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Cadute (formalmente) le frontiere ed unificato l'intero pianeta sotto il tallone di un unico modo di vivere, ha ancora senso parlare di un qua vicino e di un lontano? Le distanze si sono accorciate a tal punto che nemmeno un continente riesce più a separare ciò che ormai è irrimediabilmente legato, sia in termini di combutta di interessi sia in termini di cospirazione di desideri. Ecco perché gli avvenimenti più distanti ci toccano come se si svolgessero appena fuori dall'uscio di casa.

I progetti dello Stato non sono invulnerabili

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I progetti dello Stato non sono invulnerabili

Lo Stato belga vuole costruire una maxi-prigione ad Haren, a nord di Bruxelles. Questo immenso campo di reclusione ospiterà 1200 celle, con sezioni per uomini, minori e donne con bambini. Si tratta della più grande prigione mai costruita sul territorio belga, un progetto che riempie le tasche di parecchie imprese.
La costruzione di questa atrocità, e di altre nove carceri nel paese, è emblematica della società che ci viene imposta. Dobbiamo essere più che mai consapevoli che il valore della nostra vita è un valore economico. Si aspettano da noi che alimentiamo anima e corpo la crescita economica; che sgobbiamo per arricchire i ricchi accontentandoci di una mera «sopravvivenza». Lo Stato, che vuole mantenere e rafforzare il tran-tran quotidiano, si dota di un ampio ventaglio di mezzi per ottenere ciò: la costruzione di nuovi centri commerciali, la ristrutturazione urbana, l’allestimento di loft nei quartieri più poveri, la creazione di vie pedonali per attirare i turisti e altri consumatori, la costruzione di enormi parcheggi,… non sono che una parte. Ma anche le misure di austerità, l’intensificazione della caccia ai disoccupati, l’estensione di ogni genere di sanzioni e multe, la costruzione di nuovi commissariati di polizia, l’aumento del numero di telecamere di sorveglianza e… la costruzione di nuove galere come quella prevista ad Haren. In un momento in cui le contraddizioni dell’ordine attuale si fanno sentire sempre più brutalmente, lo Stato intende isolare e spezzare coloro che non possono o non vogliono coscientemente rientrare nei ranghi. Sa bene che da ciò dipende l’esistenza del suo potere e non risparmierà né soldi né sforzi per fortificarsi.

Il vaso di Pandora...

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Il vaso di Pandora e il minestrone dell’antiterrorismo spagnolo

La mattina di martedì 16 dicembre siamo stati sorpresi da un’ondata di perquisizioni e di arresti... Sorpresi? Inutile mentire. Riprendiamo dall’inizio. La mattina del 16 dicembre non siamo rimasti sorpresi. La polizia autonoma catalana, i Mossos d’Esquadra, la Guardia Civil e gli agenti giudiziari della Audencia Nacional sono partiti all’assalto di oltre una decina fra abitazioni e spazi anarchici a Barcellona, Sabadell, Manresa e Madrid, col loro armamentario di perquisizioni, arresti, sequestro di materiale di propaganda ed informatico, approfittando dell’occasione per rivoltare tutto e saccheggiare, utilizzando tutti i corpi antisommossa della Brigata Mobile dei Mossos d’Esquadra nella vecchia Kasa della Muntanya, uno spazio occupato che ha appena festeggiato i suoi 25 anni.
Secondo la stampa, che ha come di consueto mostrato il suo ruolo di portavoce delle veline poliziesche, l’obiettivo di questi arresti è disarticolare «un’organizzazione criminale con finalità terroristiche e dal carattere anarchico violento». Benché sia facile ripetere la solita frase fatta, lo faremo ancora una volta: la sola organizzazione criminale che cerca di terrorizzare le persone col suo carattere violento è lo Stato con i suoi tentacoli: la stampa, l’apparato giudiziario, i suoi corpi repressivi e i suoi politici, da qualsiasi parte provengano.

Sulla rivoluzione ucraina

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Alcune riflessioni sulla rivoluzione ucraina

un anarchico di Kiev

Presentiamo qui una lettera scritta da un anarchico, che si trova a Kiev, in risposta ad un articolo pubblicato lo scorso marzo dal gruppo statunitense Crimethinc a proposito della rivoluzione ucraina e in risposta a chi proclama che la rivoluzione ucraina riguardi solo l’estrema destra. Questa lettera è apparsa in inglese su 325.nostate.net, venendo poi tradotta e pubblicata in francese sul secondo numero di Avalanche.

 

Compagni! Vi scrivo dall’Ucraina. Ho partecipato molto alle sommosse di Maidan e alle varie iniziative anarchiche durante quel periodo. Vorrei fare diverse osservazioni che considero importanti per una migliore comprensione degli avvenimenti. In generale sono d’accordo con la vostra tesi, ma voglio sottolineare alcuni dettagli che mostrano come la situazione sia meno nera.

Eid in una Gaza distopica

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Eid in una Gaza distopica

Ayah Bashir

Laureata in «politiche globali» presso la London School of Economics and Political Science, Ayah Bashir è un'attivista di un comitato con sede a Gaza favorevole al boicottaggio, al disinvestimento e alle sanzioni contro Israele. Per fortuna in questo suo articolo l'autrice non fa alcuna proposta politica o economica a governanti e capitalisti non-israeliani, ma offre una delle poche testimonianze dirette uscite in questi ultimi giorni da Gaza, dove una intera popolazione sta venendo massacrata da uno degli eserciti più potenti del mondo.
L'
Eid al-Fitr è la seconda festività religiosa più importante della cultura islamica e indica la fine del Ramadan, ovvero il ritorno alla gioia dopo un periodo di penitenza.

Mentre piove morte a Gaza...

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Mentre piove morte a Gaza...

Adam Keller - Uri Avnery

Gush Shalom è forse la più nota organizzazione pacifista israeliana che si batte per la fine del conflitto che da oltre un secolo insanguina quella regione. I suoi militanti, ufficialmente non legati ad alcun partito, sostengono apertamente la necessità di una soluzione istituzionale che sancisca la fine delle ostilità attraverso la creazione e il riconoscimento di uno Stato sovrano palestinese. Pur non condividendo affatto una simile ipotesi, riportiamo qui due recenti testi dei suoi principali animatori che danno perlomeno una impressione sia di come questa guerra viene percepita all'interno di Israele, sia delle conseguenze che essa avrà nel perpetuare una situazione che non potrà mai essere risolta da nessuno Stato, esistente o in via di formazione.

Notti bianche e cieli stellati

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Notti bianche e cieli stellati

La Coppa del Mondo non è un affare di calcio. Se un paese è candidato per l'organizzazione di questo evento, è perché il calcio esercita oggi la stessa funzione di uno spettacolo di gladiatori nell'antica Roma, oltre a costituire un'occasione insperata per lo Stato organizzatore di far avanzare a passi da gigante il proprio sviluppo economico e la propria influenza politica. La Coppa ha costi mostruosi, tuttavia il rientro sull'investimento promette quasi a colpo sicuro di essere assai lucroso. Il Brasile, considerato una delle grandi potenze economiche mondiali, conta d'avanzare ancora di livello organizzando la Coppa e i Giochi Olimpici.
La Coppa del Mondo è anche un progetto del potere per imbrigliare le tensioni sociali e offrire lo spettacolo della sua adorazione. Per le entità statali e gli interessi economici è un'occasione di creare le condizioni per aprire nuovi mercati, per tappare la bocca a certe resistenze e per realizzare un salto qualitativo nell'occupazione del territorio e nello sfruttamento capitalista. È il maxi-raduno moderno di Stato e Capitale, dove l'arroganza del potere si esibisce nello spettacolo degli stadi, delle masse sbraitanti, degli schermi, delle trasmissioni in diretta e della fierezza nazionale.

Aria, aria!

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Aria, aria!

Questo mondo carcerario che ci impedisce di respirare

 

Due settimane fa, un uomo viene ritrovato morto in circostanze sospette, nel proprio letto, in una cella, rinchiuso nella prigione per stranieri clandestini di Bruges. Vivere dietro le sbarre, morire dietro le sbarre, è necessario che distruggiamo il mondo che crea tutto ciò.
L'aria che respiriamo è inquinata... Questo inquinamento è il fetore dell'economia, delle uniformi, il puzzo della detenzione, dell'oppressione quotidiana, dell'accettazione e della depressione. E questa atmosfera provoca disturbi respiratori: aggressioni polmonari, bronchiti croniche, una sorta di allergia al mondo che ci schiaccia: stress.

Rinchiudere umanamente non è possibile!

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Rinchiudere umanamente non è possibile!

Come far diventare una prigione una colonia di vacanza

La "Régie des Bâtiments" [azienda statale per l'edilizia], che gestisce il settore immobiliare dello Stato e finanzia opere d'interesse pubblico, ha fatto scalpore presentando i primi disegni della futura maxi-prigione di Bruxelles.
Su quelle immagini: allettanti alberghi in carcere, nessun secondino visibile, mura «integrate in un ambiente adatto», verde naturale, edifici tipici di un villaggio. La si direbbe una colonia di vacanza.
Il comunicato ufficiale vanta «l'umanità» di questo nuovo progetto, un nuovo modo di «vivere in un ambiente carcerario»...
Chi controlla il senso delle parole garantisce una capacità considerevole di controllo delle menti. Il potere ha sempre cercato di dare alle parole il significato più opportuno. Le guerre condotte dall'Occidente non si chiamano più «guerre», ma «interventi umanitari». I Centri d'Identificazione ed Espulsione non sono prigioni per senza documenti, ma «centri di accoglienza per rifugiati». Si potrebbe fare un intero vocabolario con le parole del potere che esercitano una profonda influenza sulle nostre capacità di riflettere e discutere.

Senza illusioni...

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Senza illusioni...

A Zurigo deve essere costruito un nuovo «Centro di polizia e di giustizia» (Polizei und Justizzentrum) al posto della vecchia stazione merci (inizio della demolizione nel 2013) che raggruppa in uno stesso edificio 30 commissariati già esistenti, diverse strutture repressive e 300 posti per prigionieri. Per giustificarlo, viene sbandierato il bisogno di maggiore sicurezza e si parla persino di «volontà popolare». Ma si tratta della volontà di chi, della sicurezza di chi? Insomma, chi ha interesse a rinchiudere persone che nuocciono al buon funzionamento di questa società? Di sicuro coloro che traggono profitto dall'economia, e non coloro la cui forza lavoro viene sfruttata. Di certo i ricchi ed i governanti, non i poveri e i governati! In fondo, qui si tratta della sicurezza dei nostri oppressori, che sono assolutamente in diritto di temere d'essere derubati da coloro che spingono nella povertà, di temere la collera di coloro che sfruttano e umiliano ogni giorno, di temere le rivolte di coloro a cui rubano la libertà e che sono incoraggiati dai sollevamenti in Grecia e nell'Africa del Nord. E di questa sicurezza, della sicurezza dei nostri oppressori, non ce ne frega nulla!

Egitto

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Egitto: contro i ribelli di Stato

All'inizio del 2011 il sollevamento popolare ha provocato la caduta del regime di Mubarak. In seguito il Consiglio Militare ha preso il potere; dopo le elezioni, i Fratelli Musulmani hanno guidato il governo. Ma molte persone che avevano lottato contro Mubarak hanno continuato a scendere in strada per combattere i nuovi dominanti. Mentre altri cercavano di dirottare questa lotta contro il potere sul terreno politico per realizzare le proprie ambizioni — ovvero, prendere loro stessi il potere. Alcuni anarchici in Egitto hanno diffuso il seguente testo per criticare queste manovre politiche, e più specificatamente la «campagna Tamarrod» (Ribelle) che invitava a firmare una petizione contro il governo di Mohammed Morsi.

Corrispondenze ribelli

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Corrispondenze ribelli (Brasile, Turchia)

Una scintilla e la prateria resa brulla dalla miseria economica ed emozionale si infiamma. Improvviso ed imprevisto, l'incendio travolge tutto e mette a dura prova i pompieri. Ma poi deve fare i conti con la mancanza di ossigeno. Pubblichiamo qui un paio di contributi che arrivano direttamente da due paesi, in cui in questo momento sono in corso aspre rivolte, dove sono bastate poche ore per diffondersi nella popolazione. Nonostante la provenienza di queste testimonianze non sia a noi affine, danno comunque idea del clima che si respira oggi in quei paesi — di esaltazione come di depressione. In entrambi i paesi, i governi non hanno esitato a ricorrere alla violenza più brutale: occhi sfondati, manifestanti abbattuti, esercito nelle strade. A fronte di ciò, è tempo di immaginare e cercare un imprevisto anche nella più ammirevole delle resistenze.

Sindrome di Stoccolma

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Sindrome di Stoccolma

Il 13 maggio, da qualche parte in Europa, un uomo viene assassinato dalla polizia in un quartiere povero. Non è un ragazzo e il fatto non accade in una zona nota per la sua conflittualità. Un uomo in più è caduto sotto le pallottole dello Stato. Questa volta avviene a Husby, nella periferia nord di Stoccolma, quel paradiso della gestione socialdemocratica del dominio. Non siamo né a Parigi né a Londra, né a Bruxelles né a Berlino. Ma che cosa cambia? I ricchi e i loro cani da guardia sono ovunque, e ovunque esistono anche individui pronti ad armarsi di coraggio per esprimere la loro rivolta con determinazione. Anche in Svezia.
Meno di una settimana dopo, la notte del 19 maggio, alcune automobili cominciano a bruciare in questo stesso quartiere di Stoccolma. La polizia e i pompieri vengono accolti con un lancio di pietre. Il giorno dopo la rabbia si trasforma in sommossa, le vetrate di negozi, di edifici pubblici e di scuole iniziano a spaccarsi sotto i colpi di proiettili. Malgrado gli inviti alla calma e alla «responsabilità civica», malgrado le promesse dei politici, gli anni di umiliazione e il sangue del vecchio abbattuto dalla polizia non si comprano così facilmente.

Bruxelles, prigione a cielo aperto...

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Bruxelles, prigione a cielo aperto... Scateniamoci!

 

Noi non vogliamo maxi-prigioni a Bruxelles; non vogliamo nuove prigioni; vogliamo radere al suolo tutti questi luoghi infami.
Non vogliamo che Bruxelles diventi ancor più una città-prigione, fatta per soddisfare i ricchi, i potenti, gli eurocrati e i funzionari.
Non ne vogliamo sapere di questa gabbia perché non accettiamo il rafforzamento securitario che ne deriverà, l'inasprimento delle condizioni di vita, la miseria crescente, l'aggressione poliziesca, l'abbrutimento dei nostri cuori e delle nostre menti da parte di un mondo che gira esclusivamente attorno al danaro e al potere.
Noi vogliamo la libertà. Insorgiamo per essa, e combattiamo per la libertà di tutte e tutti.

Egitto. Come il mare

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Egitto. Come il mare

La rivoluzione sociale è come il mare. Le sue onde incalzano, urtano contro gli ostacoli che affiorano, schiacciandoli o indietreggiando. Con tutta la violenza di uno slancio indomabile, distruggono colpo dopo colpo le vestigia del potere, dello sfruttamento e dell'oppressione. Una prima ondata, immensa e inaspettata, ha travolto la dittatura di Mubarak. Una seconda ha fatto ripiegare l'esercito che si apprestava a prendere il potere. Una terza si sta sollevando oggi contro il nuovo ordine che gli islamisti cercano di imporre.
La vera bufera rivoluzionaria non obbedisce a nessun partito, a nessun capo, a nessun potere. Al contrario, essi sono i suoi nemici irreconciliabili. Verranno spazzati via man mano che questa si approfondisce.

L'Egitto tra...

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L'Egitto tra rivoluzione e reazione

È vero che quanto accade a migliaia di chilometri di distanza non è comprensibile, contrariamente a quanto succede appena dietro l'angolo? Che è possibile farsi un'idea unicamente di quello che conosciamo, di sentire il contesto nel quale siamo cresciuti? Ed è per questo che abbiamo poco da dire a proposito di un ambiente nel quale non abbiamo mai passeggiato, o di un luogo di cui non siamo originari? Che chi ha visto mezzo mondo deve per forza avere l'ultima parola? Che possiamo dire qualcosa a patto di aver letto dieci libri? È come se fossimo alla ricerca dello «specialista», di qualcuno a cui concedere una certa autorità in materia. Qualcuno «di laggiù», o magari un giornalista. Qualcuno a cui si potrebbe credere, «così è», e che ci permetta di smettere di riflettere per conto nostro. E inoltre: che ci bombardi con «i fatti» e stimoli in tal modo assolutamente tutto, tranne una nostra riflessione relativa alle «possibilità».
La rivoluzione egiziana è stata, fin dall'inizio, descritta dai media occidentali come «una rivoluzione della classe media di twitter», «un evento pacifico in una piazza», «una saggia rivoluzione per la democrazia e le libertà liberali sostenute dall'esercito».

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