Brecce

La settimana sanguinosa

[Luigi Galleani]
 

La chiamò così nei versi eterni Victor Hugo, e per chi guarda soltanto al calendario essa comincia infatti con le prime stragi il 21 per compiersi coll'inaudite ecatombi il 28 maggio 1871.

Ma a chi compulsi meno sommariamente la storia della terza disfatta del proletariato, apparirà senza sforzo che dopo le fucilazioni in blocco, denunce, persecuzioni, torture, deportazioni durano altri dieci anni ancora, apparirà anche meglio che logicamente non potevano le premesse audaci del 18 marzo trovare altra soluzione all'infuori dell'immane carneficina del maggio che al Moulin Saquet, a Satory, al Père Lachaise accatastò le carogne di quarantacinquemila straccioni.

Alla dichiarazione dei diritti proclamati sulle rovine della Bastiglia nel 1789 contro le ultime pertinace del diritto divine, alla menzogna della sovranità popolare e del suffragio universale sbandierato dalla rivoluzione del 1848 e sbugiardato dal 2 dicembre, la Comune, educata da Fourier, da Leroux e da Proudhon, veniva, sotto la sferza della vergogna e l'onta dell'invasione, enunciando, integratrice pratica e terribile, le aspirazioni dei tempi nuovi erompenti dalle fucine cosmopolite dell'Internazionale: la negazione di dio, della patria e della famiglia, la distruzione della proprietà individuale e dello Stato, la solidarietà delle razze e delle nazioni affrancate, al disopra di tutte le frontiere, da ogni forma di schiavitù e di menzogna.

Nata da un'ineffabile mortificazione nazionale, cresciuta tra la diffidenza, insidiata dal tradimento, fulminata da Versailles, la Comune non aveva potuto dare la misura dei suoi propositi, delle sue aspirazioni, delle sue attitudini, ma la federazione dei comuni autonomi, l'incameramento dei beni ecclesiastici, la confisca a beneficio di tutti delle terre e delle officine abbandonate, la pensione alle vedove ed agli orfani legittimi od illegittimi dei morti per la libertà, tutto il suo programma politico ed economico dicevano aperto alla borghesia del vecchio continente, coalizzata da Bismarck e Mazzini, che i cardini ortodossi della vecchia società, dio, la famiglia, la patria, la proprietà, lo Stato avrebbero nelle vittorie della Comune trovato inonorata sepoltura.

Era un focolare di perdizione e bisognava soffocarlo e disperderlo.

L'ingenuità e il pregiudizio iniziarono da una parte la rovina che le stragi del maggio consumarono nel sangue dall'altra. 
Gli scrupoli bigotti e le preoccupazioni assurde con cui i comunalisti rinunziarono ai miliardi della Banca di Francia ed onestamente li rimisero in mano del Thiers, la superstizione parlamentare che anchilosò ogni loro attività, la fregola giacobina ed imbelle dei comitati di salute pubblica per cui si ponevano in servizio della rivoluzione gli arnesi medioevali del sant'uffizio e si sovrapponeva alla Comune una dittatura che ne confiscava l'anima, il carattere ed i diritti; il bizantinismo delle assemblee e la rabbia delle persecuzioni passionali onde la Comune si indugiava ancora il 21 maggio a giudicare Cluseret mentre i versagliesi sfondavano la porta d'Auteuil, la foia di sottilizzare, discutere, parlamentare, deliberare in luogo di agire sono le cause prime a cui la Comune deve il suo immaturo e tragico tramonto.

Oh, non noi infieriremo sui vinti che nell'ecatombe espiarono debolezze ed errori!

Sulla fossa enorme che racchiude le salme disfatte dei quarantacinquemila ribelli della Comune, anatemi e rimpianti disarmano. I cuori si schiudono devoti al culto riconoscente, le braccia riafferrano frementi sulla zolla sanguigna gli arnesi che le gelide mani abbandonarono nell'agonia suprema, mentre la memoria raccoglie provvida e ferma l'ammaestramento che dalla sconfitta erompe liberatore.

Le rivoluzioni del 1830, del 1848, del 1871 insegnano che la plebe ha sognato, ingenua e semplice, di conquistare il proprio benessere, la propria emancipazione in accordo fraterno colla borghesia.

È la colpa!

Le repressioni del 1832, del 1839, del 1848, del 1871 testimoniano che la borghesia ritrovò contro i ribelli la ferocia onde l'aristocrazia medioevale aveva soffocato le rivolte dei contadini e dei servi.

È l'insegnamento. E l'insegnamento riscatta l'errore e noi, noi affrancati da ogni pregiudizio, noi emancipati da ogni scrupolo, noi redenti dalle cristiane pietà sospinge audaci, deliberati, spregiudicati alla conquista della terra, del sole, della libertà, della giustizia, dell'amore.

Adversus hostem aeterna auctoritas! consentivano le dodici tavole della legge romana e contro la borghesia, contro il nemico secolare della nostra schiatta noi non avremo né scrupoli, né pietà, né freno. Sulla tomba sacra dei morti della Comune noi ne facciamo il voto, sui ruderi del mondo borghese debellato noi lo scioglieremo.


 
[Cronaca Sovversiva, anno III, n. 22, 3 giugno 1905]