Fuoriporta

Non è finita, anzi!

Il vento della rivolta continua a soffiare nel mondo arabo e altrove

 

 

Le rivolte in Tunisia e in Egitto sembrano aver ispirato gli insorti in molti altri paesi. Dall’Algeria al Bahrein, dall'Iran alla Libia, dallo Yemen alla Siria, molte persone scendono in strada, scioperano dal lavoro, si scontrano con la polizia, saccheggiano e incendiano edifici statali e del potere economico. È un vento di rivolta che soffia attraverso quei paesi, è un vento che dà coraggio, un vento che porta il messaggio che nessun regime, per quanto autoritario sia, è inattaccabile. Che nessuna miseria, nessuna oppressione sarà mai al riparo di una tempesta sociale devastatrice.

Non si può prevedere in che direzione andranno queste tempeste, ma ciò che è certo è che in questi momenti insurrezionali tutto esce allo scoperto. Le contraddizioni si fanno stridenti, e un regime che crolla mostra che un’oppressione in rotta può nasconderne un'altra. Alcuni insorti pensano forse che la salvezza possa arrivare da un regime democratico, anche se a sua volta perpetuerà le diseguaglianze sociali e lo sfruttamento. Altri ritengono che sia giunta l'ora di brandire le bandiere nazionali, dimenticando che i poveri non avranno mai una patria, ignorando che il nazionalismo produce sempre massacri, campi di reclusione per gli “altri”, e guerre senza fine. Altri ancora magari vogliono l’instaurazione di un regime islamico, assoggettando chiunque alla feroce sharia, soffocando ogni libertà in modo ancora più insidioso degli attuali regimi autoritari.

Ma non è tutto qui. Perché molti insorgono semplicemente perché ne hanno abbastanza. Abbastanza d'essere oppressi e zittiti, stanchi di essere poveri e alla mercé dei padroni, stufi di vivere in condizioni miserabili, senza felicità né sogni. Questo «no» è solo un inizio, ma è un no che potrebbe aprire la strada, come si può già leggere in alcuni racconti degli insorti, a esperimenti ben diversi dalla democrazia, dalla religione, dal nazionalismo e dal denaro. A esperimenti di forme di autorganizzazione tra individui fuori da ogni Stato, di solidarietà e di mutuo appoggio tra individui al di fuori d'ogni sfruttamento, di liberazione da ruoli sociali imposti o prefissati. Questo è ciò che fa paura ai potenti, anche a coloro che aspirano a diventarlo: che gli insorti sperimentino e diventino consapevoli di non avere bisogno di alcun potente, vecchio o nuovo, corrotto o "onesto", dittatoriale o “eletto”. Che qualsiasi potere, che qualsiasi padrone li priverà sempre di una vita libera, di un’organizzazione libera tra loro. È il fantasma della libertà, che mostra la sua bellezza e la sua possibilità in questi momenti di ribellione, che spaventa tutti quelli che vogliono conservare o accaparrarsi il potere.

Ora accogliamo a nostra volta il fantasma della libertà, distruggiamo i confini mentali tra qui e laggiù che abbiamo nella nostra testa. Osiamo gridare forte e chiaro che non abbiamo una patria, e non vogliamo alcun governo. Che cacceremo non solo gli ambasciatori di questi paesi arabi in fermento dalle loro ville a Bruxelles, ma che cacceremo anche tutti i politici e i padroni dai loro scranni. E non per occuparli noi, ma per distruggerli per sempre. Il miglior sostegno, la migliore solidarietà con gli insorti nel mondo arabo, è di tracciare qui il cammino per la rivolta liberatrice.

 

 

Tribunali in fiamme

Durante le rivolte in Tunisia, sono stati incendiati dagli insorti 14 tribunali. Anche diverse prigioni sono ancora fuori uso dopo gli attacchi e le rivolte. Il nuovo ordine comincia a insediarsi in Tunisia, benché debba affrontare la tenace resistenza nelle strade (le manifestazioni, le sommosse e gli attacchi contro banche, stazioni di polizia, supermercati, i governi vanno avanti mentre la “nuova polizia” non esita a sparare sui rivoltosi). Una delle prime preoccupazioni del Ministro degli Interni è ovviamente il ripristino dell’apparato repressivo. Egli «per farlo conta sull'aiuto finanziario dell’Unione Europea», che certamente non rifiuterà di sostenere un altro Stato in cerca di mezzi per soggiogare la popolazione. Inoltre, il ministro ha riabilitato tutti i magistrati del regime di Ben Alì.

 

Le barricate aprono la strada

In Algeria, uno dei punti più intensi delle sommosse in corso è la città di Akbou. La scintilla è stata la decisione del prefetto di sfrattare 495 spazi abitativi, occupati dagli inizi di gennaio da diverse famiglie, che si sono opposte con pietre, barricate e molotov alla polizia. Al momento le case sono ancora occupate e, nonostante gli appelli alla calma dei “saggi della comunità”, gli scontri continuano e si stanno propagando in molte altre zone della città. Diverse banche, un commissariato e l’ufficio di collocamento sono stati saccheggiati o bruciati dagli insorti. Sono state erette barricate sull’importante strada che unisce Vgayet a Tizi-Ouzou, bloccando il traffico economico; una pratica diffusa anche altrove nel resto del paese (Naciria, El Harrouch, Sidi Amar, Bordj Menaiel, Tazmalt).  

 

Democrazia o no, è tempo di rivolta

Nel sud dell’Iraq, in diverse città, centinaia di dimostranti sono scesi nelle strade per protestare contro le miserabili condizioni di vita. Le manifestazioni si sono tutte concluse con scontri con le forze dell'ordine della «giovane democrazia» instaurata dopo l’invasione delle truppe occidentali. Inoltre, molti edifici governativi sono stati dati alla fiamme. Da qualche tempo, la tensione verso una lotta sociale (scioperi nella fabbriche, cortei non controllati né dallo Stato né dagli islamisti, … ) ha preso a rafforzarsi in Iraq, un paese lacerato da un’occupazione militare, da una democrazia poliziesca e da una guerra condotta dagli islamisti in parte contro l’occupazione ma anche contro il popolo iracheno per imporre l’islamismo. Lo Stato ha tentato di comprare i manifestanti arrabbiati, promettendo loro un certo quantitativo di elettricità gratuita all’anno.

 

Quando la gente si rivolta, l’ombra dell’autorità arretra

In Libia, nonostante i tentativi del regime di Gheddafi di soffocare immediatamente e brutalmente la ribellione, la situazione è diventata particolarmente tesa nelle città di Al-Baida e Bengasi. Scontri armati tra insorti e polizia hanno causato decine di morti. Inoltre, le milizie mercenarie del regime stanno tentando inutilmente di schiacciare ogni tentativo di rivolta con il terrore. Nella prigione di Bengasi, mentre monta la rabbia nelle strade, è scoppiata una rivolta, che ha provocato non solo la distruzione di buona parte del carcere ma anche la fuga di molti prigionieri. Molti di loro si sono uniti agli insorti nell’incendiare le strutture del potere, incluso l’edificio del procuratore generale, un commissariato, alcune banche e la sede della polizia. Nel frattempo, la rivolta si sta allargando all’intero paese, presentando una varietà di insorti armati contro la polizia e le milizie di Gheddafi.

 

[da Hors Service n. 14, 1 marzo 2011]