Brulotti

Lotta ai radicali liberi

«Coloro che resistevano al regime andavano nascosti sia all'opinione pubblica internazionale, sia in patria per non fare emuli. Ma processarli tutti sarebbe stato troppo costoso, e fucilarli troppo scandaloso. Non restava che il manicomio»
 
Così scrive Alexander Podrabinek, autore dell'opera La medicina punitiva in cui si ripercorre l'uso della psichiatria da parte del regime sovietico per neutralizzare i dissidenti. Non a caso Marija Spiridonova, una leader dei Socialisti Rivoluzionari di sinistra,  già eliminatrice nel 1906 dell'ispettore di polizia governatore di Tambov, venne rinchiusa in manicomio nel 1921. E quarant'anni dopo, nella patria del bolscevismo, entrava in vigore la circolare Per il ricovero d'urgenza dei malati di mente che rappresentano un pericolo pubblico, che estendeva il concetto di «atti socialmente pericolosi che rappresentano un grande rischio per la società». Ma sì, son tutte cose da vecchi regimi totalitari...
Invece no. Il professor Richard J. Bonnie, ordinario di Diritto e direttore della Facoltà di Legge dell'Università della Virginia, sarà costretto a rivedere ed ampliare un suo vecchio saggio intitolato L'abuso politico della psichiatria in Unione Sovietica e in Cina. Pubblicato all'indomani dell'11 settembre, il suo testo si apriva con queste parole: «A un primo sguardo, l'abuso politico della psichiatria sembra rappresentare una questione semplice e senza complicazioni: lo sviluppo della medicina come mezzo di repressione. L'incarcerazione psichiatrica di persone mentalmente sane viene uniformemente percepita come una forma di repressione particolarmente pericolosa, perché usa i potenti mezzi della medicina come fossero strumenti di punizione, e reca un profondo attacco ai diritti umani usando l'inganno e la frode. I dottori che permettono a se stessi di venire usati in questa maniera (di certo come collaboratori, ma anche come vittime di intimidazione) tradiscono la fiducia della società ed infrangono i loro obblighi etici più fondamentali in quanto professionisti. Quando la questione è così semplice, l'abuso politico della psichiatria è universalmente condannato. Persino i regimi che sostengono la repressione psichiatrica trovano moralmente imbarazzante ammettere di essere coinvolti in una pratica così corrotta».
È bastata una strage di avventori francesi lo scorso novembre per fare strage anche di queste ipocrisie che vedono l'orrore sempre a distanza, assegnandogli una comoda lontananza storica e geografica.
L'Ordine Nazionale dei Medici di Francia ha appena diffuso un promemoria sulla Prevenzione della radicalizzazione in cui si legge:
«Definizione di radicalizzazione:
"Per radicalizzazione, s'intende il processo attraverso il quale un individuo o un gruppo adotta una forma violenta d'azione, direttamente legata a una ideologia estremista a contenuto politico, sociale o religioso che contesta sul piano politico, sociale o culturale l'ordine stabilito" (Farhad Khosrokhavar)
La radicalizzazione non deve essere confusa con il fondamentalismo religioso (islam rigoroso): i fondamentalisti sono praticanti che adottano atteggiamenti culturali inflessibili ma non ricorrono alla violenza mentre i radicali legittimano o praticano atti di violenza.
La radicalizzazione si definisce con tre caratteristiche cumulative:
1. un processo progressivo
2. l'adesione a una ideologia estremista
3. l'adozione della violenza».
Sì, avete letto bene. Il fondamentalismo religioso, lo si può capire e quindi tollerare. Ma il radicalismo… Contestare l'ordine stabilito con la forza! Solo un pazzo terrorista, di fatto o in potenza, può farlo. Una persona sana, equilibrata, pacifica — quindi dedita solo al lavoro, a fare soldi per consumare merci — se ha qualche rimostranza da fare la affida al suo candidato di fiducia, oppure scrive una lettera di protesta a qualche giornale. Nulla di più. 
Per chi sgarra, nel migliore dei casi c'è il braccialetto elettronico o la camicia di forza.
 
[19/12/15]