Brulotti

L’11 novembre 1887

Voltairine de Cleyre
Lasciate che cominci con una confessione. Una confessione di cui mi rammarico e mi vergogno, ma è soltanto di fronte a un grande sacrificio che impariamo l'umiltà, e se i miei compagni sono stati pronti a sacrificare le proprie vite per ciò in cui credevano, allora io sono pronta a sacrificare il mio orgoglio. In realtà non vorrei farlo, poiché credo che le affermazioni personali siano irrilevanti, ma sono convinta che in questo momento possa servire a incoraggiare quei nostri sostenitori scoraggiati dalla recente esplosione di violenza. Inoltre, spero possa indirizzare coloro che la pensano come una volta la pensavo io a fare come io feci in seguito.
Ecco la mia confessione: in un maggio di circa quindici anni fa, quando l'eco della rivolta di Haymarket arrivò fino al piccolo villaggio del Michigan dove vivevo, proprio come il resto degli creduloni e ignoranti lessi in un giornale questo titolo: Gli anarchici lanciano una bomba tra la folla di Haymarket a Chicago. Immediatamente urlai a gran voce: «Impiccateli!». Sì, è quello che urlai, sebbene non abbia mai creduto alla pena capitale, soprattutto per i criminali comuni. Per quella frase così ignorante, così oltraggiosa e sanguinaria, non mi perdonerò mai, benché io sia consapevole che quei morti mi avrebbero perdonato così come hanno fatto coloro che li hanno amati. Ma la mia voce, così come urlò quella sera, risuonerà per sempre nella mia testa fino al giorno della mia morte: un’eco di amara disapprovazione e vergogna. Che cosa avevo fatto? Avevo dato credito alla prima voce che girava su un fatto di cui non sapevo nulla e quindi avevo ritenuto di poter condannare quegli uomini alla forca senza neanche sentire mezza parola in loro difesa! Un momento di brutale instabilità ha rischiato di spazzare via le convinzioni di una vita, trasformandomi in un boia nel profondo del mio cuore. Ciò che feci quella sera lo fecero in molti, ciò che dissi quella sera Io dissero in molti. Esiste una sola cosa in mia difesa, e in difesa di tutte quelle persone: l'ignoranza. A quel tempo non sapevo che cosa fosse l'anarchismo. Non lo avevo mai visto all’opera, avevo soltanto sentito alcune storie al riguardo in cui era sempre usato come sinonimo di confusione sociale e di delitto. Avevo fiducia nei giornali. E dunque pensavo davvero che quegli uomini avessero lanciato la bomba in maniera ingiustificata tra Ia folla di uomini e donne, presi dal perverso piacere di uccidere. Questo pensarono anche milioni di altre persone. Ma tra quei milioni, vi erano alcune migliaia di persone, e sono lieta di essere una di queste, che non si limitarono ad abbandonare Iì la questione.
Non so bene che ritorno di dignità umana si scatenò in me, se fosse il sospetto di non essere a conoscenza di tutta la verità sul caso, iniziando quindi a dubitare dei giornali, o se magari fosse quella sotterranea compassione che spesso spinge il cuore a schierarsi dalla parte degli accusati, senza una vera ragione. Ciò che so è che, quantunque al tempo dell'esecuzione non fossi anarchica, giunsi ben presto alla conclusione che l'accusa fosse falsa, il processo una farsa e la loro condanna illegittima per qualsiasi legge e qualsiasi giustizia. Capii che la minacciata impiccagione sarebbe stata il gesto di una società che urlava ciò che anch'io avevo urlato quella prima sera: una società con gli occhi chiusi e le orecchie tappate che era decisa a non vedere nulla se non la pura rabbia e la vendetta. Fino alla fine sperai che vi fosse una qualche indulgenza, ma di certo non vi fu alcuna giustizia. Così, dal momento in cui mi fu chiaro, non mi fidai più delle leggi e degli avvocati, dei giudici e dei governanti. Con tutta me stessa avevo ora la necessità di capire per che cosa si erano battuti quegli uomini, per quale motivo erano stati impiccati, considerando che non fu mai provato che avessero qualcosa a che fare con quella bomba.
A poco a poco, cercando qua e là, capii che ciò per cui si battevano era un nobile ideale e che erano stati impiccati perché volevano condividerlo con la gente comune. Quella stessa gente che era pronta a impiccarli, a causa della loro ignoranza, proprio come erano pronti a farlo, nella più pura malvagità, la corte e il pubblico ministero! A poco a poco capii che quegli uomini avevano una visione dei diritti umani più libera di chiunque altro e che, mossi da umana compassione, desideravano condividere questa loro visione con tutti gli altri. E così fecero a gran voce in quella piazza. A poco a poco compresi che la miseria, la penosa sottomissione e la terribile umiliazione inflitte ai lavoratori, che tanto avrebbero gravato sul mio cuore via via che mi diventavano evidenti (come dovrebbe accadere a chiunque abbia un cuore), avevano colpito ancor di più i loro cuori, li avevano colpiti talmente in profondità che non intendevano concedersi alcuna tregua fintanto che non avessero trovato una via d'uscita. E questo era molto più di quanto io avessi mai immaginato. Io non avevo mai avuto l'ardire di sperare che non vi fossero più né ricchi né poveri, ma soltanto la vaga idea che i ricchi non dovessero essere così ricchi e i poveri così poveri. Pensavo soltanto che se i lavoratori si fossero uniti avrebbero potuto ottenere salari leggermente migliori e qualche ora di lavoro in meno. Fu il messaggio di questi uomini (e la loro morte proiettò quel messaggio anche là dove vi era qualcuno che altrimenti non lo avrebbe sentito) a dirmi che questi sogni così piccoli erano solo una follia. Non era nell'esigere poco, nello scioperare per un'ora di lavoro in meno, nel «far partorire un topolino alla montagna», come si suol dire, che si sarebbe arrivati a una liberazione duratura. Era piuttosto nell'esigere molto, nell'esigere tutto, nella capacità del lavoratore di difendere i propri diritti e lavorare le ore che egli ritiene giuste e necessarie, non nel lavorare le ore decise da qualcun altro. È questa la via d'uscita. Quel messaggio, insieme al messaggio di altri il cui lavoro e la cui morte attirò la mia attenzione, mi trasportò su una gigantesca collina dalla quale potevo vedere i tetti delle fabbriche di quel piccolo mondo. Lì ho visto i macchinari, ciò che gli uomini avevano creato per alleggerire la fatica, quelle meraviglie, quei miracoli di ferro, eppure li vidi affondare i propri denti nella carne stessa dei lavoratori.
Ho visto uomini mutilati e storpi zoppicare nell'oscurità che fagocita i più poveri, uomini scartati come rifiuti persino dalla miseria che si suicidano nell'angolo più buio dove la melma nera li avvolge.
Ho visto il fuoco rosso delle fornaci industriali illuminare il volto pallido dell'uomo ad esse incaricato. Egli sa, come io so, che mai un uomo riuscirà a purgare il proprio sangue da un fuoco come quello.
Ho visto corpi anneriti, mutilati e schiacciati, rigettati dalla bocca di una miniera per essere riposti in una tomba meno stretta e meno oscura di quella in cui il loro corpo ancora in vita doveva lavorare piegato per dieci, dodici, quattordici ore al giorno.
Lo facevano perché io potessi stare al caldo, lo facevano per me e per te e per coloro che non hanno mai fatto i lavori più sporchi e più duri. Si sono sfiancati per noi in quelle tombe dipinte di nero, finendo poi schiacciati sotto i massi.
Ho visto cumuli di scorie nelle strade delle grandi città e tutt'intorno canali di scolo tanto profondi che non si poteva vedere nulla al loro interno se non lo scintillio di occhi simili a quelli degli animali selvaggi intrappolati in buche scavate nel terreno. E so che nessun uomo libero avrebbe mai scelto di lavorare Ià, con pala e piccone, in quel tremendo fosso pieno di liquami, a respirare il gas delle fogne per sei, otto o dieci ore al giorno. Soltanto gli schiavi lo farebbero.
Ho visto uomini spalare il carbone nelle profondità di un transatlantico, la loro pelle accartocciata come carta scottata davanti al fuoco, e so che il «record» di quel meraviglioso mostro e i cosiddetti piaceri delle signore che ridevano allegramente sui ponti della nave erano pagati con i corpi bruciati e le anime appassite di queste persone.
Ho visto i carretti delle persone che frugano tra i rifiuti andare su e giù per la città, trainati da bestie cupe e guidati da altre ancora più meste, poiché mai un uomo in pieno possesso della sua individualità sceglierebbe di passare i suoi giorni in quel nauseabondo tanfo, in quel fetore che possono neutralizzare solo tracannando litri e litri di alcol.
Ho visto intossicarsi chi lavora a contatto con i metalli pesanti e impazzire chi lavora nelle raffinerie di zucchero, ho visto tanti perdere il decoro nelle fabbriche e imparare a mentire nei negozi.
So che è stata la schiavitù a farglielo fare e ho di conseguenza capito che hanno ragione gli anarchici: l'intero sistema va cambiato. L'intero sistema di produzione e distribuzione è sbagliato. È l'idea stessa che abbiamo della vita a essere sbagliata.
Così ho messo in discussione il governo, e sono loro che mi hanno insegnato a farlo. Cosa avete fatto, voi custodi della Dichiarazione d'Indipendenza e della Costituzione, cosa avete fatto per risolvere tutto questo? Cosa avete fatto per preservare le libertà del popolo?
Avete mentito, ingannato, preso in giro, truffato, comprato e venduto, e avete fatto tutto questo arricchendovi! Avete venduto la terra e non ne avevate il diritto. Avete ucciso le popolazioni aborigene per potervi appropriare della loro terra in nome della razza bianca e poi rubarla di nuovo, per renderla ancora e ancora a un secondo o a un terzo ladro. E questa continua compravendita della terra ha spinto le persone lontano dal sano ambiente rurale, lontano dall'aria pulita, per portarli in quei cumuli in decomposizione che chiamate città. Quelle città che sono il luogo dove viene commessa ogni oscenità, dove il turpe lavoro genera corpi e anime turpi. I nostri figli vengono corrotti dai vizi prima ancora di diventare adulti e le nostre figlie, ah! Come direbbe John Harvey:

Abbiamo generato ancora una figlia bianca e dorata,
Lei guarda alle terre piene d'acqua, ai prati erbosi
e si perde nel mondo; le hanno strappato il suo campo e il suo gregge
Ma la Città, la Città l'ha comprata
L'ha venduta
Poco alla volta, a studenti, a ratti,
e ne resta soltanto il fetore nel cimitero.

Signori, siete voi i colpevoli, voi che non solo avete ideato il concetto di governo ma avete fatto in modo che questa rovina ricadesse su tutti, tanto che persino voi stessi siete stati corrotti da questa depravazione. Voi esistete con il solo scopo di concedere privilegi al più alto offerente, limitando così la libertà degli uomini di lavorare, costringendoli a rendersi in questo orrendo mercato della schiavitù, oppure a diventare vagabondi, mendicanti, ladri, prostitute e assassini. Una volta fatto tutto questo, che altro fate per queste creature che voi stessi avete creato? Proprio voi che date l'esempio per ogni cattiva azione? Vi commuovete quando durante le messe a cui molti di voi partecipano vengono ricordate le parole dei gran maestri della vostra religione. Ma andate mai da queste povere creature distrutte e rovinate per compiere un gesto d’amore? Le amate, le aiutate forse, insegnate loro a migliorarsi? Certo che no: costruite grandi e solide prigioni e proprio lì le picchiate, le affamate, le impiccate, arruolando altre persone che il vostro sistema ha reso così abiette da essere disposte a uccidere chiunque venga loro detto di uccidere in cambio di un piccolo compenso mensile.
È questo il governo, ed è sempre stato questo: un creatore e difensore di privilegi, un'istituzione di oppressione e vendetta. Sperare che possa diventare qualcos'altro è la più vana delle illusioni. Vi dicono che l’anarchia, il sogno di un ordine sociale senza un governo, sia una folle fantasia. Ben venga allora il sogno più folle che sia mai entrato nel cuore dell'uomo: il sogno di un'umanità che possa collaborare senza doversi appellare alle leggi, che possa costituire un ordine sociale che non porti ad alcuna schiavitù, privando così il governo di ogni scusa per esistere.
È stato perché volevano dire queste cose al popolo che cinque persone sono state uccise. Volevano dire al popolo che l'unico modo per uscire dalla loro miseria è innanzi tutto conoscere i propri diritti su questa Terra, come la libertà di coltivare i campi e di avere accesso a tutti i mezzi di produzione. Volevano dire a tutti gli uomini che devono stare uniti e prenderseli questi diritti, invece di chiedere aiuto ai giocolieri della legge. Aboliamo la legge e così aboliremo il privilegio, e a sua volta il crimine si abolirà da solo.
Vi diranno che questi uomini sono stati impiccati per aver fatto ricorso alla violenza. Ve lo diranno quelle stesse persone che addestrano gli uomini nella scienza di uccidere, che mettono pistole e manganelli in mani a cui poi insegnano a sparare e colpire. Quelle stesse persone che accolgono con gioia le nuove invenzioni nel campo degli esplosivi, che esultano di fronte ai congegni che possono uccidere di più con la minor spesa, che dichiarano una guerra di sterminio alle persone che non condividono questa loro civiltà. Quelle stesse persone che stuprano, bruciano, garrotano, ghigliottinano, impiccano e uccidono con l'elettrocuzione. E proprio loro hanno il coraggio di parlare di quanto turpe sia la violenza.
Gli uomini che sono stati uccisi hanno invece difeso il proprio diritto a resistere a questa violenza! Ne troverete uno su mille che non crede a questo diritto e sarà sicuramente un cristiano o un anarco-pacifista. Ma di certo non sarà un fautore dello Stato. No, non fu per sostenere la violenza per principio che i cinque di Haymarket avevano preso la parola, ma per sostenere una resistenza violenta a questa tirannide, per sostenere una società che ponga fine alla ricchezza e alla povertà, ai governanti e ai governati.
Lo spirito di vendetta, che è sempre una cosa sciocca, ha compiuto il suo brutale atto. Avesse alzato gli occhi al cielo, forse avrebbe visto sullo sfondo del patibolo, in quella gelida mattina di novembre, l'alba dell'anarchia illuminare il mondo. All'inizio c'è stato solo un barlume di speranza per il proletario, la chiamata a insorgere e a scrollarsi di dosso le sue catene materiali. Ma gradualmente la luce si è espansa, anno dopo anno, e lo scienziato, il genio letterario, l'artista, l'insegnante consapevole hanno cominciato a mettere insieme i loro migliori lavori, lavori non retribuiti ma fatti per amore. Così oggi non si parla più soltanto di emancipazione materiale, ma verso l'anarchia convergono tutte quelle linee di pensiero e di azione che per trecento anni si sono mosse verso la libertà. Essa oggi vuol dire pienezza dell'essere, vuol dire una vita libera.
E lo dico con audacia, malgrado la recente repressione, malgrado le grida che incitano al linciaggio, agli incendi, ai colpi di pistola, alle carcerazioni, alle deportazioni, a marchiare le fronti con una «A» che richiama la Lettera Scarlatta, una decorazione estetica che hanno chiamato «il bottone». Malgrado tutto ciò, da duemila anni nessuna idea ha scosso il mondo come ha fatto questa. Nessuna ha avuto una forza così viva da riuscire a rompere le barriere di razza e di classe, tanto da attrarre principi e proletari, poeti e meccanici, quaccheri e rivoluzionari. Nessun altro ideale come quello di una vita pienamente libera è stato abbastanza forte da attrarre nelle sue schiere l'uomo la cui infinita pietà e comprensione va tanto al prete ipocrita quanto alle vittime della frusta siberiana; il tenero ribelle che ha abbandonato titoli e ricchezze per stare dalla parte dei lavoratori e lavorare con loro; o il soave cantore che ha intonato con forza il canto: «Né servi né padroni». E insieme a loro c'è chi non misura l'amore che dà né si aspetta che venga restituito, chi è ben consapevole che «non vuole governare, ma non intende essere governato», il filosofo che ha cantato le lodi del Superuomo, la militante devota al popolo. Questi e tanti altri! Lampi ribelli che si sprigionano dall'enorme nube scura e minacciosa di chi rimane anonimo; anime ribelli che la brutalità del governo e del capitalismo ha colpito, vessato, spinto alla cieca rabbia; giovani leoni della rivolta, un po' folli, che come novelli Winkelried offrono i propri cuori alla punta delle lance.

 
[Free Society, 24/11/1901
ora in Un'anarchica americana, ed. Eleuthera, 2017]