Brulotti

Lettera a Mussolini

 

Errico Malatesta
 
Caro Mussolini, 
Io non ho potuto vedere finora nessun numero del Popolo d'Italia che, a quanto io sappia, a Londra non viene.
Ma un'amico mi scrive che esso, criticando la mia opinione sulla situazione attuale e sulla condotta che dovrebbero tenere i rivoluzionari, dice che io cado in contraddizione, poiché, se è vero come io penso, che la sconfitta della Germania potrebbe far scoppiare la rivoluzione in quel paese, è chiaro che il dovere dei rivoluzionari è quello di aiutare a sconfiggerla. Permettimi di rispondere.
La rivoluzione in Germania potrebbe impedire i tristi effetti che altrimenti risulteranno dalla guerra, qualunque sia la parte vincitrice, e determinare un cambiamento radicale in tutta la costituzione  politico-sociale dell'Europa; e quella rivoluzione non appare possibile se non nel caso che l'impero tedesco sia sonoramente battuto.
Mentre invece, da quello che so della situazione e dello stato d'animo attuale dell'Inghilterra e della Francia, mi pare che la sconfitta di questi paesi, lungi dal provocare un movimento rivoluzionario, non farebbe che crescere la febbre patriottica e servire alle mire dei reazionari e dei militaristi. Perciò mi auguro la sconfitta della Germania. Ma non è detto che sia sempre utile il concorrere a produrre ciò che uno si augura, poiché spesso una cosa giova solo a condizione che non costi nulla, o, al più, che costi, materialmente e moralmente, meno di quello che vale. Certamente niente è completamente equivalente nella natura e nella storia, ed ogni avvenimento può agire in favore o contro degli scopi che uno si propone: quindi in ogni circostanza si ha una scelta, un augurio da fare, senza che per questo convenga sempre di lasciare la propria diretta via e mettersi a favorire tutto quello che si giudica possa indirettamente giovare. Noi possiamo, per esempio, desiderare che vada al potere un ministero piuttosto che un altro, un ministero di imbecilli e di ciechi reazionari anzichè uno composto di uomini intelligenti, che saprebbero meglio illudere ed ingannare i lavoratori. Ma a che ci gioverebbe la debolezza e la cecità di un ministero se per farlo andare e per farlo mantenere al potere diventassimo noi stessi dei sostenitori del governo? La brutalità della polizia può in certi casi determinare una insurrezione liberatrice, ma solo se si educa lo spirito pubblico a resistere alle prepotenze della autorità. Lo sviluppo del sistema capitalistico in una certa direzione può giovare ai fini dell'emancipazione del proletariato; ma se i proletari si mettono a secondare gli sforzi dei capitalisti, finiscono col perdere la coscienza della loro posizione e dei loro interessi e diventano incapaci di emanciparsi, come ci dimostra la storia di certe organizzazioni operaie in Inghilterra e altrove. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Per fare la rivoluzione, e soprattutto per far sì che essa non si riduca ad uno scoppio di violenza senza indomani, ci vogliono i rivoluzionari; e se questi incominciano col mettere da parte le loro idee e gl'interessi specifici che rappresentano, se si solidarizzano con la causa delle classi dominanti nel loro paese e spendono le loro forze per aiutarle a vincere, essi non solo rinunziano alla possibilità di profittare delle situazioni rivoluzionarie che potrebbero prodursi durante o subito dopo la guerra, ma mostrano di ritenere essi stessi utopistico ed assurdo il programma che predicavano prima, e quindi si precludono la via ad ogni efficace azione avvenire. C'è della gente, ancora attaccata ai vecchi pregiudizi di razza e di nazionalità, che è disposta a sacrificare ogni più alta idealtà per avere il gusto di sapere che un paese è oppresso e sfruttato da uomini che parlano la sua stessa lingua piuttosto che da uomini che parlano una lingua straniera; e quella gente ha ragione di fare gl'interessi di un governo o dell'altro, se crede che così facendo giova alle proprie aspirazioni. Ma per coloro che mettono al di sopra di tutto la causa della libertà, della giustizia e della fratellanza umana non vi può essere dubbio alcuno: – in mezzo allo scatenarsi delle più feroci passioni, quando le masse inconsce si lasciano trascinare dalle malvagie suggestioni delle classi privilegiate a scannarsi tra fratelli, essi debbono più che mai invocare la pace tra gli oppressi e la guerra agli oppressori, ed evitare ogni transazione, ogni dedizione ai propri avversari. E questo è vero per i repubblicani, i quali non dovrebbero mai ed in nessun modo seguire la monarchia o stringerla a fare quello che essi considerano bene ed acquistare così nuova forza e nuovo prestigio. È vero a maggior ragione per i socialisti, i quali riconoscono che in ogni paese convivono due classi, due "nazioni", l'una sovrapposta all'altra, che sono, o bisogna rendere, irreconcidiabilmente ostili. Ed è vero anche più per gli anarchici, che vogliono distruggere ogni qualcosia regime di autorità e di pregiudizio, e realizzare la fratellanza di tutti gli essere umani nella libertà e nella solidarietà. 
Del resto, quella mia speranza della rivoluzione in Germania non è che... una speranza tanto meno sicura quanto più i socialisti tedeschi, coll'idea di salvare la civiltà europea (sempre la stessa fisima!) dal despotismo russo, si sono messi al servizio del despotismo paesano.
Ti pare che sia abbastanza per voler trascinare il proletariato Italiano nella lotta fraticida, e per rinunziare alla posizione fortunata, in cui si trovano i rivoluzionari italiani, di poter conservare intatte le loro forze morali e materiali e potere, insieme ai rivoluzionari degli altri paesi belligeranti che sono restati fedeli a loro stessi, salvare la causa dell'internazionale e della rivoluzione europea?
E poi dopo tutto, la cosa si potrebbe discutere fino a che si trattasse di azione volontaria.
Ma in Italia si è soldato per forza: – vorresti tu dunque obbligare il governo ad obbligare i cittadini soggetti al servizio militare ed andare alla guerra anche quando ciò ripugna alla loro coscienza?
E come potrai parlare più contro il militarismo?
Ti ringrazio della pubblicazione della presente, che affido alla tua equanimità.
 
Londra, 1 dicembre 1914
 
[Il Libertario, anno XII, n. 582, 17/12/14]