Brulotti

Abbasso la civiltà!

Agricola (Enrico Arrigoni)
 
Dicono: l’umanità progredisce, continue nuove conquiste ne affermano l’ascesa verso migliori destini; incatena il fulmine, argina l’acqua, domina l’aria, tutti gli elementi le ubbidiscono, a sua maggiore soddisfazione. E realmente, la civiltà meccanica fa meraviglie. Che sono le piramidi, il Colosseo, la Sfinge, di fronte ai colossali lavori del XX secolo? Ma progredendo la meccanica, progredisce anche la meccanizzazione dell’individuo.
Se civiltà significa il sacrificio dell’individualità di fronte all’insieme, l’automatismo umano a beneficio dell’astratto che è la società — che oggi vorrebbe identificarsi con l’umanità — l’annullamento dell’iniziativa e della volontà individuali per l’ubbidienza e la disciplina che tutto regolarizzano per i colossali successi della società, io grido abbasso la civiltà! come ho gridato abbasso la società!
Sono eresie anche queste, ma la civiltà non ha altro significato. E il sacrificio dell’individuo per il trionfo della civiltà contravviene alla natura.
In natura le classificazioni, i generi, le specie, le razze, le famiglie sono astratti che non contano, o contano soltanto per comodità degli studiosi. Ciò che vale nella realtà è l’individuo. Dall’individuo sono partite le mosse per la grande varietà di generi, specie, razze; almeno secondo il concetto unitario delle formazioni naturali. Lo scienziato non esperimenta che sul particolare, per risalire con le statistiche alle generalità, che saranno sintesi superbe di deduzioni acute e faticose ed apriranno il varco a larghe e ardite induzioni, a nuovi ritrovati che allargheranno nuovi problemi e nuove vie, ma la realtà su cui le sue investigazioni si fondano sarà sempre il particolare, l’individuo.
Solo il dominio dell’uno sui molti reclama l’annichilimento dell’individuo o, meglio, di ciò che l’individuo ha di più... individuale: la volontà.
Su questo concetto il potere s’è andato evolvendo, sino alle ipertrofie statali, facilitate durante la bella guerra... rivoluzionaria ed acuite dalle pericolose intemperanze temerarie delle plebi, che ai superuomini della ristretta oligarchia dei Creso avevano minacciato il finimondo.
Ricordo: nel 1914 si inneggiava, anche dai vati della rivoluzione, agli alti lumi preveggenti di Henry Ford che gli schiavi accarezzava con larghi e sorprendenti aumenti di salari, accompagnati da tutte quelle provvidenze, che servono magnificamente a trovar la pappa bell’e fatta ed evitano ogni sforzo d’intelligenza per escogitare mezzi e rimedi agli stimoli dei propri bisogni. E alcuni vedevano nelle mosse del magnate dell’automobile un passo gigantesco verso il socialismo, ed altri un atto illuminato per allontanare gli schiavi dagli arruffapopoli delle unioni. E se — passando sulla originaria portata del pensiero socialista, ed il socialismo riducendo ad una soluzione del problema economico, collocando questo tutto ed esclusivamente nella pancia e organi annessi — tutta l’essenza della questione sociale si riducesse alla presenza della bistecca e del burro sulla mensa di tutti i lavoratori e a qualche più frequente gita a teatro e al gioco del calcio e alle riunioni di pugilato, non avevano torto i primi. Ma si toccavano la mano coi secondi, pur fingendo o credendo in piena fede di militare in campi opposti. È proprio vero che gli estremi si toccano.
Ma quello che fu l’atto isolato e... rivoluzionario di Henry Ford nel 1914 è diventato manifestazione comune nel dopo-guerra.
La guerrà forzò la mano alle industrie ad adottare il sistema di produzione a standardizzazione (lasciatemi passare la parola chilometrica e barbara) e da ciò che fu una necessità momentanea, gli uomini del dopoguerra arrivarono ad una intelligente conclusione di portare nella questione sociale lo stesso sistema dal campo esclusivo della produzione.
In ciò almeno Uncle Sam ha insegnato molte cose. Ieri per educazione, specialmente scolastica, s’intendeva l’infarcimento di nozioni storiche e scientifiche, con una pizzicata di sale morale, delle menti della gioventù. E si usciva dalle scuole con qualche coercizione morale in meno e qualche cognizione fisica e storica in più. Oggi è il dominio dell’ignoranza, illuminato da molta disciplina e molta ubbidienza, rinvigorite dalle recrudescenze religiose e dai più sagaci insegnamenti morali. E su tutto ciò una larga diffusione di cultura fisica che domina cogli sport. Perché, una volta infarcito a piacimento dei dominatori, il cervello dei giovani non abbia tempo a concentrarsi per formulare dubbi e soluzioni che potrebbero scavalcare l’insegnamento meticoloso.
Sotto le autocrazie si dominava più specialmente con la violenza fisica, quando bastavano poche alabarde, qualche archibugio e punto cannoni a tenere in freno i malcontenti. Nelle democrazie, o nelle tirannie personali che dalle democrazie sono rampollate (Mussolini, per esempio), sotto il regno della dinamite, la violenza fisica non basta, perché se questa basta per l’effimero trionfo di qualche hidalgo generale messicano, porta anche facilmente alle insurrezioni che subissarono, alternando uomini e partiti di uomini al potere, e Madero e Huerta, e Carranza e Obregon. Occorre allora creare la generale... approvazione, l’unanime consenso, come si esprimono con genio squisitamente italiano (almeno così lo chiamerebbero elegantemente e Barzini e Balbo) i fascisti.
E lo stato si rafforza ed interviene in tutte le attività dei sudditi. E se Henry Ford può affiggere sulle pareti delle sue officine che chiunque puzzi di alcool o possegga alcool nella propria casa sarà licenziato senz’altro, possono con altrettanta sicura coscienza Mussolini ed i suoi tirapiedi atrocizzare chiunque abbia devota la fede e rachitica la coscienza degli alti destini del duce e del fascismo.
Henry Ford ha portato la sua ferrea organizzazione industriale e il suo dominio incontrollato e indiscutibile sull’elemento uomo alla vittoriosa concorrenza sui mercati mondiali; Mussolini, o lo Stato che s’informa alla sua criminale volontà, porterà il popolo sottomesso verso l’imperialismo e il problematico trionfo della razza italica, che, per via, potrebbe incappare nel difficile valico abissale delle repentine cadute.
Comunque, il primo ha indicato per un ramo, una splendida diversione ai bisogni individuali ed ai rimedi che vi si sarebbero potuti escogitare, il secondo ha fermato — passatemi la frase per comodità d’eloquio — lo sviluppo delle plebi italiche, ricacciandole nel Trecento con le recrudescenze di manifestazioni religiose, con le riforme, o rivoluzioni, od involuzioni, delle istituzioni statali.
Se indagate le democrazie ufficiali troverete altrettanto manifesto questo predominio statale. Qui già in incubazione da prima della guerra e dappertutto potente dopo la rinascita delle speranze e degli appetiti paradossali dei padroni, così bene affamati durante la guerra e dopo.
Tutto a detrimento dell’individuo.
Possono le nazioni identificarsi, per gloria effimera e comodità di strapotere nei trionfi di Lindberg o di Chamberlin, nei fiaschi di Nobile trionfalmente piantante la croce di Cristo sulla «vetta del mondo» e trionfalmente abbandonante i suoi compagni al terribile destino, ma l’uomo e la donna che contano in questo terribile avvicendarsi di conquiste e di domini? Che contano le individualità? Qual è la loro sorte?
Miseria, abbrutimento, degenerazione fisica e morale. Ecco il quadro.
Già: le aquile sono aquile; il pollame si contenti del becchime che la mano della buona masaia vuol dare.
E tutti si acconciano, i castrati o i bruti. Non gli iconoclasti, non i fieri, che non hanno rinunciato alla vita. E per vie diverse troverete gli insorti. Chi in nome d’un ideale vasto che tocca tutta quanta la questione sociale, chi in nome proprio, in nome della sua personale necessità di vita larga e vibrante di tutte le gioie, lanciata a tutti gli ardimenti. E la bomba di Lucetti, l’anonima bomba di Buenos Aires, le molte frequenti esplosioni dei malcontenti insofferenti, come le rivoltellate dei banditi di tutto il mondo indicano che all’asservimento, alla meccanizzazione dell’individuo si ribellano audacie coscienti e ardimenti spontanei e impensati. I soli assertori del progresso umano.
Perché non può essere progresso ove l’individuo non giganteggi, ove non sia libertà di espansione per ogni nato di donna.
La civiltà della meccanica che si risolve, col sistema della produzione industriale odierna, nel lavoro della forza cieca senza l’intelligente cooperazione delle braccia e del cervello, non può essere che la morte del progresso dell’uomo, il quale è elevamento dalla forza bruta a gradi più alti di bisogni intellettuali e di sensazioni di bellezza che solo una mente esercitata può conoscere e godere.
E tra civiltà sociale, così intesa, e progresso dell’uomo, è lotta. Che non si concluderà se non col trionfo dell’individuo sulla estirpazioone radicale dello Stato e della società, in quanto questa è organizzazione di sfruttamento e di rapina.
Abbasso la società e la civiltà che ne afferma e ne rafforza il dominio!
 
 
[Eresia di oggi e di domani, n. 4, agosto 1928]