Brulotti

Distrutto, come al solito

 

Aldous Huxley
 
La nostra guida per le vie intricate di Gerusalemme era un giovane cristiano, profugo dall'altro lato del muro che ora divide la città antica da quella nuova, lo Stato chiuso della Giordania dallo Stato chiuso d'Israele. Era un giovane malinconico e amaro. Aveva ben motivo d'esserlo. I suoi sogni erano stati infranti; la sua famiglia, un tempo agiata, era caduta nella più squallida miseria. Erano stati privati di casa e terre; il loro capitale in banca era stato svalutato. In tali circostanze, quel che destava meraviglia non era la sua amarezza, bensì la malinconica rassegnazione da cui questa era mitigata.
Era una buona guida, fin troppo buona direi, perché era davvero spietato nella sua idea fissa di farci visitare tutte quelle deplorevoli chiese costruite nel diciannovesimo secolo sulle rovine dei precedenti luoghi di pellegrinaggio. Vi sono turisti che traggono il massimo piacere da un viaggio attraverso reminiscenze storiche e la propria immaginazione. Io non sono uno di quelli. Se viaggio, mi piace muovermi in mezzo a cose che abbiano un'importanza intrinseca, non in uno spazio astratto popolato soltanto di riferimenti letterari, monumenti vittoriani e congetture di archeologi. Naturalmente a Gerusalemme non ci sono solo fantasmi e mostruosità architettoniche. Oltre ad essere una delle città più deprimenti del mondo, essa è una delle più strane e, a modo suo, una delle più belle. Sfortunatamente la nostra guida era troppo scrupolosa per risparmiarci gli orrori e le non concretizzate, o mal concretizzate, reminiscenze storiche. Dovemmo vedere tutto: non solamente la Chiesa di Sant'Anna, quella di San Giacomo e la cupola della Roccia, ma anche il sito ipotetico della casa di Caifa e quello che avevano costruito gli anglicani negli anni tra il 1870 e l'80, quello con cui avevano risposto lo zar e l'imperatore germanico negli anni tra l'80 e il 90 e quello che i copti o i francescani francesi avevano considerato bello negli anni che seguirono il 90.
Ma, per fortuna, anche nei momenti più terribili del nostro pellegrinaggio non mancarono compensazioni. Il nostro triste giovane parlava l'inglese correntemente, ma lo parlava così come eseguivan la musica i virtuosi del diciottesimo secolo, aggiungendo fioriture e perfino intere cadenze di loro invenzione. II suo contributo più significativo all'inglese parlato (e, allo stesso tempo, alla scienza e all'arte della storia) era l'aggiunta della locuzione «come al solito» a quasi ogni frase. Che cosa effettivamente volesse dire con quelle parole, non saprei. Può darsi anche che non intendesse dire proprio niente e che quella che sembrava un'espressione avverbiale non fosse in realtà nient'altro che uno di quei tic sonori a cui le persone nervose sono spesso soggette. Conoscevo un professore le cui conferenze e la cui conversazione erano punteggiate, ogni due secondi, dalla frase «con cosa con cosa». «Con cosa con cosa» sono, evidentemente, parole prive di senso. Ma quel «come al solito», non meno incalzante, del nostro giovane amico aveva un modo tutto particolare di creare una specie di senso: il più delle volle, molto più senso di quello ch'egli non avesse pensato. «Questa zona — egli diceva, mostrandoci una delle mostruosità vittoriane — questa zona (era delle sue parole preferite) è molto ricca di antichità. Sant'Elena costruì qui una grande chiesa, ma la zona fu distrutta, come al solito, dai samaritani nell'anno 529 dopo nostro Signore Gesù Cristo. Poi giunsero in questa zona i crociati, che vi costruirono una chiesa ancora più grande. Qui c'erano i più bei mosaici del mondo. Nel diciassettesimo secolo dopo nostro Signore Gesù Cristo i turchi portarono via, come al solito, il piombo dal tetto per farne munizioni; di conseguenza, la pioggia vi penetrò dentro e la chiesa venne demolita. In questa zona costruirono i prussiani nell'anno 1879 dopo Nostro Signore Gesù Cristo e tutte quelle case diroccate che vedete laggiù furono distrutte, come al solito, durante la guerra con gli ebrei nel 1948».
Distrutto come al solito e poi, come sempre, ricostruito per essere, ben s'intende, distrutto di nuovo e poi ricostruito, da capo ad infinitum. Quel tic sonoro aveva condensato tutta la storia in due parole. Ascoltando il nostro giovane amico, mentre vagavamo attraverso l'arido brullo squallore della città santa, mi sentii come sopraffatto non dal semplice pensiero della costante infelicità dell'uomo, ma da una sensazione immediata di questa, quasi una consapevolezza fisica.
Quel pullulare tra le rovine e nel buio dei sepolcri d'un tempo; quelle schiere di bambini malaticci; quegli asini rognosi e quelle bestie da soma umane, piegate sotto enormi fardelli; quei nemici mortali al di là del muro di divisione; quei gruppi di pellegrini guidati da un prete, storditi dalle vane ripetizioni ammonitrici contro le quali il fondatore della loro religione s'era sacrificato: tutto era senza data, senza epoca. Indossando questo o quell'abito, seguendo questo o quel padrone, innalzando le loro preghiere al Dio temporaneamente in auge, essi tutti erano stati qui sin dall'inizio. Erano stati qui con gli egiziani, qui con Giosuè, qui allorché Salomone, all'apogeo della sua gloria, aveva comandato ai suoi schiavi, prostrati nella miseria, di costruire il tempio che Nabucodonosor aveva distrutto come al solito, e gli ebrei, come al solito, avevano ricostruito. Erano stati qui durante le lunghe e inutili guerre fra i due regni; qui, alla successiva distruzione con Tolomeo e all'altra con Antioco e alla successiva ricostruzione con Erode e a quella che fu la più grande, la più terribile delle distruzioni, con Tito. Erano stati qui allorché Adriano abbatté Gerusalemme e costruì al suo posto una nuova città romana, fornita di bagni e d'un teatro, con un tempio a Giove e uno a Venere. Erano stati qui, allorché la rivolta di Bar-Kochba fu soffocata nel sangue. Erano stati qui durante la decadenza dell'impero romano e la sua conversione al cristianesimo; qui, allorché Cosroe II distrusse le chiese e il califfo Omar introdusse l'Islam e, al contrario del solito, non distrusse niente. Erano stati qui a ricevere i crociati e poi a salutarli al momento della partenza, a dare il benvenuto ai turchi e poi ad osservare la loro ritirata dinanzi ad Allenby. Erano stati qui sotto il «mandato» e durante l'agitazione del 48, ed erano qui adesso e, senza dubbio, sarebbero stati qui, ora costruendo ora distruggendo, uccidendo e lasciandosi uccidere, nello stesso arido squallore, per sempre.
[...]