Brulotti

Il voto

Bernard Charbonneau
 
Il voto è sempre stato un rito di partecipazione. Soprattutto, lo diventerà sempre di più, specialmente nei grandi paesi senza referendum in cui si vota per politici e partiti piuttosto che per una data politica. L'universo mi supera, ed oggi la società è oggettivizzata nello Stato: la pace, la guerra, l'economia, le finanze — che mi domina ogni giorno da un po' più in alto. Ogni giorno il mondo si appesantisce e si complica, sia che la tecnica lo renda tale, sia che me lo dica la scienza. Ogni giorno l'avvenimento cade dal cielo, la mia vita sfugge un po' di più al mio pensiero e al mio potere. Politicamente sono libero, ma altri hanno stabilito il luogo e la natura del mio lavoro, e si occupano anche dei miei svaghi. Sceglierò il capo dello Stato, ma sempre meno il pane che mangio o la casa che abito, perché è la scienza economica che lo deciderà. Non controllo più il mio destino che è torrente — produzione, polluzione, informazione, popolazione — perennemente in piena. Resta la guerra o la pace. Ma non si è mai convocato il popolo sovrano per votarla. 
Che angoscia! Dopo tutto, non ne so nulla e non posso farci nulla. Per fortuna ogni quattro anni divento di colpo onniscente e onnipotente: voto. In generale ho soltanto la scelta fra due beni, o due mali. Ma posso scegliere quello minore; decido fra il rosso e il bianco, se Tizio o Caio farà la bomba atomica, se è lui o l'altro che verrà ad insegnarmi la grammatica strutturale... Alla fine, io conto — almeno per uno; non sono più un individuo, sono il Popolo... Voto perché ci credo; è un atto essenziale, decisivo. Ed io voto pure — sono un intellettuale critico — perché non ci credo e tutto ciò non ha alcuna importanza. Adesso è fatta. Chi vincerà? Quelli a favore o quelli contro, i Blu o i Verdi? La suspence è al culmine. È finita; ho votato, ho fatto l'amore con la Francia, ho fatto pipì nell'urna e mi sento meglio. Ho compiuto il mio dovere e posso pensare ad altro; a guadagnare denaro o alle vacanze. Ho votato, uff, per un po' sono a posto, ho delegato i miei poteri. 
Più la società evolve, più l'individuo vota; e più si vota, più questo gesto perde valore. Allora perché il voto? — Per il voto. È un rito esorcista che rifà d'un mondo — d'una società, d'uno Stato — l'opera della libertà degli individui. Ma di colpo questa diventa la cosa della società, dello Stato. Mi integro; non mi sono accontentato di subirla, l'ho scelta. La festa elettorale è un rito di partecipazione come la messa: per questo chi rifiuta questa società corazzata in Stato ha il dovere civico di astenersi. Altrimenti da suo schiavo, divento suo complice...
Il voto è un rito fondatore. Il giorno in cui la società non ci crederà più, sarà cambiata. Già la nostra, con i suoi sondaggi d'opinione, contabilizza più le correnti collettive che le libertà. Domani non si voterà più. Ma non sarà più a seguito di un voto.
 
[Une seconde nature, 1981]