Brulotti

Tutti in trappola

 
Aquisgrana è una città tedesca situata in prossimità del confine con i Paesi Bassi e con il Belgio, considerata la più occidentale della Germania. Famosa, oltre che per le sue sorgenti termali, per essere stata in passato sede della corte di Carlo Magno, le cui ceneri sono qui custodite all'interno della Cattedrale da lui stesso fatta costruire nel 786 e dove per molti secoli sono state celebrate le incoronazioni dei re francesi e tedeschi, questa città pare sia apprezzata anche da chi abbisogna di facili vie di fuga per le proprie operazioni mordi-e-fuggi. Con due confini ad una manciata di chilometri, quello olandese e quello belga, non stupisce che Aquisgrana sia diventata un crocevia di qualche attività poco rispettosa della legalità. La polizia locale ne è a conoscenza, onde per cui ogni qualvolta indaga su qualche reato compiuto in città non manca di chiedere il sostegno dei suoi colleghi internazionali. Dopo questa premessa, veniamo ai fatti.
L'8 luglio 2013 le casseforti di una filiale della Aachener Bank vengono alleggerite da alcuni rapinatori, che si allontanano indisturbati senza colpo ferire. Una di loro è una donna. Un fatto di cronaca fra tanti, se non fosse per un incredibile triplo colpo di scena. Undici giorni dopo la rapina, all'interno della banca vengono rinvenute due pistole scacciacani, per gli inquirenti abbandonate dagli autori del colpo. Bizzarro. Quei rapinatori sembrano essere alquanto sbadati. Sì, ma anche i poliziotti tedeschi non scherzano quanto a sbadataggine, dato che avevano già perquisito la banca da cima a fondo senza trovare nulla. Proprio bizzarro. Sì, ma comunque i rapinatori sono ancora più distratti di loro, perché su quelle scacciacani avrebbero lasciato tracce di Dna. Sempre più bizzarro. Si tratterebbe di un Dna compatibile con quello presente nell'archivio genetico della Gran Bretagna e corrispondente ad un’anarchica di Amsterdam, incappata in una disavventura nella «perfida Albione», la quale a partire da una data imprecisata viene messa sotto controllo.
Il 19 novembre 2014, sempre ad Aquisgrana, una nuova rapina prende di mira la Pax Bank (un istituto di credito legato al Vaticano). Anche questa volta fra i rapinatori c'è una donna, anche questa volta la polizia vanta d’essere in possesso del suo Dna — che però risulta sconosciuto — prelevato da una parrucca rinvenuta a qualche centinaio di metri di distanza dalla banca svaligiata. Due mesi dopo, nel gennaio 2015, la polizia tedesca invia ai colleghi europei quest'ultimo profilo genetico chiedendo eventuali riscontri. A marzo la polizia catalana comunica agli inquirenti tedeschi che il Dna è compatibile — udite, udite! — con quello presente su un guanto trovato per strada subito dopo un'azione avvenuta a Barcellona nel giugno 2009 nel corso di una iniziativa di protesta, un guanto la cui mano non era stata identificata. La polizia tedesca e quella spagnola non hanno dubbi: la pista è quella giusta, sarà provato scientificamente. E iniziano a indagare sugli ambienti di movimento di Barcellona. La polizia catalana preleva di nascosto il Dna di molte compagne, seguendole una ad una e raccogliendo i mozziconi di sigaretta o le bottiglie vuote che si lasciano alle spalle. Tre mesi dopo, a fine giugno 2015, una lattina di birra gettata da una compagna — ben nota alle forze dell'ordine, perché già imprigionata per un periodo di tempo nell'ambito della operazione Pandora, nel dicembre 2014 — viene mandata in laboratorio per le analisi di rito, la cui risposta arriverà ad ottobre: bingo, il suo Dna risulta compatibile! Anche questa anarchica viene messa sotto controllo.
Nel frattempo, nel luglio 2015, la compagna olandese ritenuta responsabile della prima rapina viene arrestata alla frontiera greco-bulgara, mentre è in vacanza, su mandato internazionale spiccato il 24 giugno. Dopo tre settimane di detenzione in Bulgaria, viene estradata in Germania per essere posta in Untersuchungshaft — «detenzione d'inchiesta» — condizione che consente alla procura di tenere i sospettati in carcere per lunghi periodi senza l’obbligo di formulare accuse specifiche.
Il 2 dicembre 2015 questa compagna olandese viene formalmente accusata di rapina, sequestro di persona e detenzione d’armi, ma due settimane dopo il tribunale ne ordina il rilascio. Le prove a suo carico sarebbero troppo vaghe. Gli inquirenti tedeschi faranno appello, respinto in prima istanza ma accolto in seguito da un tribunale superiore. Sebbene libera e rientrata a casa, resta in attesa di processo mentre una procura furiosa cerca nel frattempo di ottenere un nuovo mandato di arresto.
Il 13 aprile 2016 la polizia catalana effettua perquisizioni in due case e in un centro sociale di Barcellona, arrestando l'anarchica il cui Dna sarebbe compatibile con quello rinvenuto sulla parrucca usata per la seconda rapina, quella del novembre 2014.
Il 21 giugno 2016, sempre a Barcellona, viene tratto in arresto un altro anarchico — anch'egli assai noto alle forze dell'ordine, avendo scontato una pena di 10 anni di carcere in Portogallo — accusato di aver preso parte alla seconda rapina. Ad inchiodarlo sarebbe, tanto per cambiare, una traccia di Dna lasciata su alcuni vestiti che sarebbero stati utilizzati dai rapinatori. Per ottenere il suo profilo genetico la polizia catalana ha inscenato un falso controllo stradale, sottoponendolo ad un test alcolemico. Subito estradato in Germania, si trova ora rinchiuso nel carcere di Aquisgrana, mentre la sua presunta complice — estradata il 29 giugno — è imprigionata nel carcere di Colonia.
Il 6 luglio, ad Amsterdam, la polizia ferma ancora una volta la compagna olandese per una nuova richiesta di estradizione in Germania. Sarà rilasciata il 15 luglio, avendo il tribunale decretato che può attendere a piede libero la decisione sulla sua estradizione, fermo restando il sequestro del passaporto e l'obbligo di firma settimanale. L'udienza per la sua estradizione viene fissata per il 1 settembre, e non si conosce ancora l’esito.
 

Ora, davanti a questa vicenda il minimo che si possa fare è sostenere con forza i compagni che si trovano negli artigli dello Stato tedesco. Senza porsi minimamente la questione della loro effettiva responsabilità nei fatti imputati. Che essi non abbiano mai messo piede ad Aquisgrana, o che abbiano davvero prima una e poi gli altri svaligiato una banca nella città di Carlo Magno, beh, ciò non costituisce motivo di imbarazzo da nessun punto di vista. Non può né generare vittimismo, né destare scandalo. Da un lato perché tutti gli anarchici sono colpevoli agli occhi dello Stato, colpevoli di amare follemente la libertà. Dall'altro perché, se in Germania persino un vecchio stalinista come Bertolt Brecht amava sostenere pubblicamente che i veri criminali sono i banchieri e non i rapinatori, figurarsi se allungare le mani sui profitti degli odierni pescecani in doppiopetto può essere considerato da noi riprovevole. E pazienza se questa solidarietà in atto dovesse essere interpretata come complicità di fatto da chi non vede l'ora di dare il via a retate più ampie, ricamando congetture sopra singoli episodi.

No, il nostro cruccio è un altro. È lo scenario da incubo che questa vicenda, così come si sta dipanando, lascia profilare all'orizzonte. Qui, nonostante le apparenze, non si tratta semplicemente dell'ennesima operazione di guerra dello Stato contro i suoi acerrimi nemici, gli anarchici. Non è soltanto la libertà di alcune teste calde ad essere in gioco, è quella di tutti. Per spiegare cosa vogliamo dire, ci sia permesso fare un salto all’indietro, ad un'altra storia di rapine e di anarchici.
A noi la storiella delle scacciacani dimenticate in banca e rinvenute undici giorni dopo dotate di Dna ci ha fatto venire in mente la «cartata» che tanto ebbe un ruolo nell'inchiesta Marini, alla fine degli anni 90, allorquando il Reparto Operazioni Sporche dei carabinieri cercò di incriminare decine e decine di anarchici inventandosi una organizzazione armata sulla base delle dichiarazioni di una falsa pentita (l'ex di un anarchico da poco arrestato per rapina). Cos’era accaduto durante la perquisizione dell'abitazione che questa triste ragazza condivideva con l'anarchico arrestato per rapina in un'altra città — perquisizione conclusasi alla fine con il ritrovamento di un involucro di carta contenente una manciata di pallottole? Lo rivelò con stupefacente candore un carabiniere nel corso di una udienza del processo. Interrogato dal presidente della Corte sulle modalità di quel ritrovamento, il carabiniere ricordò che il domicilio era stato perquisito tre volte di seguito, e solo l'ultima perquisizione aveva dato infine un esito positivo. Come mai? Semplice. Tutto merito dell'ufficiale responsabile, il quale al termine della seconda perquisizione aveva ordinato ai suoi uomini di uscire dall’abitazione, dovendo assentarsi momentaneamente, e raccomandato loro di attenderlo. Dopo poco aveva fatto ritorno, era rientrato nella casa e aveva dato il via alla terza perquisizione. E finalmente fu ritrovata la «cartata» con le pallottole. A quel punto un avvocato della difesa, incredulo: «dovevano essere nascoste proprio bene quelle pallottole per sfuggire a due perquisizioni, dove si trovavano?». Il carabiniere, senza battere ciglio, rispose: «erano proprio lì, sulla credenza». Poco dopo, mentre tutti i giudici abbassavano gli occhi per l'imbarazzo, un presidente della Corte pallido e madido di sudore tagliò corto e ordinò di passare ad un altro teste.
Eccolo, il punto. L'essere umano è imperfetto, sbaglia, ricorda male, commette errori, cambia idea. Un dato scientifico no. La falsa pentita fece andare su tutte le furie il magistrato mentre, nel corso dell'interrogatorio in aula, dava risposte palesemente ridicole ed inattendibili. Ma la risposta del Dna, quella, è univoca e non fallisce nel suo compito. Non ha bisogno d’essere confermata, basta di per sé. Le polizie di tutto il mondo hanno i mezzi per raccogliere, schedare ed archiviare il Dna di tutti gli indesiderabili (e chi non lo è oggi, può sempre diventarlo domani). Come dimostra quanto accaduto in Spagna, non devono nemmeno farlo seguendo una procedura ufficiale. Lo stanno già facendo, all'insaputa di tutti. Poi, per liquidare questi indesiderabili, non devono fare altro che «ritrovare» un Dna compatibile sulla scena di un crimine. A loro discrezione e piacimento, ovunque sul continente. Niente potrà confutarlo. Per altro, con il passare del tempo e per quel poco che vale, ogni alibi diventa anche difficile da presentare. Voi dove eravate l'8 luglio del 2013 o il 19 novembre del 2014? Ve lo ricordate? Lo potete dimostrare? Qualora non abbiate timbrato un cartellino sul lavoro, o non siate stati ricoverati in ospedale, allora avreste potuto esserci anche voi in quelle banche di Aquisgrana. Poco importa se vivete a 1.350 chilometri di distanza, quella che separa la città catalana dalla capitale del regno di Carlo Magno, basta che un Dna compatibile con il vostro venga colà ritrovato per inchiodarvi come responsabili di un crimine e farvi finire dritti in galera. A stabilirlo può anche essere solo un qualsiasi sbirro ammalato di protagonismo. Ed eccolo l’altro punto. Dopo l’approvazione del mandato di cattura europeo, chiunque potrebbe essere in qualsiasi momento, all’improvviso, prelevato dal luogo in cui vive e deportato in un altro paese, scaraventato in una realtà sconosciuta, privato della possibilità anche solo di rendersi conto di quanto sta accadendo. Non è certo un caso se la compagna olandese, controllata da tempo, è stata arrestata nel momento in cui si trovava più distante da casa, in un paese straniero, lontana da tutto e da tutti, venendo subito posta in una condizione detentiva del tutto nebulosa. In questa maniera, come poteva difendersi e venire sostenuta?
Tutto ciò costituisce una potentissima arma di pressione e di repressione nelle mani dello Stato, anzi, degli Stati, vista l'alacre collaborazione fra le loro polizie. La galera non ha piegato questi tre anarchici, che hanno mantenuto intatta la propria dignità, il proprio amore per la libertà, il disprezzo per ogni autorità. Ogni pressione nei loro confronti è risultata vana. Ma spetta a tutti noi riuscire a sottrarli alla repressione, contribuire a spuntare questa arma che tengono al collo non solo a loro, non solo agli anarchici o ai sovversivi in generale, ma a tutti indistintamente. Non si tratta di entrare in un tribunale ed intavolare una disputa tecnico-legale, non intendiamo affatto far capire ai giudici che la compatibilità del Dna costituisce al massimo un indizio tutto da verificare, si tratta di uscir fuori e sollecitare chiunque a scatenarsi in difesa di quanto più prezioso vi sia: la libertà.
 
[3/9/16]