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A costo di provocare irritazioni e disagio, è fondamentale andare in senso contrario. Cessare di accarezzare ciò che ci circonda non solo nei suoi aspetti minimi, ma soprattutto nella sua dimensione generale e globale. Il pensiero ribelle, se isolato in situazioni particolari, rischia di scadere in mero commentario. Intelligente, ma a breve gittata. Per arricchirsi, in qualità come in quantità, occorre abbracciare tutti gli ambiti dell'esistenza umana. Una sfida faticosa, ma indispensabile.

Nel paese delle democrazie

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Nel paese delle democrazie

 
«La questione — disse Alice — è sapere se hai il potere 
di attribuire alle parole tanti significati diversi.
La questione — disse Humpty Dumpty — 
è sapere chi comanda... tutto qui»
 

Alice, idealista un po’ ingenua, si sta chiedendo in questi giorni se è mai possibile che la parola «terrorismo» abbia un altro significato, dizionario storico-etimologico alla mano. Humpty Dumpty, materialista un po’ grezzo, le risponde che essendo lo Stato a comandare, ed essendo il linguaggio proprietà di chi comanda, allora «terrorismo» significa ciò che vuole lo Stato. Tutto qui.
Negli anni 70 lo Stato concedeva l’appellativo di «terrorista» a chiunque gli contendesse il monopolio dell’uso della violenza, ovvero utilizzasse armi da fuoco o esplosivi, soprattutto ai partecipanti di organizzazioni specifiche combattenti, soprattutto se quelle organizzazioni erano espressione di un più vasto movimento di contestazione, soprattutto se quella contestazione mirava a sfociare in una rivoluzione. Per lo Stato, «terrorista» era soprattutto chi lo attaccava a mano armata.

Discorso sul colonialismo

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Discorso sul colonialismo

Aimé Césaire

E così, un bel giorno, la borghesia viene svegliata da un formidabile contraccolpo: le gestapo si danno da fare, le prigioni si riempiono, i torturatori inventano, rifiniscono, discutono intorno ai cavalletti.
Ci si stupisce, ci si indigna. Si dice: «Come è curioso! Mah! È il nazismo, passerà!». E si aspetta, si spera; si nasconde a se stessi la verità che è una barbarie, la barbarie suprema, quella che corona, quella che riassume la quotidianità delle barbarle; che è il nazismo, si capisce, ma che prima di esserne stato vittima se ne è stato complice. Che lo si è sopportato — quel nazismo — prima di subirlo, lo si è assolto, lo si è svisto e legittimato perché finora era stato applicato ai soli popoli non europei; che quel nazismo lo si è coltivato, e se ne è responsabili, e che esso assorda, perfora, pervade goccia a goccia, prima di inglobare nelle sue acque rosse di tutti i crimini della civiltà occidentale e cristiana
Sì, vale la pena di studiare, clinicamente, nei dettagli, le tattiche di Hitler e dell'hitlerismo e di svelare al molto distinto, al molto umanista, cristiano borghese del XX secolo, che custodisce in sé un Hitler nascosto, che Hitler abita in lui ed è il suo demone, che se lo rifiuta, è per mancanza di logica e che in fondo, ciò che non perdona ad Hitler, non è il crimine come tale, il crimine contro l'uomo; non è l'umiliazione dell'uomo in sé, ma il crimine contro l'uomo bianco, il fatto di aver applicato all'Europa metodi coloniali finora riservati agli arabi di Algeria, ai coolies dell'India e ai negri d'Africa.

La soluzione finale al problema etico

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La soluzione finale al problema etico

Ora, il resettaggio del passato, la cancellazione della memoria, non è operazione facile in ambito sovversivo. La falsa coscienza necessaria all'azione politica si scontra infatti con il problema etico, ad esempio con l'idea secondo cui non si può sovvertire e servire allo stesso tempo; o anche con la diffusa convinzione che la memoria sia rivoluzionaria. Come fare a liquidare definitivamente questo problema? Le smentite non bastano, i sofismi nemmeno, e ad arrampicarsi sugli specchi tutti i giorni ci si stanca. Non si può andare avanti così, a chiamare errore episodico il metodo continuato, a fingere stupore e indignazione davanti all'evidenza più palese, ad evitare ogni critica pubblica e circostanziata sommergendola con pettegolezzi privati e «richieste di fiducia». Le situazioni incalzano, esigono una flessibilità (altro che conflittualità!) permanente, per cui bisogna farla finita una volta per tutte: niente intransigenze sconvenienti. Occorre decidersi a prendere di petto la questione, risolvendola alla radice.
La maniera c'è ed è davvero definitiva. La memoria non va più cancellata o «rivista e corretta» nei punti più imbarazzanti, secondo la bisogna. Ne va decretata la nocività in sé, la sua pesante costrizione. Basta con la tirannia dei ricordi, largo alla libertà dell'oblio. Non sono gli smemorati interessati a dover stare sulla difensiva, giustificandosi. Sono loro i rivoluzionari pronti a salire su qualsiasi barricata e su qualsiasi carro, mentre chi possiede ancora un briciolo di memoria è da considerare un reazionario.

Stranieri in un mondo alieno

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Stranieri in un mondo alieno

Wolfi Landstreicher

Sono stato un anarchico per oltre trent'anni. Per me questa non è mai stata un'identità a cui aggrapparsi, un'etichetta per darmi un senso di appartenenza. È stata piuttosto una sfida continua per affrontare la mia vita in maniera particolare, ponendomi costantemente la questione di cosa significhi rifiutare ogni forma di dominio e sfruttamento nella mia vita a livello pratico. Questo non è un interrogativo semplice con risposte facili, ma un problema con cui devo confrontarmi di continuo, perché qui e adesso sto affrontando un mondo in cui il dominio e lo sfruttamento definiscono i rapporti sociali, in cui la maggioranza degli individui sono spossessati di ogni possibilità di determinare la propria esistenza, alienati dell'energia creativa attraverso cui si potrebbe realizzare un simile progetto. In quanto anarchico, ho preso la decisione di rifiutare e combattere contro questo mondo. Ciò ha fatto di me un disertore, un outsider, di fatto, uno straniero in un mondo alieno.

Contro il feticismo delle masse

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Contro il feticismo delle masse

Dwight Macdonald

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Al «feticismo della merce» di Marx vorrei contrapporre il nuovo moderno feticismo — quello delle masse. Più si ragiona in modo progressista, più si assume che la prova della bontà di un programma politico sia in funzione del seguito popolare che ottiene. Io oso, almeno per l'epoca presente, affermare il contrario: che, come in arte e in letteratura, la comunicabilità su vasta scala è inversamente proporzionale alla bontà di un approccio politico. Non è una cosa positiva: come nell'arte, è un fattore deformante e storpiante. Non che sia una legge eterna: in passato le idee di una sottile maggioranza, ridotta qualche volta quasi al limite di un singolo individuo, sono riuscite lentamente a conquistare sempre maggiore consenso tra i concittadini; e speriamo che lo stesso accada anche alle nostre idee. Ma tale mi sembra la nostra situazione oggi, che ci piaccia o no. Tentando di diffondere le idee politiche su scala di massa oggi si finisce per corromperle o per spogliarle di tutta la loro forza emotiva e di tutto il loro significato intellettuale. Gli stessi mezzi con cui si deve comunicare a un vasto pubblico — la radio, la stampa popolare, i film — sono infetti; il linguaggio della comunicazione di massa è infetto.

Affari di gioco

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Affari di gioco

Più che mai lo sport contraddistingue il nostro spazio e il nostro tempo. Malgrado le centinaia di milioni di tesserati sul pianeta, i miliardi di telespettatori, la sua importanza nel commercio mondiale, le sue complicità politico-finanziarie ed il suo potere egemonico sul corpo, lo sport viene presentato come un innocuo e piacevole passatempo.
Ma se ci si intendesse una volta per tutte sul significato di questo termine, se si smettesse di confondere una partita fra amici che corrono dietro a una palla con una finale di Coppa del Mondo, o una corsa fra i campi con una finale olimpica dei 100 metri, la questione dello sport non apparirebbe più così innocente e risibile.
Lo sport non è un gioco, né un’attività fisica. Religione dei tempi moderni, i suoi valori sono indiscutibili e le sue pratiche universali.

La nuova ideologia

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È nata una nuova ideologia

Un cadavere si aggira per il mondo. Il cadavere dell’ideologia. Laddove la teoria è l’insieme organico delle idee possedute da un individuo, per ideologia si può intendere l’insieme di idee che possiedono un individuo. E le idee che costituiscono una ideologia sono come le macchine; ogni anno ne viene immesso sul mercato un nuovo modello che sostituisce quello precedente, sebbene siano assolutamente identici nella loro funzione alienante.
Del resto, concetti come “novità”, “progresso”, “cambiamento”, “modernità” sono sempre stati presenti nel linguaggio pubblicitario del capitalismo, poiché anche con essi legittima la propria perpetuazione. Ciò che sta accadendo oggi in Italia è significativo in proposito. Chi non si batte in nome del Nuovo? Chi non rivendica una nuova identità, una nuova verginità capace di mantenerlo in corsa?

Il valore della vita

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Il valore della vita

Adonide

Il celebre pittore spagnolo Salvador Dalì aveva scritto che nulla lo eccitava quanto lo spettacolo di un vagone di terza classe pieno di operai morti, maciullati in un incidente. La sua non era affatto indifferenza nei confronti della morte, tant’è che quando a perire in un incidente fu un suo amico, il principe Mdinavi, egli ne rimase profondamente sconvolto. Semplicemente, per Dalì l’unica morte di cui rammaricarsi era quella di un principe. Niente a che vedere con un carico di cadaveri di operai.
Questa non deve apparire la bizzarria di un personaggio noto per la sua eccentricità. In effetti la morte di un essere umano non costituisce un avvenimento che per gli altri esseri umani. Le circostanze della sua dipartita e l’interesse che essa suscita sono valutati solo da coloro che gli sopravvivono. L’importanza accordata a questo avvenimento — di per sé assolutamente comune — non dipende quindi dall’avvenimento in sé, ma dall’idea che della morte ha chi lo commenta e dal parere che si ha di chi muore.
Ora, noi tutti siamo abituati ad operare una distinzione fra morte detta naturale e morte detta violenta.

Noterelle su Sacco e Vanzetti

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Noterelle su Sacco e Vanzetti

Alfredo M. Bonanno

Siamo certo molto lontani dall'epoca e dalle condizioni sociali in cui maturò la tragedia di Sacco e Vanzetti. Ma i problemi riguardanti il modo in cui reagì in quei lontani giorni il movimento di opinione democratico mondiale e il movimento anarchico internazionale, sono molto cambiati? Le contraddizioni che emersero allora, non potrebbero riemergere anche oggi? Per quali motivi? Forse per il mancato chiarimento di certi equivoci? Queste le domande che hanno generato queste modeste noterelle.

 

A me sembra che l'afflusso di personalità democratiche di ogni genere, specialmente quelle artistiche e letterarie, oltre a quelle giuridiche e accademiche, abbia contribuito molto a diffondere il "caso" Sacco e Vanzetti, abbia anche, all'epoca, contribuito ad una immensa propaganda universale, ma abbia anche abbassato il tono dello scontro che indubbiamente, in quel momento, si stava svolgendo negli USA e, più specificamente, in quel tribunale. Troppe chiacchiere, troppi pezzi teatrali, troppi giornalisti democratici, troppi uomini politici, e questo, come un filo continuo perverso, continua anche oggi con i tentativi di recupero del concorrente alla Casa Bianca Dukakis.
Ma come si può decidere diversamente? Poniamo nel caso di Piazza Fontana, si poteva mandare a quel paese l'aiuto offerto dal PCI? Se gli anarchici fanno di tutto per allargare la loro propaganda, per coinvolgere la gente, per farsi sentire da un numero quanto più vasto possibile di persone come si fa poi, quando l'occasione si presenta, a non accettare la collaborazione di forze politiche e intellettuali che si sa benissimo dove vogliono andare a parare?

Introduzione al Millenarismo

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Introduzione al Millenarismo

Georges Lapierre

La veemente fuga dal mondo sulle vie di Compostela, il rifugio della preghiera, l’asilo della Chiesa, l’oasi di grazia della vita monacale non sono stati, per fortuna, i soli slanci degli uomini del Medio Evo verso la salvezza della vita eterna. Un’altra corrente, altrettanto potente, ha trascinato molti di loro verso un altro desiderio: la realizzazione sulla terra del paradiso, il ritorno all’età dell’oro. È questa la corrente del millenarismo, il sogno di un Millennio, mille anni di felicità, come a dire l’eternità instaurata, o piuttosto restaurata, sulla terra.
Contrariamente ai loro contemporanei, i millenaristi non hanno scambiato i propri sogni con la realtà, volendo realizzarli, cosa ben diversa e altrimenti spirituale: godere infine della ricchezza infinita dello Spirito. Al vile abbandono, hanno opposto il rifiuto, l’insurrezione, la rivoluzione.

Lo Stato e l'orrore

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Lo Stato e l'orrore

Philippe Godard / Jean-Louis Becker
 

«C’è un cammino verso la libertà; le sue pietre miliari si chiamano: obbedienza, assiduità, onestà, ordine, pulizia, sobrietà, franchezza, senso del sacrificio e amore per la patria».
Questo è l’asse dell’ordine SS nei campi di lavoro e di sterminio, enunciato senza dubbio dallo stesso Himmler. Al di là del cinismo dei carnefici SS che trapela da queste parole, c’è lo smarrimento provocato dall’enunciazione di questi “valori” che guidano sul “cammino della libertà”, che sono poi quelli di ogni Stato, compreso quello democratico. Allora, abbasso tutti i valori.

L'autorità dello Stato poggia fra le altre cose su un modo di produzione gerarchico e complesso, oltre che su un apparato di alienazione e di dominio multiforme, uno dei cui aspetti è l’utilizzo dell’orrore.

Sull'anonimato e l'attacco

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Appendice a un dibattito abortito sull'anonimato e l'attacco

Il dibattito è l'esplorazione approfondita di un argomento attraverso il confronto tra due o più parti, ciascuna delle quali con una propria posizione. Contrariamente a chi pensa che i dibattiti vadano evitati per non provocare divisioni, noi pensiamo che vadano alimentati. Perché lo scopo di un dibattito non è quello di decretare un vincitore davanti a cui genuflettersi, bensì di arricchire la consapevolezza di ognuno. I dibattiti precisano le idee. L'enunciazione e la contrapposizione di idee diverse – questo è un dibattito! – ne chiarisce i punti oscuri e ne indica i punti deboli. Cosa che serve a tutti, nessuno escluso. Serve a ciascuna delle parti in causa che partecipa al dibattito, al fine di affinare, correggere o rafforzare le proprie idee. E serve a chiunque assista al dibattito, che stabilirà da che parte stare (quale che sia, l'una, o l'altra, o nessuna delle parti in discussione).
La storia del movimento anarchico è costellata di dibattiti. Tutti utili, anche se talvolta dolorosi. Purtroppo essa è piena anche di dibattiti mancati, di idee diverse mai messe a confronto, lasciando ciascuno nelle proprie certezze (o dubbi) iniziali. Meglio così, perché in questo modo si sono evitate sterili polemiche? A nostro avviso, no; peggio così, perché in questo modo si sono impedite fertili discussioni.

Il diritto all'ozio...

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Il diritto all'ozio e la ripresa individuale

Brand [Enrico Arrigoni]

Da molto tempo si va reclamando il diritto al lavoro, il diritto al pane e, veramente, nel lavoro ci stiamo abbrutendo. Non siamo più che lupi alla ricerca del lavoro, di un lavoro “steady”, fisso, se ciò fosse possibile; e alla sua ricerca va il nostro affanno. Siamo a caccia continua, ossessionante, del lavoro. Questa preoccupazione, quest’ossessione anzi, ci opprime, non ci abbandona mai. E non è che si ami il lavoro. Tutt’altro; lo odiamo, lo malediciamo; ma non pertanto lo subiamo, lo inseguiamo anzi per ogni dove. E mentre lo imprechiamo, lo malediciamo pure perché ci sfugge, perché è incostante, perché ci abbandona dopo breve tempo, sei mesi, un mese, una settimana o solo un giorno. Ed ecco che all’indomani di ogni giorno, di ogni settimana, l’inseguimento riprende, con umiliazione alla nostra dignità d'uomini; affronto continuo alla nostra fame; scudisciata morale al nostro orgoglio d’individui pensanti, d'individui coscienti di questo affronto alla nostra dignità ed ai nostri diritti, di ribelli, di anarchici.

Nessuna legittimazione

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Nessuna legittimazione

Quale sia il punto, non è difficile capirlo. Questi ultimi anni hanno visto un moltiplicarsi di conflitti ed è facile prevedere che le aule dei tribunali siano destinate ad affollarsi sempre più di persone incriminate – anche nonostante le loro migliori intenzioni – per aver manifestato contro questa o quella decisione presa dall'alto, per aver infranto in qualche misura questa o quella legge. La repressione che sta colpendo la lotta NoTav in Val Susa – con alcune centinaia di imputati e migliaia di indagati fra i suoi attivisti, per non parlare dell'offensiva mediatica lanciata loro contro – costituisce un lugubre avvertimento ad uso e consumo di tutti gli insoddisfatti dell'attuale ordine sociale; siano essi lavoratori licenziati o studenti deprezzati, precari sfruttati o occupanti sgomberati, cittadini avvelenati o inquilini sfrattati.
Più aumenta il disagio, più si manifestano turbolenze, più aumenta la repressione. Ciò pone ovviamente la questione di come affrontare la reazione dello Stato, al di là del ricorso ai margini di manovra consentiti dalla legge.

Rivoluzione o dittatura

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Rivoluzione sociale o dittatura militare

André Prudhommeaux

I nostri tiranni si atteggiano a liberatori. La parola «libertà» non ha dunque perduto il suo valore emotivo, nonostante le scrollate di spalle degli scettici, le vuote dichiarazioni dei retori e malgrado tutti i delitti liberticidi commessi, fino sui suoi altari in onore della dea. Gli stessi che si sono vantati di farla finita con questa «grue metafisica», di torcere il collo a questa «sgualdrina grondante sangue» o perfino di «calpestare il suo cadavere putrefatto» sono ben felici, quando l'occasione si presenta, di chiamarla alla riscossa, o per lo meno di agitare a loro volta, per i bisogni della loro cattiva causa, il suo grande nome religioso, «libertà nazionale», «libertà di Stato», «libertà di culto», «libertà di lavoro», «libertà dei mari»; «libertà» di pensare in mucchio, «libertà di sfruttare», «libertà d'opprimere», e per conseguenza «libertà» di non essere liberi (perché la bestia è schiava del gregge e il padrone è prigioniero dello schiavo)!... qual magnifico programma per un partito, per tutti i partiti, per i partiti delle libertà, che tutte si riassumono così bene nel motto: «piazza libertà» cioè «levati di là perché mi ci metta io».
Ma la nostra libertà, la libertà di essere diversi? E la vera, la grande, quella che trova nella «libertà» degli altri la sua conferma, la sua estensione, non il suo limite? Chi la difenderà?

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