Intempestivi

La scelta

 

Uno scellino. Nell'Inghilterra del passato, culla del capitalismo, era il valore minimo che un bene rubato doveva avere per mandare il ladro sul patibolo. Ed è proprio a causa di questa legge che verso il 600-700 nacque e si diffuse fra la plebe l'espressione «may as well be hanged for a sheep as a lamb», ovvero: si può essere impiccati sia per una pecora che per un agnello. Nel senso che, poiché per i poveri il furto era sovente il solo modo per sopravvivere, tanto valeva rubare una grassa pecora invece di un piccolo agnellino. La condanna sarebbe stata la medesima.
Restando in Inghilterra, ma facendo un salto di qualche secolo, ci viene da pensare a quanto accadde dopo la grande rapina del treno Glasgow-Londra, avvenuta nell'agosto del 1963. Una rapina clamorosa, passata alla storia, compiuta da persone armate solo di un paio di spranghe, senza l'uso di armi da fuoco. Il primo processo che si tenne contro alcuni di quei rapinatori (presunti o reali) si concluse nell'aprile del 1964 con un verdetto che fece discutere parecchio: 30 anni di carcere! Una sentenza che si voleva esemplare, indirizzata a chiunque fosse intenzionato a sfidare e umiliare lo Stato (il treno rapinato era quello delle Poste Reali). Alcuni anni dopo, nel 1968, quando venne arrestato il cosiddetto “cervello” della banda, egli accusò esplicitamente la magistratura di aver inferocito il sottobosco criminale con quella sentenza giacché da allora tutti i rapinatori si erano procurati un'arma. 
Un altro piccolo salto nel tempo, ed arriviamo alla «tolleranza zero» che negli Stati Uniti ha trovato il suo culmine nella «three-strikes law». In alcuni Stati della confederazione, per i recidivi, alla loro terza condanna è prevista la pena dell'ergastolo. Una legge che, oltre a riempire per sempre le galere di persone arrestate anche per piccoli reati (c'è chi è stato condannato all'eternità dietro le sbarre per il furto di una pizza!), ha ovviamente incrementato l'uso della violenza non solo da parte della polizia. Oggi in quei paesi chiunque si appresti a compiere per la terza volta un reato, e sia consapevole del rischio cui va incontro, è disposto a tutto. Soprattutto ad uccidere, anche senza alcuna necessità reale, come è più volte accaduto.
Sono solo tre esempi, tratti dal passato lontano e recente, di come l'applicazione del diritto non abbia mai avuto nulla a che fare con un presunto senso di equità nei rapporti sociali. La dea della giustizia effettivamente è meglio che resti bendata. A vedere ci pensa lo Stato. Quello Stato che, qui in Italia, dopo aver da poco condannato a una decina di anni di carcere a testa alcuni manifestanti ritenuti colpevoli di aver partecipato nel luglio 2001 a Genova agli scontri di piazza, ovvero di aver infranto vetrine e lanciato pietre contro le forze dell'ordine, oggi si appresta a mandare sotto processo con l'accusa di terrorismo quattro NoTav (la definizione “anarchici” puzza di identità ideologica, e giammai vorremmo irritare troppo gli scaltri strateghi del movimento a caccia di popolarità, ma quella generazionale di “ragazzi” – abbiate pietà! – ci fa venire il latte alle ginocchia) accusati di aver incendiato qualche macchinario nel cantiere di Chiomonte.
Accusa ridicola, certo, che inciampa sul senso di equità e giustizia ormai annidatosi perfino nel nostro cervello. Ma questa equità, questa giustizia, esistono davvero e vanno ribadite per farle trionfare oppure sono per l'appunto dei semplici fantasmi da smascherare? Contro la sostanza del diritto, abbiamo da opporre solo l'ideale della giustizia? Per togliere dai quattro NoTav l'accusa di "terrorismo", siamo forse disposti a tollerarla per “assassini” come Gaetano Bresci o “gambizzatori” come Alfredo Cospito? Sono tante le domande che frullano nella testa in questi giorni. Ed una sola certezza – o piuttosto speranza.
Che di questo passo saranno sempre più numerosi coloro che, fra una pecora e un agnello...
 
[1/5/14]