Miraggi

Le strane operazioni del Dott. Wien tragico istrione

Vinicio Paladini

 

Nonostante il suo nome sia spesso legato al futurismo, nelle cui fila esordì, Vinicio Paladini aveva ben poco a che vedere con le tematiche marinettiane. Sul piano artistico era più influenzato dalle esperienze francesi, mentre dal punto di vista politico le sue simpatie andavano tutte per la teppa sovversiva. 
Dopo aver pubblicato alcuni manifesti su riviste di estrema sinistra, venne boicottato dai suoi compagni comunisti. Paladini si ritrovò quindi a collaborare con alcune testate anarchiche che  aprivano le loro colonne anche ad altri esponenti dell'avanguardia romana; gli stessi con cui nel 1927 diede vita al Movimento Immaginista. 
Le strane operazioni... apparve a puntate nel 1926 su un'altra pubblicazione dell'epoca, ed è considerato come un tentativo di presentare le scoperte psicanalitiche di Sigmund Freud in chiave dadaista.
 
 
 

Capitolo I

L’uomo dal termosifone

 

La Place Pigalle sembrava più che mai vivere, effemeride consumantesi al fuoco delle lampade al Neon, in quella notte tiepida in cui la Senna rispecchiava una luna pallidissima dall’aria stanca e patetica. Una folla densa premente alle porte degli artificiosi mondi creati dallo spirito inventivo di mille speculatori per dare parvenza di irrealtà ai gesti più comuni della nostra vita, con sordo rumore si agitava per la piazza, solcata a raffiche da gruppi compatti di automobili.

Il piacere urgeva negli stanchi sensi di quella umanità in cui infantilismo e depravazione, vizio ed ingenuità, sì contrastavano il potere, elettrizzando, con questa instancabile lotta, l’atmosfera.

Dai traversi vicoli di Montmartre e da quelli portanti ala S.te Trinité ed alla City Parigina, gente veniva ed andava. Passavano così, dai riflessi rossi, azzurri, bianchi abbaglianti delle lampade del Boulevard Clichy, agli scialbi riflessi verdastri e cadaverici delle viuzze trasverse ed in questi rapidi cambiamenti di luci tutte le loro fisionomie, la loro andatura, forse anche il loro spirito, subivano un uguale rapido cambiamento. Stonati, abbagliati, spingenti con rapido passo la folla, in un insopprimibile desiderio di sorpassare, di arrivare primi non si sa dove, né per quale ragione, divenivano di un subito stanchi, tristi, ed il loro passo si faceva subitamente lento, ed i loro occhi guardavano per terra le loro ombre che nella folla avevano perdute di vista. Così tutta quella gente mutava, senza tregua, e senza averne coscienza, solo alcuni, i più giovani, i più spensierati, continuavano nella loro rapida andatura per le piccole viuzze, ridevano forte e scherzavano alla glabra luce dei fanali a gas, indifferenti a quanto li circondava.

Alla Place Blanche questo tramestio, questo brouhaha, era forse ancora più intenso. I ritrovi notturni mandavano nel cielo un pulviscolo luminoso rossastro, quasi una aureola alla loro effimera gloria presente, ed il Café Cyrano era inverosimilmente gremito. Dalla stazione del metro gruppi di gente uscivano, unitamente a tanfate di aria calda e sotterranea impregnata di odore di ferro e di lubrificanti.

Similmente si deve apparire uscendo dal purgatorio per passare in paradiso a come apparve di sotto la terra la pallida figura di Wladimir Georgevic, ancora ossessionato dal Chocolat Poulain, da Raquel Meller, e dall’Aperitif Dubbonet, nonché dalle terribili affiches del Bock Maxcence, che all’infinto si erano ripetuti nei suoi occhi e che ora danzavano confusamente nelle retine per il ben noto fenomeno della persistenza delle immagini. Al suo fianco era l’inseparabile amico Emile Survage. Si  fermarono un poco respirando a pieni polmoni l’aria pura, se non altro in confronto a quella assorbita nei vagoni del metro, guardando con curiosità il vertiginoso movimento della piazza.

Qualcuno li sospingeva, ogni tanto un urto li scuoteva da quella specie di torpore che di loro si era impadronito. «Andiamo» disse Wladimir con lo stesso tono con cui avrebbe detto «moriamo», stanco, senza vibrazioni, senza volontà, rassegnato, e le sue narici aspirarono completamente un profumo lasciato nell’aria da qualche donna e colto con prontezza daI suo finissimo odorato.

«Certamente, se no finiremo con il fare tardi e non vedere più nulla» rispose Survage, con lo stesso tono con cui avrebbe detto «se no finiremo con il perdere la gloria», affannato ed urgente, entusiasta e volitivo. Così erano quelle due anime, l’una l’opposto dell’altra, come del resto i loro due corpi. Wladimir pallido, sottile il viso, dai larghi occhi chiari sempre un poco umidi di piacere, l’altro colorito, dalla rotonda faccia gioconda sulla quale un ciuffo arido e compatto segnava una limitazione ai 45 gradi, dai piccoli occhi grigi vivissimi e maliziosi e dai denti giallastri e rovinati.

Così si incamminarono. L’uno assorto in un sogno impreciso, l’altro in un calcolo di probabilità, estranei alla folla, scomposti dalle mille luci del Boulevard Clichy, in uno, mille, infiniti individui, moltiplicati nel loro cammino, come lascianti una scia di loro stessi attraverso gli alberi del viale. Davanti al Moulin Rouge un fremito passò per i loro volti!

Le lunghissime lampade al neon segnavano nell’aria i  contorni del mulino come con del fuoco, altre, azzurre, gettavano una nota romantica su tutto questo infernale bruciare di luce; la folla si faceva ancora più compatta, un negro rideva ed i suoi bianchi denti sembravano appoggiati ed incastonati sul nulla. Questo si successe rapidamente nelle loro menti e non ne ebbero coscienza che per un attimo.

«Tutto ciò è veramente bello, se un nuovo tempio, dalla forma la più comune e volgare, creato ad espressione di una società e di una mentalità finora sconosciute, e queste fiamme allungate come fili, contorte, imprigionate e costrette a creare arabeschi reclamistici in faccia alla luna pallidissima, hanno un loro fascino».

«Mio buon amico» rispose Wladimir «tu forse esageri dando consistenza estetica ad un fenomeno puramente commerciale e privo della minima intenzione di sembrare bello. Del resto questa è la funzione dell’artista ed io ti invidio questa possibilità che hai di trarre un senso poetico anche dal più accidentale fatto della vita quotidiana. Così l’esistenza diviene altamente poetica ed allora il suo valore non ha veramente un limite, cosa che presenta i suoi vantaggi, ma anche i suoi svantaggi, ad esempio nel caso che uno abbia voglia di togliersi la vita. Ed allora pensa che dramma, lasciare questa cosa che si è imparato ad amare con tanta pazienza ed in ogni suo più piccolo dettaglio!».

***

«Tutto questo, è veramente bello, è un nuovo tempio dalla forma la più comune e volgare, se vogliamo, creato ad espressione di una società e di una mentalità completamente nuove, e queste fiamme allungate nello spazio come fili, contorte, imprigionate a creare arabeschi reclamistici in faccia alla luna pallidissima, hanno un loro fascino». «Mio buon amico» rispose Wladimir. «Tu forse esageri dando consistenza estetica ad un fenomeno puramente commerciale e reclamistico. Del resto questa è la funzione di ogni artista ed io ti invidio questa possibilità che hai di trarre un senso poetico anche dal più accidentale fatto della vita quotidiana. Così essa diviene tutta poesia ed allora il suo valore aumenta considerevolmente».

«Ecco questa volta sei tu ad esagerare. Non è che io trovi un significato estetico in ogni fenomeno della vita ordinaria, ma soltanto lo scopro quando in esso si trovi nascosto. E tu non vorrai negarmi che questi tubi al Neon, con la loro luce completamente nuova ai nostri occhi, nella loro bizzarra conformazione (specialmente in questo risiede gran parte della loro bellezza, in questo assoggettamento della luce al nostro capriccio quasi fosse anch’essa materia malleabile) con tutta quella somma di imprevisto, di giocando, di bizzarro che hanno nella loro disposizione, nella loro natura, nel loro significato e scopo non vorrai negarmi, dice, che abbiano la loro bellezza, per quanto non dello stesso ordine di quella che si può trovare nell’Olimpia di Manet o nelle Nifias di Velasquez ». «Come tutto in te diviene lirico, tu sapresti anche scoprire un qualche valore patetico nei rivenditori di “Esquimeaux” alle “arti decorative” o nelle vedute pornografiche e nelle fotografie stereoscopiche prese nelle coulisses, in una delle tante kermesses dei Boulevards parigini». «E perché no?» rise la colorita voce di Hémile. «Anche in questo vi è un sottile velo di poesia e se fossi un poeta canterei i venditori di cartoline suggestive che ti aggrediscono in piazza de la Concorde con la loro misteriosissima merce…».

«Mio caro amico, tu hai veramente una faccia tosta invidiabile. Piuttosto perchè non trovare tutta un’aura di lirismo nella ultima avventura capitata al piccolo poeta danese del Dôme, sai, quel pallido giovanottino biondo che si vede sempre al caffé con tutto quel gruppo di amici danesi, sempre occupato a sognare idilliaci versi ed a sorbire quelle detestabili “citronades” che sono una delle più orribili invenzioni parigine, od a bere mezza Vittel al Café de Paris?».

«Parli forse di Kisling? E quale è l’avventura alla quale accennavi?».

«Proprio di lui. L’altra sera alcuni amici lo hanno spinto a tradire le sue agresti muse per alcuni Cocktails ed il piccolo puritano si è ubriacato vergognosamente ritrovandosi all’alba, e non si sa ancora per quale trama infernale, a letto con Ninon, la modella di rue des Ecoles e, quel che è peggio, con un altro giovine pittore, russo, non meglio identificato, e che potrebbe essere anche uno dei fondatori del movimento Causalista, immaginati con quale suo scandalo, all’Hôtel de Babylone».

«Ah! Ah! Questa è veramente una storia sorprendente, e poi per un ragazzo così severamente elevato come Kisling, con gelosa cura da un’austera mamma inglese, secondo i più severi principi della Bibbia e dell’antialcoolismo! E come è andata a finire? Raccontami, intanto andremo a prendere i biglietti».

«La fine è stata ancora più gioconda del principio. Dapprima egli ha supplicato che lo lasciassero andare via, le lacrime agli occhi, disperatamente cercando i suoi panni e giurando di non aver fatto altro che dormire durante la notte e di non aver avuto la minima coscienza di tutto questo scandaloso pasticcio. Non riuscendo a trovare i propri indumenti, che qualche spirito maligno aveva chissà dove nascosti, si è fatto imprestare degli abiti dal pittore russo, e tu sai bene quale corporatura egli abbia. E cosi è stato visto uscire il povero Kisling infagottato in una “rubaschka” dai vistosi ricami, i piedi sprofondati in un paio di giganteschi “sapaghi” moscoviti e la scena ha raggiunto il suo culmine quando il povero poeta si è trovato faccia a faccia con il presidente della Salvation Army».

***

«Questi si recava a portare la sua opera di apostolo… ai profughi Russi bisognosi e a prima vista lo aveva preso per un appartenente a questa categoria. Non ti dico lo scandalo suscitato negli ambienti puritani e nella colonia danese. La conclusione è che Kisling, annoiato oltre misura dalla piega che prendevano le cose, è divenuto ora promotore del gruppo della Puce enragée, (gruppo presieduto dal conservatore di una nota Pinacoteca tedesca) società per l’incremento della libertà dei costumi, il cui scopo è quello di arrivare al costume della libertà completa del corpo da ogni impaccio dei medesimi».

Così ragionando, nuovi peripatetici boulevardiers, delle allegre avventure dell’autore dei “Poemi dei ruscelli, degli animali, e dei fiori” e del “Canto dei fiords nelle pallide aurore” Wladimiri ed Emile erano andati ad appoggiarsi alle balaustrate del «promenoir» contro le quali avevano trovato miracolosamente due posti liberi. Il teatro era già quasi completo, gruppi di Americani e di Misses dagli eccentrici vestiti esageratamente Parigini, passavano tra due ali di studenti, sartine e piccoli borghesi trattenuti da due austeri «sergent de ville» a formare un corridoio di curiosità nel quale dovevano incanalarsi i fortunati possessori di poltrone. Le bionde teste rapate e gli occhiali prepotenti incorniciavano irreprensibili «smockings» dall’aria esageratamente moderna e non mancavano grigie teste di gentiluomini e gentiluonne in vena di stordirsi, sia pure una volta sola nella loro economica e pratica vita, allo spettacolo bacchico delle danze delle 12 Véritable Windsor Girls e delle bizzarrie della «irresistible fantasiste» M.lle Vénus nella «Revue des dessous intimes».

«Vedi, Wladimir, avevo ben ragione di dirti che questo è un endroit niente affatto parigino. Vedendo questo pubblico la mente corre automaticamente agli skyscrapers, ai dry, alla 5thy Avenue, ai distributori automatici di francobolli, al Klu-Klux-Klan, ai baffi all’americana, ed a tutte quelle invenzioni che hanno resa celebre e nota la scoperta di Cristoforo Colombo».

«E perché non più indietro? Alle guerre di secessione, ad Abramo Lincoln, allo sceriffo impiccatore, e magari ai pelli-rossi, così ingiustamente trascurati, ed a Buffalo Bill. Così avremo sintetizzato l’America, terra promessa dei Businessmen e patria dei debiti e delle riparazioni». Ed essi risero beffando l’austero pubblico che gremiva i posti da irreprensibili e dignitosi direttori loro assegnati con aria severa di maestri diciplinanti una scolaresca irrequieta ma timorosa delle proprie tradizioni. Ma, in tutto questo fiorire di motti, di canzonature, di maligna allegria Wladimir non aveva cessato di osservare un signore il cui aspetto l’aveva un poco sorpreso, non tanto per se stesso, quanto per l’ambiente in cui si trovava.

Fino dal suo ingresso egli aveva notato, seduto su di un gruppo di elementi del termosifone, questo individuo, il cui aspetto generale non aveva nulla di comune e di normale. Una biliosa faccia da bibliotecario, sporca di una disordinata barba grigiastra, animata da uno sguardo dispettoso e da un sorriso inquietante per tutto quel sarcasmo che ci si poteva riscontrare, il tutto appoggiato su di un asciutto corpo leggermente ricurvo, avvolto strettamente in un abito scuro, vecchio e pataccoso. Tutto contribuiva a dare a questa figura un aspetto così stonato con il resto dell’ambiente che non avrebbe potuto fare a meno di colpire il finissimo occhio del giovane russo.

Il massimo della bizzarria, in questo individuo, era dato da una orchidea che si affacciava nervosamente all’occhiello della sua giacca e da un paio di ghette color canarino che facevano saltare ogni possibile ipotesi sulla natura dell’uomo del termosifone. Ad un tratto i lumi si spensero, l’uomo del termosifone scomparve nell’ombra, e la musica incominciò a far muovere le gambe degli spettatori con l’irresistibile ritmo del «refrain en vogue» «Caroline, give me the hand kerchief that I like!» che era di già divenuto popolare in tutta la «banlieu» e che ben presto doveva sconvolgere l’Europa intiera.

Ora, officianti dalle acconciature che erano qualche cosa in mezzo tra gli abbigliamenti dei cavalieri del Graal ed i sacerdoti di qualche misteriosa setta di strangolatori indiani, consumavano il sacrificio di una bellissima donna alla inestinguibile brama di un Brahama che faceva veramente onore al suo nome e che aveva molto inquietato un vecchio spettatore americano, che si era arricchito con un nuovo sistema di «pull» igienico, scandalizzato di vedere portato sulle tavole del Moulin Rouge quello che lui si intestava a credere Giuseppe Bramah, il geniale inventore del torchio idraulico, e del cesso inglese ad acqua, spentosi nel 1815 senza aver potuto godere completamente del grande successo che tali invenzioni, ormai universalmente note, avevano in seguito avuto.

[da Spirito Nuovo, anno II

n. 4 del 24 febbraio 1926, n. 6 del 18 marzo 1926, n. 7 dell’1 aprile 1926]