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Cadute (formalmente) le frontiere ed unificato l'intero pianeta sotto il tallone di un unico modo di vivere, ha ancora senso parlare di un qua vicino e di un lontano? Le distanze si sono accorciate a tal punto che nemmeno un continente riesce più a separare ciò che ormai è irrimediabilmente legato, sia in termini di combutta di interessi sia in termini di cospirazione di desideri. Ecco perché gli avvenimenti più distanti ci toccano come se si svolgessero appena fuori dall'uscio di casa.

«Io non voglio andare là. Quel campo è una galera...»

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«Io non voglio andare là. Quel campo è una galera. Un modo sottile di imprigionarci»

 

La giungla non c'è più. Hanno raso al suolo quella umana di Calais, così come stanno abbattendo quella in Amazzonia. I luoghi selvaggi sono un abominio intollerabile per un mondo asettico e sterilizzato dove il solo rischio ammesso è quello di timbrare con qualche minuto di ritardo il cartellino della sopravvivenza quotidiana. Tutto deve stare in ordine, tutto deve essere sotto controllo. Che i dannati della terra si suicidino se vogliono sbarazzarsi della loro disperazione, ma che non vengano ad insozzare il tappeto davanti alla porta o quello davanti allo schermo, che non protestino, che non si ribellino. Così nelle strade rimarranno solo cittadini, più o meno soddisfatti ma pur sempre in fila.
È proprio vero: «Le foreste precedono gli uomini, i deserti li seguono». Quello che pubblichiamo è un articolo apparso in Francia poche settimane prima della devastazione della «giungla» di Calais — che rende chiaro sia cosa c'era in gioco sia come mettere i piedi sul tavolo — e pubblicato sul n. 5 di
Paris sous tension nel gennaio di quest'anno.

Sotto minaccia

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Sotto minaccia

Note su alcune evoluzioni repressive sul terreno della guerra sociale

 
Un anno fa...
 
La direttiva anti-terrorismo emanata dall'Unione Europea per essere accolta nella legislatura dei paesi membri risale già al 2003. È stata prodotta sulla scia delle misure anti-terroristiche e dell'inizio della «war on terror» in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001. All'epoca era stata presentata dai legislatori come una specie di versione light del Patriot Act statunitense. Ma ovviamente non era questo. Nel frattempo, tutti i paesi dell'Unione Europea l'hanno adottata (ad eccezione dei paesi che già disponevano di leggi più dure in materia di terrorismo, come la Spagna). E lo Stato belga figura fra i primi. A mano a mano, nel corso degli anni e dopo diversi tentativi (piuttosto infruttuosi) di utilizzarla soprattutto contro comunisti turchi e comunisti curdi, la legge è stata oggetto di molti adattamenti, col risultato di un progressivo affinamento della definizione di «terrorismo». È inutile dedicare ancora molte parole a tale definizione: potenzialmente può riguardare ogni espressione, ogni atto ed ogni pensiero di critica allo Stato. Semplice. Quindi, questa legge non è certo nuova. Per combattere la sovversione, gli Stati si sono sempre dotati di un ampio armamentario giuridico, a cui in caso di bisogno si aggiungono decreti di eccezione, manovre dei servizi segreti, «guerra sporca» di sterminio.

Dawa ovunque contro la maxi-prigione!

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Dawa ovunque contro la maxi-prigione!

Al momento dell’avvio dei lavori, lo Stato resta sempre determinato a realizzare il suo progetto della maxi-prigione. Esso agita lo spettro della repressione contro chi lotta. Ha bisogno di difendere questo investimento gigantesco, parte di un piano ancora più vasto di una decina di nuove galere.
Il suo obiettivo è chiaro: rinchiudere sempre più persone per sempre più tempo.
E queste misure non sono riservate ai soli prigionieri di dentro. Anche fuori, il giro di vite si generalizza: con condizioni di sopravvivenza sempre più dure, migliaia di persone espulse dal mondo del lavoro, nuove uniformi che pullulano, telecamere di sorveglianza a tutti gli angoli delle strade… La maxi-prigione è solo la ciliegina sulla torta.

Di fronte alla guerra e allo stato d’assedio

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Di fronte alla guerra e allo stato d’assedio: rompiamo le righe

Stato d’assedio a Bruxelles. Centinaia di militari appostati nella via, migliaia di poliziotti pattugliano le strade della capitale europea. Scuole e università sono chiuse, la rete dei trasporti è quasi paralizzata. Le strade sono sempre più deserte, la paura contagia. I controlli nelle vie si moltiplicano e avvengono col mitra alla tempia. Se lo spazio è stato saturato dalle forze di polizia, anche le menti lo sembrano. E forse ancor peggio.
Sembrano finiti i tempi in cui gli Stati europei potevano far la guerra altrove nel mondo con attacchi aerei, occupazioni, aperture di nuovi mercati, sfruttamento selvaggio e saccheggio delle risorse, preservando i propri territori da atti di guerra per quanto non proprio simili, in ogni caso con la stessa logica. La guerra ha colpito il cuore della capitale francese, e non svanirà furtivamente. E ogni logica di guerra raccomanda di colpire nel mucchio. Come fanno gli Stati fin dalla loro esistenza, contro i propri sudditi e contro i sudditi di altri Stati. Come hanno fatto e fanno tutti coloro che aspirano a conquistare il potere, a imporre il proprio dominio. Che sia islamico o repubblicano, democratico o dittatoriale. Perché il dominio si insedia calpestando la libertà, la libertà di ciascun individuo. Autorità e libertà si escludono reciprocamente.
Alla guerra come alla guerra, quindi.

Guerra civile ultimo bastione del potere

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La guerra civile come ultimo bastione del potere

A quattro anni dalla marea insurrezionale che ha travolto i paesi del nord Africa e del mondo arabo riempiendo i nostri cuori di speranza, ci troviamo oggi a vivere un momento tragico. Un momento dove quotidianamente vengono compiuti massacri di rivoltosi e oppositori a colpi di attentati suicidi, bombardamenti aerei e missili lanciati a distanza da navi da guerra.

 

Se non vogliamo che il futuro si trasformi, citando Orwell, in «uno stivale che schiaccia una faccia umana – per sempre», allora è necessario prepararsi fin d'ora ad affrontare le nubi tempestose che si preannunciano all'orizzonte, a fare in modo che mai più, allo scoppio di insurrezioni e di rivoluzioni, i rivoltosi si ritrovino ad essere isolati e massacrati dal potere, a cercare di scatenare rivoluzioni in ogni paese in cui ci troviamo, mostrando quella solidarietà pratica tra combattenti della libertà su cui la società del domani sarà costruita.

Nulla sarà come prima

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Nulla sarà come prima

No alla costruzione del centro giudiziario di Monaco!

 
A partire da quest'anno devono iniziare a Neuhausen i lavori per la costruzione del Centro giudiziario, sulla Leonrodplatz. Tutti i ministeri di Stato esistenti e i tribunali di Monaco saranno ospitati in un edificio che sorgerà in tale sito. La resistenza contro questa grande opera della repressione si sta manifestando con azioni quasi quotidiane. Di recente una lettera recapitata nelle cassette postali degli abitanti del quartiere, ed incitante al sabotaggio e alla rivolta contro i responsabili del progetto, ha attirato l'attenzione di inquirenti e giornalisti. Secondo il portavoce della polizia di Monaco, «I 284 atti di vandalismo sono da attribuire al gruppo da cui proviene questa lettera. Fra i danni si contano veicoli incendiati, vetrine infrante e lancio di bottiglie di vernice, per un ammontare di circa 357.000 euro. La lettera è attualmente sotto esame all'ufficio della procura». Il testo della lettera è apparso sul giornale anarchico di Monaco Fernweh.

L'urlo della rabbia

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L'urlo della rabbia

Le mura della prigione di Forest rimbombano... molto forte

Quando ci giungono echi che riescono a perforare le mura della prigione di Forest, quando si è subita la reclusione in quelle celle putride, quando si fa visita ad un parente devastato dalla detenzione, c'è solo una reazione sensata possibile: l'urlo della rabbia.

Gli anni passano, i suicidi e i morti in questa galera di Bruxelles si susseguono, gli scandali che scoppiano di tanto in tanto si dissolvono altrettanto rapidamente di come sono apparsi e le condizioni di detenzione non fanno che peggiorare. Gli anni passano, e ogni giorno che questo carcere resta in piedi diventiamo in qualche modo tutti più complici delle atrocità che lo Stato infligge ai detenuti nel nome della Legge e dell'Ordine.

I recuperatori dell'esistente

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I recuperatori dell'esistente

un insorto non incline al pentimento

Nel secondo numero di questa pubblicazione, abbiamo già scritto sul ruolo d'integrazione nel sistema sia delle ONG sia di diversi gruppi di sinistra e riformisti al fine di pacificare sollevamenti e conflitti con l'assimilazione di differenti lotte privandole delle caratteristiche fondamentali che avevano acquisito. Abbiamo già detto che in tal modo il sistema, attraverso i suoi programmi di orientamento sociale cittadino, integra nei suoi ranghi gruppi potenzialmente pericolosi per la pace sociale o la stabilità del paese. A fianco delle istituzioni, diversi collettivi dello spettro della sinistra partecipano a questo ruolo di recupero.
Ciò che noi chiamiamo «recupero» è costituito da tutto un insieme: quando una lotta tende a radicalizzarsi si vede integrata nel sistema da gruppi di sinistra e da ONG; e quando lo Stato stesso si incarica di questo compito utilizza i propri mezzi per recuperare tali lotte e porle sotto il suo controllo, la sua sorveglianza, la sua guida. Ciò avviene anche quando alcuni gruppi di sinistra cercano di prendere parte a lotte conflittuali giungendo a proporre riforme e mediazioni con lo Stato, rendendole così vulnerabili al controllo del sistema.
È ovvio ma necessario sottolineare che le truppe d'assalto dello Stato giocano un ruolo importante nel processo di recupero e di assimilazione dei sollevamenti o delle rivolte.
Ecco alcuni esempi.

Agli incontrollabili

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Agli incontrollabili

Nessun passo indietro:
attacchiamo la maxi-prigione,
i suoi costruttori e i suoi difensori!
 
Coraggio e determinazione a chi lotta contro il potere e per la libertà!
 
L'ordine deve regnare: è il motto di ogni potere. Il suo ordine lo conosciamo: i suoi massacri alle frontiere, il suo sfruttamento sul lavoro, il suo terrore nelle carceri, il suo genocidio delle guerre, il suo avvelenamento dei nostri polmoni, la sua devastazione di tutto ciò che è bello e libero, la sua ideologia nelle nostre menti e il suo svilimento dei nostri cuori. E a Bruxelles il potere ha fatto un salto di qualità. Si tratti dei negozi per gli eurocrati o dei nuovi loft per i ricchi, degli sbirri che si moltiplicano come conigli o delle telecamere che spuntano come funghi, dei nuovi centri commerciali o del piano urbanistico per rafforzare il controllo, il messaggio è chiaro; l'ordine deve regnare e i poveri, gli esclusi, i clandestini, i criminali, i ribelli, noi, siamo indesiderabili in questa città, buoni solo ad obbedire e a curvare la schiena o a crepare.

Le capre di Haren

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Le capre di Haren

Un irresponsabile

Qualche settimana fa, in seguito a diversi attacchi anonimi contro alcuni responsabili del progetto della maxi-prigione che lo Stato belga spera di costruire a Bruxelles, un blog internet di Haren, dove per l’appunto si trova il terreno prescelto, ha denunciato «elementi incontrollabili [che] finiscono col guastare la credibilità» della lotta. Il 3 giugno scorso, facendo avanzare senza esitazione la sua coraggiosa crociata per la pace dei cimiteri, lo stesso blog gestito da un cadavere locale si è affrettato a prendere le distanze dall’azione incontrollata… delle capre del suo villaggio.
Quel giorno, di buon mattino, gli ovini ribelli hanno infatti abbandonato il loro recinto situato nello spazio occupato della futura (oppure no) maxi-prigione, per andare ad esplorare nuove strade, forse in cerca di spazi meno angusti. Cammin facendo, le caprette sono perfino giunte a perturbare per diverse ore il traffico ferroviario della linea Vilvorde-Haren. La storia non dice se l’erba fosse davvero più verde che altrove, ma mostra in ogni caso che solo uscendo dai sentieri battuti possono nascere orizzonti ricchi di promettenti incognite.

Architetti al servizio dell’oppressione

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Francia: Architetti al servizio dell’oppressione

I «Quartieri di Nuova Concezione» sono sezioni di una struttura penitenziaria ma fisicamente separate dal resto degli edifici, in cui vengono piazzati i detenuti in fine pena (a cui manca meno di un anno da scontare) o condannati a pene brevi (meno di un anno). Queste sezioni possono contenere tre regimi di detenzione: per semi-liberi, altri riservati ad una pianificazione della pena e altri ancora per detenzioni brevi. In celle individuali dotate di doccia e cucinino, la sopravvivenza è più facile: si tratta del rovescio della medaglia dei tuguri delle Case Centrali (prigioni di sicurezza).
I QNC servono infatti da valvole di sfogo per garantire la tranquillità all’interno delle carceri, in base alla politica che ricompensa gli sforzi di «reinserimento» dei detenuti (se vuoi uscire più in fretta, mettiti prono, dimostra che vuoi inserirti e che sei diventato un buon cittadino…). Il vecchio metodo del bastone e della carota (la premialità nella detenzione, appunto).

Il castello dei fantasmi

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Il castello dei fantasmi

Talvolta siamo indotti a credere di abitare in un mondo di fantasmi. Senza corpo né forma, essi infestano i nostri giorni e le nostre notti, cercando di determinare e di controllare la nostra intera esistenza. Si chiamano Economia, Nazione, Politica, Bene Pubblico, Stato, Ordine. Nessuno sa esattamente in cosa consistano, perché esistano e, soprattutto, i pareri sono discordi. Fantasmi quindi, inafferrabili, estremamente resistenti alla critica benevola o costruttiva, come si dice, perché dotati di una incredibile capacità di assorbimento delle mezze opinioni, degli all'incirca e delle critiche superficiali.
Il potere scava di continuo l'abisso fra questi concetti ideologici e la materialità tuttavia innegabile dello sfruttamento, dell'oppressione, dell'ingiustizia, dell'assenza di libertà. Si parla di Economia come se fosse qualcosa di separato dalle ore di lavoro che si svolgono soffocando, come se non riguardasse gli abiti che tutti indossiamo, fabbricati da milioni di schiavi in un paese lontano. Si parla di Ordine senza rendersi conto che questo concetto, applicato alla realtà, riguarda per esempio le migliaia di immigrati morti alle frontiere. Si parla di Reclusione, di Punizione e di Giustizia, ma colui che parla è difficile che trascorra i suoi anni in nove metri quadrati.

Lo Stato si regge quando può su complici locali

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Lo Stato si regge quando può su complici locali

Lettera agli zadisti

 
Laura Blanchard, Emilie Sievert
 
Innanzitutto, per impedire ogni ambiguità, siamo solidali con le lotte con occupazione condotte contro i vari progetti industriali e capitalisti che, più che pianificare il territorio, contribuiscono a pianificare la nostra vita. Non solo siamo solidali, ma vi contribuiamo attivamente pur non definendoci zadisti. Ma non ci ritroviamo sempre con quanto viene portato avanti. È abbastanza logico, considerata la diversità delle persone che lottano. Per il momento tralasciamo la questione della composizione e della maniera di accordarsi, sulla quale magari torneremo in seguito. Abbiamo deciso di scrivere questa prima lettera il cui scopo non è di impartire lezioni che saremmo ben poco legittimati a tenere, ma di trasmettere le nostre osservazioni, i nostri dubbi e le nostre inquietudini.

Ai blocchi di partenza

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Ai blocchi di partenza

A fine febbraio 2015, lo Stato ha assoldato una ditta per installare delle reti attorno al terreno del futuro cantiere della maxi-prigione ad Haren, a nord di Bruxelles. Una ruspa ed alcuni operai, scortati dai poliziotti, hanno quindi cominciato a recintare il terreno per «predisporre i lavori al riparo dagli sguardi indiscreti dei curiosi». Un’altra impresa ha iniziato i lavori di demolizione di un vecchio sito industriale che si trova anch’esso sul terreno del futuro cantiere. Sono i segnali innegabili che il progetto della maxi-prigione avanza e che lo Stato intende aumentare la velocità per erigere la più grande galera del Belgio. È difficile non comprendere il suo messaggio allorché inizia… installando una recinzione per proteggersi e piazzando telecamere di videosorveglianza nella zona di Haren. La costruzione di questo carcere condurrà inevitabilmente alla militarizzazione dei dintorni.

Aria!

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Aria!

Attorno alla lotta contro la costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles

Questo è un dossier sulla lotta contro la costruzione d’una maxi-prigione a Bruxelles, lotta cominciata alla fine del 2012 e tuttora in corso.
Una lotta specifica, contro una struttura concreta del dominio. Se non ci si vuole limitare a intervenire qui e là, cercando di rintuzzare i mille orrori che quotidianamente ci impone questa società, allora si può sempre prendere in considerazione la possibilità di scegliere uno dei suoi progetti più significativi e decidere di iniziare una lotta autonoma contro di esso. Per non disperdersi in troppi rivoli, per non fare da truppa a battaglie altrui.
Una lotta contro la repressione dello Stato, ma al tempo stesso contro una concezione della vita stessa e dello spazio urbano che la deve contenere. Messi in fila sotto gli occhi delle telecamere, chi nei raggi di un carcere e chi nelle corsie di un supermercato, detenuti e “liberi” cittadini condividono giorni e notti non troppo dissimili: sorvegliati nei percorsi, controllati negli spostamenti, registrati nei contatti, catalogati nelle richieste, sfruttati sul lavoro, alienati nei desideri, sedati dalla televisione.

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