Brulotti

I comunisti e gli atti di rivolta

 

dottor Kilbaltchick (Renato Souvarine)
 
«È possibile che l'atto di Milano sia stato quello d'un rivoltoso. Quando una banda al potere come quella delle camicie nere soffoca una nazione intera, schiaccia tutta una classe, e la più infelice, riempie le città e le campagne dei suoi attentati quotidiani, delle sue minacce, delle sue crudeltà, è fatale che l'atto individuale sorga come rappresaglia.
L'altro ieri, Roma; ieri, Bologna; oggi, Milano: domani, altrove!
Si è disperso, polverizzato i partiti, i gruppi politici, i sindacati, le associazioni anche borghesi: ci si è lusingati di spegnere sino all'ultima speranza di liberazione.
Allora, come sempre nella storia, i Napoleoni, gli Zar, i Mussolini sono presi di mira...»
Chi scrive queste belle e alte parole di chiara comprensione storica e di giustificazione, improntate alle leggi della casualità dei fatti storici e degli eventi rivoluzionari?
È M. Cachin su L'Humanité del 18 aprile 1928.
Avanti tutto, qui s'impone un rilievo.
M. Cachin, a tu per tu con la sua propria coscienza, ispirato dalla sua intelligenza dei fatti ed eventi storici, s'eleva alla più chiara e netta comprensione degli atti di rivolta individuali e ne dà le spiegazioni rigorosamente deterministiche, insite e derivanti dalla tirannide stessa.
«È fatale che l'atto individuale sorga – scrive M. Cachin – date tali condizioni.
Come sempre nella storia, l'altro ieri, Roma; ieri, Bologna; oggi, Milano; domani, altrove» soggiunge egli.
Finché ci saranno tiranni e schiavi, governanti e governati, autorità e schiavitù, diciamo noi.
È bene annotare qui che M. Cachin ammette per vero, autentico e reale l'attentato di Milano, e quello di Bologna compiuto dal fanciullo sublime Anteo Zamboni, contrariamente alle affermazioni dei comunisti che affermano che l'uno e l'altro sono stati opera provocatoria di Mussolini, del resto in buona compagnia col Libertaire, col Martello e col Germinal, giornali anfibi.
Ma poi M. Cachin, soddisfatta la sua intelligenza, deve conformarsi perinde ac cadaver alla ferrea disciplina di Mosca e, per combatterlo, si domanda: «Ma come abbattere il fascismo? Sarà forse mediante gli atti individuali? Noi non lo crediamo!» esclama.
Ora, a parte l'esempio storico probante che realizzò proprio, in Italia stessa, Gaetano Bresci, da solo, con l'attentato individuale del 29 luglio 1900, e riuscì a spezzare la dittatura militare di Umberto I, noi vediamo persino il popolare Donati affermare che «il regime poggia su una persona sola e che una volta o l'altra un colpo di rivoltella potrebbe ben arrivare a destinazione».
Che più? I fascisti stessi non impersonano forse il regime in Mussolini e nell'Italia stessa?
M. Cachin conclude con la solita sconcia speculazione comunista: «Solo i comunisti – scrive egli – restati laggiù a organizzare le masse per l'insurrezione collettiva potranno abbattere il fascismo».
Come se l'atto individuale non fosse parte o una fase stessa dell'insurrezione!
L'atto individuale è il preludio, l'inizio dell'insurrezione collettiva. E non s'è mai visto lungo tutta la storia, l'uno senza l'altro. Sono aspetti dello stesso fenomeno della Rivoluzione.
I comunisti compiono, oggi, la stessa bestialità che compivano, ieri, i social-democratici, quando separavano l'evoluzione dalla rivoluzione, e ci ricantarono per oltre mezzo secolo sino a farne il... socialismo scientifico!
«Coll'evoluzione. Non con la Rivoluzione catastrofica!».
E oggi i comunisti ci cantano: «Coll'insurrezione! Non con l'atto individuale!».
L'atto individuale sta all'insurrezione collettiva, come la folgore sta alla tempesta.
Ci sono dei cuori e dei cervelli che sono degli accumulatori potenti, che esplodono ben prima dell'insurrezione collettiva e danno inizio anzi a questa. Essi hanno fatto la loro Rivoluzione e con l'esempio ne insegnano la via agli altri.
Ben a ragione il grande obliato Pisacane diceva che se ognuno facesse la propria Rivoluzione, anziché attendere di farla assieme, questa sarebbe un fatto compiuto.
E per conto suo la fece col fatto.
Si dirà che C. Pisacane non iniziò la Rivoluzione italiana? 
La rivoluzione collettiva non è che la somma di infinite rivoluzioni individuali. Questo insegna la filosofia della storia. Ma andate a dire ciò a chi vuol diventare dittatore e tiranno; che domani occorrerà abbattere, anche se si dice comunista; ma che in realtà è un tiranno, un oppressore, un dominatore.
«Il mondo è dominato dalle idee da schiavi», diceva Ibsen. E gli schiavi non sanno aspirare che ad essere a loro volta che dei tiranni per opprimere altri schiavi. Così all'infinito.
Ecco perché la dottrina del perfetto tiranno di Mosca sconsiglia e deprime l'atto di rivolta individuale, che abbatte il tiranno in nome della liberazione dell'uomo. Ma finché ci saranno tiranni e schiavi, sorgeranno fatalmente gli atti individuali. Per l'avvento del terzo regno; cioè per la scomparsa dei tiranni e degli schiavi.
Per la liberazione dell'uomo, possibile solo in Anarchia.
Sostituire la dittatura proletaria a quella borghese è sostituire il fascismo rosso al fascismo bianco. La dittatura è il dispotismo, la tirannide d'uno o di pochi su tutti. Per attingere al terzo regno dell'uomo autonomo, libero, indipendente, cioè maggiorenne, occorre distruggere i due regni della dittatura borghese e della dittatura operaia. E gli atti di rivolta individuale ne sono i segni precursori e annunziatori.
 
Ma se Marcel Cachin, prima di sacrificare alla bestialità moscovita, rivendica bellamente i diritti dell'intelligenza comprendendo l'atto di rivolta, non così possono né sanno fare la torba dei funzionari di Mosca incaricati di riempire le mille Pravde di Mosca uscenti per tutto il mondo.
Ecco ciò che scrive Il Proletario di Parigi del 7 maggio, a proposito dell'attentato di Milano:
«Attendersi la caduta del fascismo mediante l'organizzazione dei colpi di mano e degli atti di rivolta individuale sono due tendenze negative nella lotta antifascista».
Si può avere il cervello a... Mosca più di così?
Ma si è mai dato attraverso tutta la storia una sola Rivoluzione che non sia stata annunziata e formata via via da colpi di mano e da atti individuali? Non forse furono sempre gli atti individuali a risvegliare, a incoraggiare, a sollevare le masse, diffondendo lo spirito di rivolta e le speranze di liberazione tra di loro? 
Forse che i fratelli Bandiera, i Pisacane, gli Agesilao Milano non formarono la Rivoluzione italiana come l'insurrezione dei Mille?
Forse che le Sofia Perowskaja, i Balmaceff e mille e mille eroi individuali dal 1870 al 1917 non appartengono alla Rivoluzione Russa, allo stesso titolo degli insorti di Pietrogrado del 1917?
Forse che Passanante, Acciarito, Bresci, D'Alba, Mariani, Aguzzini, Boldrini, Lucetti, Zamboni, gli ignoti di Milano e di Buenos Aires non appartengono già, non vanno formando anzi la Rivoluzione italiana?
Anziché star lì (e riscuotere da Mosca) per fare vanamente il processo ai fulmini, e condannarli, sarebbe opera ben più rivoluzionaria a comprendere, a giustificare e ad esaltare le esplosioni preannunzianti la Rivoluzione italiana.
Ma c'è la bestiale disciplina di Mosca che, riempiendovi le tasche, vi ottunde il cervello e vi prostituisce l'anima.
Tiranni in pectore non potete fare l'apologia dei rivoltosi. Essi potrebbero tenere a mente la lezione per domani... «Perché è fatale che l'atto individuale sorga... Come sempre nella storia» scrive Marcel Cachin.
E sotto la tirannide sedicente comunista opereranno le stesse ferree leggi storiche. Finché l'uomo dominerà l'uomo, la rivolta sarà legittima e santa, e essa starà a significare le aspirazioni alla libertà.
 
 
[L'Aurora, anno I, n. 6, luglio-agosto 1928]