Brulotti

Si-può-fare

Mary Shelley
 
Come mi trovai fra le mani un potere così sbalorditivo, esitai a lungo circa il modo di utilizzarlo. Per quanto possedesse la capacità di suscitare la vita, pure la creazione di una forma atta a riceverla, con tutti i suoi intrichi di fibre, di muscoli e di vene, restava sempre un'impresa di difficoltà e di fatica inconcepibili. Fui incerto dapprima se tentare la creazione di un essere come me o quella di un organismo più semplice, ma la mia immaginazione era troppo esaltata dal successo conseguito per permettersi di dubitare della mia capacità di dar vita ad un animale complesso e meraviglioso come l'uomo. I materiali cui potevo in quel momento ricorrere apparivano inadeguati ad un'impresa così ardua. Mi preparai a una serie di insuccessi: forse i miei sforzi sarebbero stati continuamente delusi, e forse alla fine la mia opera sarebbe riuscita imperfetta; pure, quando consideravo i quotidiani progressi della scienza e della meccanica, ero incoraggiato a sperare che i miei tentativi avrebbero almeno gettato le basi di una futura vittoria. Né la grandezza e la complessità del mio piano mi apparivano come indici della sua pratica inattuabilità. Così mi accinsi alla creazione di un essere umano. Poiché la piccolezza degli organi rappresentava un grande ostacolo alla mia fretta, decisi, contrariamente alla mia intenzione, di costruire una creatura gigantesca, alta otto piedi circa e robusta in proporzione.
Nessuno può immaginare la complessità dei sentimenti che, come un uragano, mi travolsero nel primo entusiasmo del successo. Vita e morte mi apparivano legami ideali che io per primo avrei potuto spezzare, rovesciando sul nostro buio mondo un torrente di luce. Una nuova specie mi avrebbe benedetto come sua origine e creatore; molti esseri eccellenti e felici avrebbero dovuto a me la loro esistenza. [...]
Sala anatomica e mattatoio mi fornivano buona parte di ciò che mi occorreva; spesso la ma natura si ritraeva disgustata da quello di cui mi stavo occupando, mentre, spinto da un'ansia sempre crescente, progredivo nel mio lavoro e lo avviavo alla conclusione. [...]
Era una cupa notte di novembre quando vidi il coronamento delle mie fatiche. Con un'ansia che assomigliava all'angoscia, raccolsi attorno a me gli strumenti atti a infondere la scintilla di vita nell'essere inanimato che giaceva ai miei piedi. Era quasi l'una del mattino; la pioggia batteva monotona contro le imposte e la candela avrebbe presto dato i suoi ultimi guizzi quando, alla luce che stava per spegnersi, vidi aprirsi i foschi occhi gialli della creatura; respirò a fatica, e un moto convulso le agitò le membra. [...]
Una mummia ritornata alla vita non avrebbe potuto essere più spaventosa. Lo avevo osservato quando era incompiuto: era già brutto allora; ma quando muscoli e giunture erano stati resi capaci di moto, era diventato qualcosa che neppure Dante avrebbe saputo concepire.