Contropelo

Contro la scienza delle sommosse

Observatoire de téléologie
 
Non solo non è mai esistita una scienza delle sommosse, ma sembra proprio che, a meno di un’eccessiva deriva del concetto di sommossa, non possa esistere. Lo garantiscono i limiti della sommossa stessa. Poiché ciò che nega prima di tutto questo atto offensivo collettivo, è l’organizzazione. Se la mitica spontaneità della sommossa è un amalgama abbastanza grossolano, c'è sempre in questo genere di rivolta una immediatezza, un che di inatteso, una subitaneità che sfugge alla preparazione. Così come la rivolta si basa sull’incontro e sul piacere, essa si distingue per l’irrazionalità e l’imprevisto.
Uno dei cavalli di battaglia contro la democrazia era questa convinzione di Maurras che democrazia si contrapponesse ad organizzazione dato che ogni forma di organizzazione non era altro che un tentativo di compensare l’ineguaglianza, mentre l’uguaglianza era considerata il principio della democrazia. Ci sarebbe molto da ribattere al riguardo ed un'analogia fra democrazia e sommossa costituirebbe allo stesso modo un ampio argomento di disaccordo, ma pare proprio che ci sia comunque contraddizione fra sommossa e organizzazione. Poiché se la sommossa, che è di primo acchito rifiuto di tutto ciò che è, è in un primo tempo un tutto è possibile, tutto non può diventare realmente possibile se non viene concepito e progettato, e concepire e progettare sono precisamente il contrario di ciò che costituisce una sommossa. Se una sommossa venisse organizzata, perderebbe l’irrazionalità e l’imprevedibilità che la contraddistinguono; e lo si può verificare nel momento in cui gli insorti si organizzano. Se la loro organizzazione permette loro di durare, non è più una sommossa, è una insurrezione, e se questa organizzazione viene battuta sul terreno in cui si è costituita, essa servirà essenzialmente a recuperare l’imprevisto insorto che le sfugge ancora e a razionalizzare l’irrazionale. Una organizzazione di insorti è una contraddizione in termini e, del resto, non c'è mai stata una simile pretesa nel mondo.
Ovviamente ci sono i professionisti delle sommosse. Ma sono quelli che sono organizzati e pagati per combatterle, per farle cessare, per impedire il loro superamento nell’insurrezione: i poliziotti e i militari. Non ci possono essere professionisti che sostengono la sommossa perché la sommossa è già una sospensione di ogni professione, salvo quelle che la contrastano in modo particolare. In verità esiste una fascia intermedia fra insorti e professionisti della sommossa. Questi semi-professionisti sono quelli che vogliono dare alla sommossa uno scopo dall’esterno e non contribuire a farle trovare il proprio scopo all’esterno. Questa frangia intermedia va alla sommossa, vale a dire che vi arriva sempre in ritardo. Laddove la sommossa è una negazione della ragione, questa frangia intermedia fornisce delle ragioni alla sommossa. Questa fascia intermedia è composta da persone pagate per stare là, da professionisti, ma non dediti alle sole sommosse, gli informatori, e i militanti delle diverse ideologie rivoluzionarie. Per queste due categorie di partecipanti, non si tratta di comprendere la sommossa ma di spiegarla. Nel conflitto fra la sommossa ed il mondo si tratta di dare ragione al mondo, anche se spesso, per fare ciò, bisogna giustificare la sommossa. Ciò che differenzia principalmente gli informatori dai militanti è che i primi scelgono, il più delle volte, di posizionarsi nei ranghi degli altri professionisti della sommossa, mentre i secondi cercano di farsi passare per insorti, accanto agli insorti. È vero che lo scontro semplice e diretto qual è una sommossa è uno dei momenti del mondo in cui la neutralità ha meno spazio. Occorre scegliervi il proprio campo.
Gli informatori all'inizio vanno sul posto molto in fretta, a volte persino prima della sommossa, e si è anche visto la loro promessa di spettacolo generare delle sommosse. D’altro canto, cercano sovente di posizionarsi fra le linee, cosa che li fa finire sotto tiro da entrambi i campi. Le forze presunte o sedicenti degli insorti si dividono in quelle che si uniscono alla prima battaglia, e quelle che arrivano solo con la prospettiva di una seconda battaglia. Così come ci sono spesso informatori fin dalla prima battaglia, vi si trovano altrettanto frequentemente i militanti, in particolare quando i giornalisti annunciano la probabilità di una sommossa, ad esempio alla vigilia di certe manifestazioni. Quando sono presenti fin dall’inizio, a volte questi semi-professionisti dimenticano la ragione per cui si trovano là e si identificano con l'una o con l’altra parte. Ma il più delle volte è quando la sommossa riprende dopo una tregua (spesso il giorno dopo, dopo una pausa di riposo) che i militanti della sommossa cercano al contrario di guadagnare gli insorti alle loro motivazioni ideologiche. Nella seconda battaglia bisogna ancora distinguere fra quelli che sono stati chiamati dagli insorti, e quelli che arrivano solo perché hanno sentito parlare dell’avvenimento. Questi ultimi costituiscono gli autentici militanti della sommossa: spesso in battaglioni compatti, più vecchi degli insorti della prima battaglia, pretendono di mettere a profitto la loro esperienza; cercano di organizzare la sommossa; cercano di imporre i loro apriori ideologici nel dibattito nascente.
La questione delle forze degli insorti è un antico pomo della discordia nella sommossa moderna. L’informazione dominante ha spesso tentato di screditare una sommossa perché alcuni rinforzi, qualche «elemento esterno» sono comparsi, il che rende già pertinenti simili forze. D’altra parte, criticare questi arrivi esterni condanna la sommossa all’isolamento e nega la solidarietà di coloro che hanno interessi e gusti che la sommossa stessa mette in gioco. Indipendentemente dalla difficoltà pratica di respingere efficacemente, vale a dire combattendoli, questi sovrannumeri, è quasi impossibile per gli insorti, proprio perché non sono una unità organizzata, valutare coloro che arrivano. Ma quelli che vanno alla sommossa, senza essere invitati da chi c'è già, sono privi di ciò che costituisce la sommossa: una rabbia iniziale che fa vacillare la pace sociale e che costringe il nemico a combattere; l’intensità dell’istante in cui tutto diventa possibile; l’assenza di prospettiva che le permette tutte. Ad un punto tale che i rinforzi cacciano dalla sommossa ciò che vi è di più ricco: quel momento particolare in cui una offensiva comincia; la gioia, la rabbia, la libertà di un istante senza regole; le alternanze vertiginose tra panico e trionfo. Generalmente i rinforzi delle sommosse non apportano un cambiamento quantitativo del rapporto di forze; per contro, spesso fanno pendere il rapporto di forze qualitativo in favore del nemico. I militanti della sommossa sono soprattutto nemici della sommossa perché ne abbassano l’intensità sotto la soglia di un possibile illimitato.
La solidarietà con la sommossa è essere coinvolti dalla sua rabbia e dal suo gioco laddove ci si trova. La solidarietà ha luogo quando la sommossa va verso gli altri poveri e non quando gli altri poveri vanno verso la sommossa. Ma nemmeno là c’è qualcosa da preparare, né da organizzare. Ed è proprio questa congiunzione molto difficile tra sommossa e insorti che fa sì che gli insorti non possano essere che molto occasionali. Pochissimi insorti hanno partecipato a più di una sommossa nella loro vita; e chi ha partecipato a più di una decina di avvenimenti di questo tipo è verosimilmente un militante.
Così come organizzare una sommossa è una contraddizione in termini, una ideologia o una scienza della sommossa sarebbero in contraddizione con la sommossa. Perché la sommossa sfugge alla logica, sfugge alla scienza, e non può costituirsi in sistema. Pensare la sommossa, di conseguenza, si scontra con la ragione, così come la sommossa stessa si scontra con l’organizzazione. Nel momento di comunicazione imprevista e irrazionale della sommossa, si ritrova un vecchio paradosso dell’amore: parlarne, in un certo senso, significa dirne il contrario; e non parlarne, in un altro senso, significa distruggerne il possibile.
È perché la sommossa lascia intravedere oggi il più grande possibile che questo momento del discorso così contrario al discorso merita il discorso. La prospettiva della sommossa è immediatamente la totalità, perché non solo tutte le regole, ma tutto — la totalità — è messo in gioco. Ma mettere in gioco la totalità, prendere la totalità per oggetto pratico, significa concepire la totalità compiuta, realizzata, finita. È attraverso la grandezza della prospettiva nell’atto che contiene ogni verifica pratica che tutto ha una fine è presente nella sommossa moderna.
 
[trad. da OT, 2000]