Macchianera

Interrogativi fatali

L'ospite inatteso
Alfredo M. Bonanno
Edizioni Anarchismo, Trieste 2014
 
«Ma è bene se la coscienza riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile a ogni morso. Bisognerebbe leggere, credo, soltanto libri che mordono e pungono. Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo? Affinché ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio, felici saremmo anche se non avessimo libri, e i libri che ci rendono felici potremmo eventualmente scriverli noi. Ma abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che ci era più caro di noi stessi, come se fossimo respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio. Di una cosa sono convinto: un libro dev’essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi».
 
(Frank Kafka, lettera ad Oskar Pollack, 27/1/1904)
 
Questo libro è un'ascia. Ma prima di usarlo forse sarebbe il caso di porsi un interrogativo: cosa c'è dentro di noi? Se non c'è alcun mare ghiacciato, ma il flusso di dati telematici il cui compito è quello di in-trattenere, non abbiamo bisogno di un'ascia. Se non c'è una banchisa che paralizza i nostri movimenti, ma un deserto del cui nulla si è felici e soddisfatti perché non ci fa perdere tempo con idee e sogni di cui progettare la realizzazione, non abbiamo bisogno di un'ascia. Perché vibrare un colpo nel vuoto non spezza, non rompe, non libera, fa solo perdere l'equilibrio. Di una simile ascia abbiamo bisogno se vogliamo aprire gli occhi, non tenerli chiusi; se desideriamo chiarire i pensieri, non offuscarli.
Non voler essere morsi e punti è un ottimo motivo per stare alla larga da questo libro, la cui lettura non corre certo il rischio di rendere felici. Perché la protagonista assoluta di queste pagine è la morte. Non la morte astratta, intesa in senso più o meno metafisico, né quella che prima o poi sappiamo bene incontreremo tutti, dato cronologico su cui è inutile soffermarsi sopra. No, è proprio la morte concreta, materiale, inaspettata, quella che su decisione fatale riduce un corpo umano vivente in «un mucchietto di stracci». Quella che non solo ci può sempre essere inflitta dai nostri nemici, ma che noi possiamo sempre infliggere ai nostri nemici. Al di qua di tale soglia conosciamo a memoria le lamentele ed i riti di circostanza, ma al di là... bastano le rivendicazioni ideologiche?
Questo libro è un'ascia. Fosse un uncino, conterrebbe magari comode istruzioni d'uso ed immagini eroiche come parate in mimetica. Parole edificanti, mobilitanti, roboanti — un bando di arruolamento alla causa, una promessa di vittoria internazionalista, da smerciare in fretta e furia sul mercato della politica rivoluzionaria. Ma qui non ci sono certezze corroboranti, solo dubbi. Non vengono ostentati trofei per raccogliere applausi, con molta discrezione viene evocata l'apparizione di ciò che non si attende — la morte violenta di un essere umano, per quanto reputata giusta e necessaria — per interrogarsi sul suo significato.
Ecco perché questo libro fa male. Perché non offre risposte facili da mandare a memoria, capaci di cullare il sonno del giusto, ma solleva domande insopportabili e tuttavia indispensabili da affrontare. Quella decisione fatale infatti è irrevocabile, se non dà scampo a chi la subisce in un certo senso non lo dà nemmeno a chi la prende. Premere un grilletto è facile quando lo si fa per riflesso condizionato, o per obbedire ad un ordine. Basta un dito. Ma premerlo in piena consapevolezza, su decisione autonoma, richiede una riflessione incondizionata (senza la quale non si è esseri umani, ma fantocci, foss'anche con la bandiera che reputiamo giusta). Nel primo caso si mette a tacere la voce dell'anima, nel secondo la si interroga senza sosta con domande spietate. Spietate come quelle che hanno segretamente tormentato l'autore di questo libro per oltre quarant’anni e di cui solo ora, giunto quasi alla fine del suo viaggio, ci fa partecipi.
Regalo terribile quanto prezioso, di una generosità di cui essergli grati in quest'epoca infestata da diari di guerra istantanei e vanitosi come un selfie.