri sera, si pugnalavano a vicenda, oggi si sono trasformati di nuovo in galantuomini. Hanno bisogno di assumere un altro ruolo, quello della rispettabilità, dopo aver assunto quello dell’infamità, della vigliaccheria.
Non importa chi vincerà, i commedianti si feliciteranno e congratuleranno a vicenda, riconciliandosi a beneficio della platea. Il vinto feliciterà il vincitore per la sua vittoria, per essere stato tanto furbo da «fregarlo». Il vinto, dopo che per parecchi mesi ha chiamato il vincitore: incosciente, irresponsabile, corrotto, traditore della difesa e degli interessi della patria, imbroglione del popolo, affamato di potere, mascalzone e complice di ladri, ora gli promette tutta la sua solidarietà, il suo aiuto, la sua lealtà. Ed il vincitore, dopo aver chiamato il vinto: ignorante, guerraiolo, reazionario, nemico della patria e del popolo e pazzo da legare, ora gli fa un inchino e, graziosamente, accetta con ipocrita gratitudine l’ipocrita offerta d’aiuto dello sconfitto.
E così, gabbato il popolo, la commedia è finita fino alle prossime elezioni. Ora non c’è più bisogno di tener su la maschera d’arlecchino; c’è bisogno del falso sorriso, della falsa riconciliazione.