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Cadute (formalmente) le frontiere ed unificato l'intero pianeta sotto il tallone di un unico modo di vivere, ha ancora senso parlare di un qua vicino e di un lontano? Le distanze si sono accorciate a tal punto che nemmeno un continente riesce più a separare ciò che ormai è irrimediabilmente legato, sia in termini di combutta di interessi sia in termini di cospirazione di desideri. Ecco perché gli avvenimenti più distanti ci toccano come se si svolgessero appena fuori dall'uscio di casa.

Tutti coinvolti

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Tutti coinvolti

Alle prime luci dell’alba, un camion dI 40 tonnellate si mette in marcia sotto una pioggia fine. Non è che uno delle migliaia di veicoli che assicurano il trasporto su strada delle merci, ma la sua missione è assai meno anodina. A fari accesi, il camion avanza nei sobborghi della capitale bavarese, Monaco. Sulla sua scia si staglia la lugubre sagoma di una gru che sembra pronta a piombare coi suoi artigli meccanici su una qualsiasi preda. Si tratta di un vero e proprio convoglio: infatti il camion è scortato da alcune volanti della polizia a lampeggianti spenti. Arrivati a destinazione, alcuni poliziotti saltano giù dai loro veicoli, sfondano una porta, poi si precipitano nei locali. L'operazione non mira ad effettuare qualche scoperta, sono lì per sequestrare.

La guerra comincia qui

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La guerra comincia qui

Già da settimane aleggiava un'aria viziata dagli annunci e dai segnali di una sua imminente concretizzazione, ed ecco — la guerra è scoppiata. Una nuova guerra, questa volta alle porte dell'Europa. Una narrazione fatta su misura è già nella mente e sulle labbra di molti: è colpa di Putin. Una formula semplice, da cui consegue che: poiché la Russia è il campo del Male, allora i suoi nemici ed avversari non possono che stare nel campo del Bene. L’impresa di produzione e formazione dell’opinione che è la comunicazione moderna non è affatto un'attività estetica o spirituale, al contrario, lo scopo che persegue è prettamente pratico: produrre determinati atteggiamenti e comportamenti, e bandirne altri.

Un respiro profondo

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Un respiro profondo

«Non andartene docile in quella buona notte
Infuriati, infuriati contro il morire della luce»
Dylan Thomas
 
 
No, questa volta no. L'ennesimo omicidio di un nero da parte della polizia, avvenuto lo scorso lunedì 25 maggio a Minneapolis (Minnesota), nel «paese più libero del mondo», non passerà inosservato, non finirà anch'esso a fare numero in qualche statistica. Schiacciato sotto il peso di tre poliziotti, uno dei quali col ginocchio premuto sul suo collo, George Floyd ha inutilmente invocato pietà. Le sue ultime parole sono state: «non riesco a respirare, non riesco a respirare, per favore, signore, per favore, per favore, per favore, non riesco a respirare». Ma ai signori che compongono il braccio armato dello Stato, di qualsiasi Stato, è inutile chiedere favori. È il loro lavoro non fare respirare, calpestare e soffocare ogni slancio vitale. Si arruolano appositamente per questo, per godere del potere di togliere il respiro a chi sta sotto di loro. Vengono addestrati e pagati appositamente per questo, per impedire ogni movimento di chi sta sotto di loro.

Ognuno ha le sue debolezze

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Ognuno ha le sue debolezze

 
In periodo di confinamento, alcuni non hanno più granché da mettere sotto i denti. Questo è dovuto principalmente alla chiusura di molti negozi di alimentari. Ma per soddisfare il loro feroce appetito, i nostri amici roditori, che sono dotati di un olfatto assai sviluppato tra le specie che popolano il pianeta, hanno trovato una prelibatezza altrettanto succulenta e abbondante.
A partire dal XVIII secolo, Rattus norvegicus ha progressivamente sostituito alle nostre latitudini Rattus rattus, più comunemente chiamato «ratto nero». Più grande, più grosso e più goloso del suo predecessore, possiede un gusto assai sviluppato e non esita a scegliere il proprio cibo per trovare gli alimenti che più gli piacciono. D’altra parte, è in grado di registrare il gusto di ciò che mangia e riesce perfino a capire se un alimento che già conosce sia stato modificato.
A Poitiers, nella Vienne, la notte tra l’11 e il 12 aprile i nostri fini buongustai si sono concessi una leccornia situata sotto il cemento tra il municipio e la biblioteca multimediale. Ma cosa ci potrà mai essere a pochi metri sotto i nostri piedi che i roditori sappiano apprezzare adeguatamente?

Suonare la ritirata

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Suonare la ritirata

Dopo mesi di trattative col potere, i sindacati all'inizio di dicembre hanno infine partorito il loro sciopero contro «la riforma delle pensioni». Benché ci si ostini a chiamarlo «generale» sia fra i dirigenti sindacali sia all’interno della «base» (senza tralasciare «i radicali», naturalmente!), ciò è palesemente fuori luogo. Nel momento in cui scriviamo, riguarda principalmente i trasporti e i funzionari statali, spalleggiati da qualche bastione più «combattivo» del sindacalismo, come è il caso delle raffinerie. Riaffiora come un mantra il solito ritornello: da un lato c'è il famoso «non molliamo» e dall’altro «non cambieremo il principio della riforma». È improbabile che questo scenario, già visto così tante volte, finisca diversamente del gioco delle tre carte: alla fine, dopo aspre trattative e pugni sbattuti sul tavolo, si fa la conta delle forze presenti. Il sipario si chiude: si molla comunque su qualcosa (creazione di un regime unico) da un lato e si modificherà in parte il principio dall'altro (mantenimento di specificità di deroga, come quelle già accettate per gli sbirri il 12 dicembre).

Danzare con le fiamme

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Danzare con le fiamme

Martedì 12 novembre era la quarta giornata di sciopero generale puntuale in Cile dall'inizio della rivolta. E non solo è stata molto partecipata, ma i rivoltosi non si sono lasciati sfuggire l’occasione di moltiplicare gli scontri, le distruzioni incendiarie e i saccheggi in tutto il paese. E hanno continuato il giorno successivo...
 
Infrastrutture. Molte strade sono state bloccate da barricate, talvolta anche con l'aiuto di enormi cartelloni stradali abbattuti come ad Antofagasta, mentre verso le 6,30 anche un ripetitore di telefonia mobile di Movistar Chile è stato bruciato a Caldera, nell'area di Cerro Panagra, lasciando 15000 persone senza cellulare fino all'aeroporto, dato che quell’antenna dirigeva il segnale di altre quattro più piccole; d’altronde non è il primo ad essere stato attaccato dall'inizio della rivolta cioè dal 18 ottobre, come quello della società Entel a Teno (regione di Maule) incendiato il 26 ottobre, o quelli di Entel e di Claro ad Arica il 20 ottobre, mentre nel distretto di Pudahuel (Santiago) il 9 novembre all’1,30 del mattino, è una centrale telefonica a Laguna Sur ad esser stata data alle fiamme, tagliando Internet e il traffico telefonico mobile. Nel frattempo a Calama, all'estremo nord vicino al deserto e ad Antofagasta, è toccato alla torre principale del progetto Cerro Dominador, la più grande centrale solare di Cile e Sud America in costruzione, che ha preso fuoco verso le 20, con i vigili del fuoco che hanno impiegato quasi sei ore per spegnere l'incendio e il proprietario EIG Energy Global Partners che ha dichiarato di ignorare se le cause del disastro fossero volontarie o meno, in una giornata come quella del 12 novembre, una delle più calde della rivolta.

La rivolta continua imperterrita

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La rivolta continua imperterrita

«Siamo completamente sopraffatti, è come un'invasione straniera, 
extraterrestre, non so come dire, e non siamo attrezzati per combatterli»
Cecilia Morel, moglie del presidente Piñera, 21 ottobre 2019
 
Oltre i simboli. Venerdì 8 novembre a Santiago durante la manifestazione di 75/100.000 persone, l'edificio storico dell'Università privata Pedro de Valdivia chiamato Casa Schneider e risalente al 1924 è stato saccheggiato e bruciato (cinque arrestati, di cui uno in custodia preventiva e 970.000 euro di danni); la chiesa di La Asuncion (1876) è stata saccheggiata, con i suoi mobili (dalle panche ai confessionali) e i suoi maestosi feticci che alimentavano le barricate incendiate; anche la vicina ambasciata argentina è stata attaccata a Santiago dopo che i manifestanti sono riusciti ad attraversarne i cancelli, entrare nel giardino e lanciare pietre contro le finestre prima di andarsene indisturbati. Lo stesso giorno in tutto il territorio fino a sera, sono andati in fumo anche i caselli El Paico a Talagante; ha subìto la stessa sorte il salone d’ingresso del Ministero edilizia e urbanistica a Orsono (distruzione di mobili, computer e archivi); la sede della compagnia elettrica CGE, un tribunale, la tesoreria e l’università di tecnologia (Inacap) saccheggiati e incendiati a Copiapó; i locali della compagnia aerea Latam, la compagnia elettrica Saesa, una succursale bancaria Itaú devastati a Puerto Montt, per non parlare della Corte d'appello che perso tutte le finestre e dell'istituto linguistico Tromwell che è stato saccheggiato. Sono stati attaccati sette edifici fra commissariati e caserme, tra cui la Dipolcar (i servizi di intelligence dei carabinieri) del 54° commissariato di Huechuraba, il 10° a La Cisterna e quello di Quillota (oltre alla tesoreria e alla prefettura regionale). Oltre ai relativi saccheggi, da annotare gli attacchi distruttivi della prefettura regionale di Coyahique, di un tribunale e una Casa del Diritto a Viña del Mar, di un collegio ad Arica (circa quindici minorenni arrestati), e dei municipi di Puerto Varas e Loncoche.

Contro il ritorno alla normalità

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Cile: contro il ritorno alla normalità

Giovedì 24 ottobre è stato il secondo giorno previsto per uno sciopero generale, prima di nuovi appelli sindacali alla semplice «mobilitazione» per venerdì, e ovviamente alle 17 dopo il lavoro (due giorni di sciopero, non di più, non bisogna esagerare, non è come se ci fosse un paese sotto stato di emergenza e coprifuoco con militari che fermano, picchiano, torturano, uccidono e arrestano ribelli).
Se la massa delle brave persone era numerosa in strada, è stata soprattutto silenziosa, lasciando i più veementi a combattere da soli con le classiche pietre contro i gas lacrimogeni e barricate di fortuna contro i cannoni ad acqua. Come se tutto sommato nulla fosse successo, o molto poco, da quel 17 ottobre, in uno scenario classico di manifestazioni oceaniche punteggiate da tafferugli ai margini o un po’ più in là.

Oltre ai lampi, tuoni e fulmini

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Oltre ai lampi, tuoni e fulmini dal Cile

Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza e l'affidamento della gestione della strada ai militari per ristabilire l'ordine (insieme agli altri bracci armati dello Stato), il presidente della Repubblica Sebastian Piñera ha annunciato sabato 19 ottobre di rinunciare all'aumento dei prezzi del trasporto pubblico a Santiago, mentre i suoi militari decretavano l'instaurazione del coprifuoco. Infatti, dopo la grande giornata di venerdì nella capitale, dove molte stazioni della metropolitana erano state devastate e bruciate (oltre agli scontri durante il giorno), la rivolta si è estesa in tutto il paese. E questa volta, la questione non è più questo o quello, ma una critica in atti della condizione riservata ai poveri: saccheggi in massa di supermercati e centri commerciali, incendi di istituzioni (banche, municipi, caselli dei pedaggi, sedi di giornali)... ma anche entrambe le cose, poiché moltissimi negozi saccheggiati vengono pure distrutti dalle fiamme in uno stesso movimento, il che è particolarmente significativo.


Lampi dal Cile

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Lampi dal Cile

 

Non sempre i poveri sono ragionevoli, e poi, perché dovrebbero esserlo a fronte di un’esistenza di miseria che viene loro riservata giorno dopo giorno dal potere? In qualche caso, basta una goccia d'acqua perché il negativo dispieghi le ali e attacchi quello che ha identificato da tempo come nemico. Ciò non farà certo piacere al braccio sinistro del capitale e alla sua ideologia cittadinista, tuttavia a Santiago del Cile da venerdì 18 ottobre, studenti, liceali, anarchici e altri vandali incontrollati hanno cominciato a distruggere una parte importante del loro alienazione quotidiana: il sacrosanto trasporto pubblico. Hanno capito che nulla di quanto appartiene allo Stato o alle imprese è nostro e merita di essere aggredito dalle fiamme della vendetta contro un esistente di spossessamento e di sfruttamento.

Fiera del libro anarchico

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Fiera del libro anarchico a Marsiglia

21 e 22 settembre 2019

 
Ancora qui.
Ancora qui. A lanciarsi nell'avventura senza freni della pratica anarchica, in quel ciclone di idee libere proteso verso la tempesta dell’azione sregolata, del gioco senza premi da vincere, della vita senza mediazioni.
Ancora qui. Distanti e contro le ideologie che promuovono soggetti politici, contro gli occhiali offuscati dal cittadinismo, contro l'imposizione di una vita securitaria trasformata in abitudine e obbedienza.
Ancora qui. Malgrado i tentativi di recupero e di annientamento dell'idea di libertà. Malgrado il realismo, i moralismi e l'integrazione della logica di potere da parte dei suoi falsi critici, che mirano alla riforma del dominio piuttosto che alla sua distruzione.
Ancora qui. A persistere nella ricerca di sentieri per tessere complicità e combattere l'offensiva tecnologica che rinnova e approfondisce il dominio, per dedicarsi appassionatamente alla distruzione dell'oppressione e dello sfruttamento, per guardare al di là degli orizzonti di questo presente insipido.
Ancora qui. Anche se le dipendenze delle protesi tecnologiche cercano di distrarci dall’incessante annichilimento in corso della nostra sensibilità e della nostra immaginazione. Anche se le relazioni virtuali cercano di privarci della complicità e dell'umanità. 
Ancora qui. A rivendicare con amore e fierezza le idee anarchiche, in un’epoca in cui integrazione e repressione vanno di pari passo, oscurando sempre più gli orizzonti di rivolta.

Giù la maschera

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Giù la maschera

 

Non faceva molto caldo quel giorno. Eppure il sole aveva brillato per tutto il giorno sulla capitale francese. Il 4 aprile 2019, alcuni uomini sono atterrati sull'asfalto di un qualsiasi aeroporto parigino. Venivano dalla Libia e avevano una missione: chiedere l'accordo di quello Stato per scatenare una vasta offensiva militare. Quegli uomini arrivati in tutta fretta erano emissari del maresciallo Haftar, capo dell'esercito nazionale libico (ANL). Parigi aveva dato il via libera. Qualche ora dopo, migliaia di soldati dell'ANL si sarebbero messi in marcia per conquistare Tripoli, la capitale libica nelle mani del governo di unità nazionale (GNA), riconosciuto dagli organismi internazionali come il «governo legittimo» di un territorio lacerato tra milizie, parlamenti, gruppi paramilitari, mercenari e jihadisti. 

Dall'altra parte dello specchio

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Dall'altra parte dello specchio

 

Il tizio sorride ai fotografi, con gli occhiali da sole pigiati sul naso e le cime innevate sullo sfondo. Giunto la sera di giovedì in una località sciistica degli Alti Pirenei, ha previsto di trascorrervi il fine settimana. Quest’uomo è il Presidente della Repubblica. È venuto a festeggiare in tutta tranquillità la fine del Gran Dibattito, il cui obiettivo era quello di incanalare sui binari istituzionali un movimento di rivolta che ormai dura da quattro mesi. Sabato 16 marzo, a metà pomeriggio, questo stesso uomo, ora col volto contratto, è costretto ad interrompere la sua vacanza in tutta fretta. Poco prima, la sindaca del distretto più ricco della capitale, ebbra di rabbia, ha chiesto di decretare lo stato di assedio per affidare all'esercito funzioni di polizia. Poche ore dopo, un Primo Ministro quasi livido sbraiterà a più non posso, lanciando strali a casaccio contro gli atti dei «teppisti, saccheggiatori, incendiari, criminali». E pure «assassini», ci tiene ad aggiungere senza batter ciglio il suo specialista in terrorismo di Stato. È il 18° sabato consecutivo, e il potere è stato ancora una volta colto di sorpresa...

Afferrare l'occasione

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Afferrare l'occasione

 

Più di centomila persone arrabbiate che occupano da quasi quattro settimane rotatorie e caselli autostradali, che cercano di bloccare e rallentare il funzionamento delle piattaforme logistiche di supermercati, depositi petroliferi o anche di fabbriche, che si riuniscono ogni sabato nelle città di medie dimensioni come nelle metropoli per assaltare prefetture e municipi, o semplicemente per distruggere e saccheggiare ciò che li circonda; ecco che l'autunno dà vita inaspettatamente all’ennesimo movimento sociale. Di che far accorrere tutti coloro a cui piace l'odore delle mandrie, per tentare di cavalcarle o semplicemente per essere là dove accade seguendo il vento dei lacrimogeni. Come durante il movimento sindacale contro la Loi Travail del 2016 (marzo-settembre) e le sue conseguenze contro le ordinanze nel 2017 (settembre-novembre), o quello contro la riforma della SNCF quest'anno (aprile-giugno). Solo che questa volta non è andata così.

Qui giace un cadavere

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Qui giace un cadavere

 
Dopo anni di lotta, lo Stato francese ha ufficialmente annunciato il 17 gennaio 2018 l'abbandono del progetto di costruire un nuovo aeroporto sul sito di Notre-Dame-des-Landes, a favore dell'espansione di quello già esistente alla periferia di Nantes. Alla fine si vedrà tutta la portata del famoso «e del suo mondo», brandito come un totem rassicurante e quasi auto-operante all'interno della lotta, affinché la questione non si riduca alla mera difesa di un territorio in pericolo, ma alimenti una critica contro tutto ciò che permette a questo genere di nocività di esistere.
Gli occupanti continueranno la loro battaglia prolungandola al nuovo allargamento designato, in nome del Né qui né altrove?

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