Brulotti

Semplici galleggianti carichi di materiale esplosivo lanciati alla deriva nel tentativo di incendiare le navi nemiche, in senso figurato i brulotti sono piccole idee suscettibili di provocare danni nei luoghi comuni che rendono triste ed opaca la nostra esistenza. Ogni pretesto è buono per simili tentativi: la riflessione su un fatto del giorno, l'intervento in una lotta, l'annuncio di una iniziativa, la riproposizione di testi dimenticati...

Realtà virtuale

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Realtà virtuale

Contrazione di meta ed universo proveniente dalla fantascienza, questo grottesco concetto è il progetto di punta del pioniere dell'esibizionismo on line, consistente nientemeno che nello sviluppo illimitato e persistente di una sorta di controfigura digitale del mondo fisico, che interagirebbe di rimando con la realtà sotto forma di universo parallelo. Oltrepassando ampiamente il mondo dei videogiochi, le sue prime espansioni — che mirano a rovesciare in un universo smaterializzato parte dell'esperienza sensibile, sostituendosi parzialmente alla realtà — riguardano già, ad esempio, visite tridimensionali ai musei dal proprio divano, o noiose riunioni di lavoro a distanza in sale digitali, il tutto dirigendo il proprio avatar con un casco per la realtà virtuale infilato sulla testa.

Della stupidità

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Della stupidità

Dietrich Bonhoeffer
 

Se l’opera teologica del pastore luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) ci lascia del tutto indifferenti, viceversa riteniamo valga la pena ricordare la sua partecipazione alla congiura per assassinare Hitler (nota come il putsch del 20 luglio 1944). Arrestato, processato e condannato a morte, poco prima di venire impiccato Bonhoeffer mise nero su bianco le sue riflessioni sulla necessità per ogni potere di diffondere la stupidità, sulla facilità con cui gli esseri umani diventano stupidi, nonché sulla pericolosità insita nel tentativo di con-vincerli. E su come davanti alla stupidità organizzata ogni parola diventi inutile. Perché solo un atto esterno di liberazione può infrangerla.

La vera divisione

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La vera divisione

Sebbene non fosse certo un nemico di ogni autorità, George Orwell aveva colto nel segno quando pose così i termini della questione: «la vera divisione non è fra conservatori e rivoluzionari, ma fra autoritari e libertari». Ma chi è disposto ad ammettere, a riconoscere tale divisione? Di fronte alla dilagante potenza dell'ideologia, quella che attraverso un martellamento quotidiano frastornante dalla nascita alla morte inculca in tutti noi la certezza che solo l'autorità sia al tempo stesso fonte e garanzia di libertà, quanti hanno il coraggio di affrontare la solitudine che comporta non il semplice ricordare, ma vivere un simile pensiero? Non è facile, non è comodo, non è rassicurante, non è popolare. Detto su un altro registro — non è funzionale, non è producente, non è efficace, non è conveniente.

Le fate non saranno mai elettriche!

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Le fate non saranno mai elettriche!

Fin dall'infanzia siamo presi in ostaggio dal mondo moderno, che ci vanta i pregi della sicurezza facendoci dimenticare, grazie ad una serie di promesse via via non mantenute, la rilevante dose di asservimento che ci tocca accettare in cambio del progresso.
Mentre gli orizzonti che si stagliano davanti all’avanzata della civiltà si fanno sempre più cupi — con la devastazione degli spazi selvaggi, il crescente addomesticamento della vita, l’artificializzazione degli esseri — il mondo continua la sua corsa sfrenata, sempre più dipendente dalle infrastrutture energetiche e dai prodotti che queste consumano e producono: petrolio, uranio, elettricità.

Dardi

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Dardi

Negli sperduti villaggi tra le foreste di quel territorio sconfinato, a cui i re diedero il nome di Inghilterra, si decantavano le misteriose proprietà del Taxus Baccata o più comunemente detto albero della morte.
Il viandante che, estraneo alla sua forma, si coricava tra le sue radici, all'ombra delle sue fronde, si addormentava per l'ultima volta, respirando l'aria velenosa delle sue esalazioni. Custode della morte i Celti seppellivano i cadaveri presso le sue possenti radici. Non solo provavano un profondo rispetto nei confronti della sua atavicità, ma è dai suoi rami che gli indigeni ricavavano le armi con cui portare i propri nemici al cospetto dell'eterno sonno. Il suo legno flessibile all'esterno, rigido e resistente all'interno era il più adeguato alla costruzione di lunghi e possenti archi. Ogni arciere che si rispetti, modellava da sè il proprio arco a partire dalle dimensioni e dalla sensibilità del proprio corpo.

Pestifera la mia vita

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Pestifera la mia vita

Per le edizioni “L'Impatience” di Marsiglia, è uscita la ristampa
aggiornata del libro/autobiografia di Claudio Lavazza
Pestifera la mia vita
 

Chi è Claudio Lavazza lo si intuisce fin dalla prima pagina di questo libro: le azioni di cui è accusato parlano chiaro. Un ribelle, anarchico, guerriero, espropriatore, che ha partecipato, insieme a tanti giovani della sua generazione, al tentativo di cambiare la società e il mondo, assumendosi tutta la responsabilità di farlo con gli strumenti che riteneva adeguati.

In sicurtà campare

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In sicurtà campare

«Siamo la ciurma anemica
d'una galera infame
su cui ratta la morte
miete per lenta fame.
Mai orizzonti limpidi
schiude la nostra aurora
e sulla tolda squallida
urla la scolta ognora...»
 

Il galeon fatale chiamato società esiste ancora, sempre più galera infame.

Un compagno in coma

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Un compagno in coma

Il nostro compagno Boris, detenuto nella prigione di Nancy-Maxeville dal settembre 2020 per l’incendio di due antenne-ripetitori nel Giura durante il confinamento, in questo momento è in coma artificiale nel reparto grandi ustionati dell’ospedale di Metz. Il fuoco si sarebbe sprigionato verso le 6,30 nella sua cella sabato 7 agosto.
La sola certezza è che la prigione è un sistema di tortura istituzionalizzata, e che lo Stato — dalla polizia alla giustizia fino alla galera — è direttamente responsabile di questa situazione.
Che la tristezza si trasformi in rabbia contro ogni autorità…
 
Alcuni amici, complici e compagne di Boris

Anticaglie

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Anticaglie

“Gaie follie del dolore ridente” avrebbe dovuto essere il titolo del terzo volume postumo delle opere di Renzo Novatore, la cui pubblicazione era prevista inizialmente per la fine del 1924. Se i testi che dovevano comporlo (novelle e frammenti sparsi) sono andati poi probabilmente perduti durante un sequestro della polizia di frontiera, migliore sorte ha avuto il saggio che ne avrebbe fatto da introduzione. L’autore è Erinne Vivani, amico dell’anarchico ligure nonché assiduo collaboratore dei periodici individualisti dell’epoca.
Approfittiamo dell’occasione per comunicare che finalmente l’antologia novatoriana 
Le rose, dove sono le rose? è di nuovo disponibile presso le edizioni Gratis.

Il piccolo suggerimento di Lagertha

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Il piccolo suggerimento di Lagertha

Eretto sulla punta settentrionale dell'isola danese della Zelanda, il maestoso castello di Elsinore controlla da secoli lo stretto che porta al Mar Baltico. Se questo monumento è ancora oggi l'orgoglio degli abitanti del posto, altri non mancano di ricordare con malizia che fuori dall'isola resta famoso soprattutto per aver fatto da scenario a una famosa tragedia, di cui di solito si conserva solo il motto «c’è qualcosa di marcio in Danimarca».

Scovare il nemico

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Scovare il nemico

Nella Chicago del 1948 la vita non doveva essere facile per la sua famiglia, e ancor meno per lei. Il suo nome era Suvaki Yamaguchi ed era nata su un'isola del Giappone alla fine degli anni 30. Nelle sue vene scorreva sangue di mille colori, tutti sbagliati nel paese a stelle e strisce. Il padre era giapponese, ma di discendenza filippina. La madre era nativa americana, Cheyenne, e fra i suoi avi c'erano americani scozzesi-irlandesi. La piccola Suvaki era quindi la perfetta incarnazione del meticciato, con tutto ciò che ne consegue. Verso la fine della seconda guerra mondiale la sua famiglia venne rinchiusa per un periodo nel campo di concentramento Manzanar, in California, ai piedi della Sierra Nevada. Se questo era il destino degli americani rei di non essere bianchi e di provenire dalla terra del sol levante, figurarsi quello riservato a loro!

Poche mele marce

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Poche mele marce

Dopo la ribellione per la morte di George Floyd avvenuta la scorsa estate, è diventata pratica comune dipingere tutti gli agenti di polizia negli Stati Uniti con un’unica pennellata di colore. L'americano medio era solito credere che la maggior parte dei poliziotti stesse facendo solo il proprio lavoro, mentre i mass media si concentravano su poche mele marce che non rappresentano la stragrande maggioranza degli agenti di polizia. Questa visione è ormai diventata obsoleta – ma penso che occorra riportarla in auge. Certo, esistono poliziotti che sono razzisti, sessisti, omofobi, violenti e corrotti. Ma non tutti i poliziotti sono così. Alcuni poliziotti sono intelligenti e sofisticati. Studiano le discipline umanistiche e tentano di capire le cause strutturali dei problemi sociali incontrati sul campo. Questi poliziotti cercano di costruire rapporti di fiducia con le comunità che sorvegliano e dove vanno a lavorare ogni giorno, combattendo per migliorare la percezione pubblica nei confronti della polizia.

Politica dei grandi numeri

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Politica dei grandi numeri

Fin dal suo inizio, la gestione dell'epidemia di Covid-19 da parte del potere è stata logicamente segnata alle nostre latitudini da una predominanza degli imperativi economici e da una preservazione dell'ordine sociale, cosa che oggi nemmeno la ragione medica di Stato tanto invocata riesce più a celare.
Ma ciò che colpisce è che le infinite forme di auto-organizzazione che avrebbero potuto emergere dalle singolarità individuali per far fronte al virus e continuare ad agire malgrado il virus, siano state d’un tratto come paralizzate dalle sabbie mobili di raccomandazioni contraddittorie e di cifre sfibranti: tasso di mortalità e di letalità, tasso di positività, tasso di incidenza, tasso di passaggio al pronto soccorso e di posti occupati nelle terapie intensive, tasso di anticorpi persistenti, tasso di reinfezione… e via di questo passo.

Litanie per un'amante funebre

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Litanie per un'amante funebre

«… era terribile,
ma le meraviglie lo sono sempre»
Almanach perpétuel des Harpies,
Les Dames de la serre
 

È proprio così che si potrebbe definire l’opera di Gabrielle Wittkop: una terribile meraviglia.
La sua voce sembra scaturire dalle tenebre per ricordarci che il cuore dell’essere umano è nero, che non può esistere la vita senza la morte. A partire dal suo esordio letterario risalente al 1972 — Il necrofilo, che darà scandalo e che conoscerà numerose censure in tutto il mondo per aver cantato l’estasi fra Eros e Thanatos — diede forma ad un universo interiore talmente sulfureo, perverso e crudele da spingere qualcuno a sostenere che «una delle scommesse essenziali della sua scrittura è sempre stata quella di essere all’altezza della luce nera emanata dal Marchese de Sade».

Corrispondenze

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Corrispondenze

Lettera di René Char a Paul Celan
 
L’Isle-sur-Sorgue, 19 marzo 1962
Caro Paul,
l’ultima lettera che mi hai inviato, un mese fa, rinsalda ancora di più, se è possibile, la mia amicizia per te. Ma a differenza tua, non sono più tormentato da quelle stesse persone che ti sommergono con le loro molestie, da anni ho scavato un sentiero in cui s’ingolfano, una via che misura il loro vuoto.
 
Lettera di Paul Celan a René Char (non inviata)
 
Parigi, 22 marzo 1962, 79 rue de Longchamp
Caro René Char,
grazie per la tua lettera – così vera. Grazie per avermi stretto la mano – stringo la tua.
Ciò che mi accade, e scusami se ne parlo ancora, è, credimi, unico nel suo genere.

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