Brulotti

Appendi il tuo tiranno

Harry Goni (Enrico Arrigoni)
 
Non è di Mussolini, Primo de Rivera o Stalin che vogliamo parlare questa volta. È di te stesso, tu che ti dici anarchico.
È il tiranno che ti porti dentro al tuo corpo, dentro il tuo cervello che vogliamo indicare. Non ti confondere: non cercare il tiranno all’infuori di te, quando lo tieni tanto vicino. Non inseguire i fantasmi attorno alla tua casa, quand’essi ti passeggiano tranquillamente dentro e fanno di te il loro trastullo, l’oggetto delle loro risate di dileggio.
Sei tu forse un redentore di schiavi? E non ti sei ancora accorto quanto poco redento e libero sei tu stesso? Vuoi creare degli uomini di carattere, di volontà, padroni del loro corpo e del loro spirito? E non t’avvedi che i vizi e le passioni malsane divorano e fanno di te un povero cencio umano, che d’umano non hai più che l’apparenza? Come puoi spezzare le catene del tuo vicino se i tuoi ceppi ancora t’impediscono di muoverti?
Credi tu forse che il problema della felicità umana consiste solamente nel distruggere il vil e panciuto borghese? E poi?
Se noi non siamo migliori di lui per la nostra mentalità conservatrice, fanatica e settaria, credi forse che la nostra società sarà molto migliore? O attribuisci la nostra meschinità, spesse volte la nostra bassezza, sempre al nemico?
T’impedisce, forse, il tiranno esteriore d’essere libero spiritualmente? Non ce lo può impedire; non ce lo possono impedire i suoi milioni di mercenari, le sue catene, le sue galere. E perché continuiamo a trascinare i ceppi dei nostri pregiudizi? Non te n’avvedi? Ecco la piaga. Ecco i veri tiranni che cento rivoluzioni non potranno distruggere.
Ecco dove l’individualismo entra in gioco come elemento imprescindibile di rivoluzione individuale, prima; rivoluzione collettiva, poi.
Ecco perché le altre teorie non ci soddisfano; ecco perché le altre tendenze ci sono sospette e richiedono da noi la vigilanza costante verso le loro mire pericolose in riguardo alla nostra integrità individuale.
Perché tutte si vogliono impossessare di noi e incaricarsi loro della nostra libertà e della difesa dei nostri diritti, mentre questa nostra libertà e diritti li vogliamo difendere direttamente noi stessi. Ci si vuole legare per forza al loro carro; includerci alla medesima chiesa, soggiogare alla medesima catena.
Nessuno ci dice: sii te stesso, appartieniti, sii il padrone assoluto del tuo corpo e del tuo spirito, e l’offerta tua sia completamente volontaria, e come fine immediato la tua propria soddisfazione. Tutti ti vogliono immolare, accaparrare per la loro idea, il loro partito; perché tutti vogliono far di te un bamboccio facile da condurre per il naso dove a loro fa comodo.
Perché riesce loro così facile la tragica commedia? Perché non hai saputo ancora per davvero appendere i tiranni interiori che fanno di te un debole, un castrato, un individuo sempre incline ad abdicare la difesa della tua personalità.
Noi non cerchiamo alcuna dominazione su di te. Se facciamo di te uno schiavo, noi saremo schiavi alla tua propria schiavitù. È fra esseri liberi che ci si può sentire interamente liberi. È fra esseri emancipati da ogni tutela, da ogni pregiudizio, che l’unità umana trova il suo benessere completo.
Noi ci sentiamo perfino liberi da questa stessa opera nostra, e l’amiamo perché essa ci offre il mezzo di perfezionare, di completare la nostra personalità. L’amiamo, perché è essa stessa un mezzo per noi di perfezionamento, di superamento, di liberazione. L’amiamo, perché in essa troviamo lo specchio fedele di noi stessi; perché in essa possiamo dire tutta la verità come noi la sentiamo; perché in essa possiamo essere e sentirci, senza alcuna limitazione, veramente il centro del nostro mondo: la prora, il timone, la vela.
Ma se dovessimo mentire, umiliarci, commettere delle bassezze, adulare, vituperare, diffamare per mantenere in vita la nostra opera, le spezzeremmo immediatamente le costole, perché allora non sarebbe più che la pelle delle nostre torture, la nostra vergogna, il letamaio della nostra povertà spirituale.
Perché non vivendo la nostra pancia d’essa, in essa non cerchiamo che delle soddisfazioni elevate, nobili, delle gioie prive di calcoli grossolani e volgari, e queste non si possono trovare che nell’assoluta sincerità con noi stessi.
Non intendiamo offrire la rivista come si vende il salame e cercare di conquistare le simpatie di chi più ne compra con delle piroette indecenti e dell’adulazione. Il desiderio di fare un po’ di propaganda, sostenuto potentemente dalla vanità di fare veramente qualcosa per la liberazione dell’individuo — primi noi stessi — dai mille tirannucci che ne tormentano l’esistenza, è ciò che ci ha spinti a intraprendere quest’opera.
Non è l’ambizione d’apparire grandi agli occhi degli altri, per vedere degli adoratori ai nostri piedi che ci fa agire, perché già dichiarammo che ce ne beffiamo di tutti coloro che non sanno essere se stessi e cercano sempre un qualche dio d’adorare... Se malgrado tutti i nostri avvertimenti voi persistete a considerarci dei padreterni fatti o in preparazione, gli imbecilli siete voi, che vi ostinate ad essere dei somari e degli schiavi.
Quello a cui noi aspiriamo, l’ambizione che vogliamo soddisfare, è quella d’essere grandi con noi stessi; d’essere liberi, e noi stessi in ogni momento. È così che noi cerchiamo la nostra liberazione e che solo così la liberazione è possibile.
Il nostro linguaggio non vi piace? Vorreste che vi chiamassimo «buon compagno», «caro compagno»? Che bisogno hai, oh anarchico, delle nostre menzogne? Se sei buon compagno, sincero, leale, libero, tu lo devi sapere. Agisci coerente ai tuoi principii e puoi infischiartene di tutti coloro che ti chiamano buon compagno, perché la tua soddisfazione la ritrarrai nella tua coscienza d’esserlo.
Se tu sei falso, bugiardo, ipocrita, svergognato, canaglia, anche se gli altri ti chiameranno tutto il contrario, ti sentirai per questo felice in te stesso? Se ti è facile ingannare gli altri, potrai fare la stessa cosa con la tua coscienza?
Dirai che alla fin dei conti la coscienza non esiste e che ciò che conta è ciò che si ottiene con la nostra propria commedia? Non dirai, invece, che la nostra felicità l’otteniamo solo nel grado di armonia che sappiamo stabilire fra le nostre aspirazioni e ciò che pratichiamo? Ammesso pure che il primo caso fosse vero, non ti sentiresti più felice se potessi creare quest’armonia interiore e stimarti un poco meglio di un buffone ed un birbante? Oppure vuoi creare la tua felicità su delle illusioni e delle menzogne?
Potremmo noi essere liberi se non fossimo innanzi tutto liberati dalla necessità e dal bisogno di mentire? Come puoi pretendere la sincerità e la correttezza; come puoi pretendere che qualcuno creda alla tua parola, accetti di compiere un’opera in tua collaborazione se egli diffida della tua fedeltà ai patti stabiliti, se egli sospetta che nascosto nella manica nascondi il pugnale per pugnalarlo al momento opportuno onde sottrarti alle tue obbligazioni?
Non ignorerai che l’anarchia — che dici esserti tanto cara — non basandosi sull’autorità, la violenza, l’imposizione, deve basarsi necessariamente sul compimento volontario e coscienzioso dei patti stabiliti fra individui e individui e collettività, o l’anarchia è una solenne derisione, una corbellatura a noi stessi ed essa non sarà mai realizzabile?
Dà uno sguardo coscienzioso al nostro campo, oh anarchico sincero, e dimmi se esso non assomiglia ad una di queste tre cose, o a tutte e tre: una portineria, un circo equestre o un cimitero?
Non ti accorgi che l’uomo libero non può più respirare in questo marasma di meschinità e decadenza?
O rinnovarci o morire!
La paralisi ha già invaso il nostro corpo e la luce della maldicenza e della cattiveria lo sta già divorando.
Non t’avvedi dei corvi che calano ovunque sul povero corpo in deperimento dell’anarchismo?
Ma non si deve morire di soffocamento. Bisogna far spazio; spezzare il cerchio del dogmatismo e del settarismo.
Un campo aperto deve essere l’anarchismo; aperto a tutte le contese; aperto a tutti gli esperimenti. Niente accaparramento; niente asserragliamento.
Da anni non si vive che d’abitudine, di tradizione. Malatestiano, Kropotkiniano, Stirneriano, Galleanista. Al diavolo tutti quanti, se essi non servissero che a far di noi dei pappagalli e dei fonografi. Ma la colpa è tua, non loro, se ti sei abolito il tuo proprio cervello.
Da anni si è impaludati in alcune formule. Ci si accoda, ci si cataloga, ci si pone la cintura di castità della propria chiesa, ed eretico, disertore, traditore è colui che tenta romperla.
Ci si affoga, ci si intisichisce per mancanza di elemento spirituale, di vitalità nuova.
Se non la pensi, se non ti sottometti alle tribù dominanti, sei messo all’indice, vituperato subdolo o pubblicamente.
Si vuole o non si vuole essere per davvero degli anarchici? O si vogliono degli eunuchi, dei montoni, dei conigli che si lascino guidare, sopraffare, tosare docilmente?
Ebbene: eresia si chiama la nostra opera ed eresie saranno molte quelle che rintroneranno nelle vostre orecchie. Se vi scandalizzate, peggio per voi.
Noi vogliamo scuotere, rivoltare, far degli eretici di ognuno di voi, sempre pronti a ribellarsi contro tutti.
Vengano gli sbandati, i disgustati, i nauseati da questa morta gora, da questa agonia lenta nella quale va sprofondandosi l’anarchismo.
A noi i banditi, gli esiliati, gli eretici, i rivoltosi in permanenza.
Né testi, né dèi: voi e le vostre idee.
Siate liberi anche da noi stessi. Ciò che cerchiamo in voi è l’amicizia sincera; la camerateria solida ed onesta; la solidarietà nell’opera comune.
Da uomini liberi.
 
 
[Eresia di oggi e di domani, n. 2, maggio 1928]