Brulotti

Soli contro tutti

Il Conte B. [Enrico Arrigoni]
 
In questo mondo bislacco l’anarchico ha molti problemi da risolvere, individuali e sociali.
Per sé sente un bisogno possente di espansione, di vita meno bestiale, il più anarchica — umana, in una parola più chiara — possibile, e tende a strappare, con la forza o con l’astuzia (astuzia compatibile con la propria dignità e con l’intima fierezza che lo deve caratterizzare), quel tanto di benessere fisico e morale che la sua attitudine, i suoi bisogni richiedono. Per questo cozza con la società; a scardinarne i puntelli, a rovesciarne l’implacatura sagace di menzogne, di truffe mascherate, d’inganni e di ipocrisie. E là dove si sente oppresso da una ciurma d’astuti facenti coda alla madre chiesa, sa che a non ribellarsi sarebbe travolto e ammorbato nella mente dall’aria pestifera popolata d’insetti fastidiosi e micidiali.
Perché, ove le acque stagnanti della morta gora d’una vita d’indifferenza, d’ignavia, d’apatia, offrono in fondo al fango di tutti gli annichilimenti personali l’al di là di benessere e di estasi, occorre una gran forza ed un profondo ideale per rimanere in piedi nel branco innumere dei prostrati.
Cosa bene difficile se si pensi che le dottrine del biondo di Nazareth hanno invaso tutti i campi delle attività umane. Non sono solo i filantropi di professione, che con una manata di scudi intendono mettere la sanatoria alla rapina diuturna, ma anche coloro che da un trentennio a questa parte più specialmente si sono eretti a difensori e a rappresentanti del diritto proletario. Non che questi si facciano un dovere di inneggiare a data fissa alla provvidenza divina; ma non cessano di uniformarsi alla pietà, alla misericordia, al soccorso che è una forma, e la più invadente e la più truffaldina, della dottrina cristiana.
Logicamente: perché il soccorso, la pietà, la misericordia al parìa dolorante sotto la sferza di tutti i bisogni, specialmente di quelli fisici, che maggiormente lo toccano, apportano rassegnazione e speranza e apatia.
Che cosa rappresentano i deputati popolari, che fanno i deputati delle ipertrofiche federazioni del lavoro se non invocare gli spiriti cristiani dei padroni e dei ministri del re o della repubblica, quando a sventolare un diritto, di questi si dimenticano per basare la equità delle proprie richieste sulle condizioni miserrime dei loro rappresentati? È questua zoccolante.
No: il diritto non ha bisogno di quadri tragici di miseria per affermarsi. Se è diritto si afferma e si strappa senza pietire e senza concedere. Altrimenti, anche se riconosciuto sulla carta, rimane un prodotto della benignità dei potenti. Nessun diritto ha valore ove il popolo non l’abbia strappato con la violenza minacciante il privilegio millenario della gente dorata, e ove il popolo, in piedi, non ne vigili costantemente l’osservanza.
Ché ove dorma soppraggiunge il fascismo, in forme acute o croniche, con evidenza d’intenzioni o con larvate manifestazioni. Come in Italia, in Romania, dappertutto ove ancora si domina in nome del re, nel primo caso; come da Marianna o da Uncle Sam, dove le democratiche imbiancature hanno illuso ed illudono il popolo nella longanime intenzione di governar se stesso.
Conseguenza: al ribelle ardente, insofferente di attese messianiche, l’oppressione, la prigione e la... liberazione mediante la morte. Ed anche qui, untuose e debilitanti, intervengono le tradizioni cristiane dell’aiuto pietoso. Anche dove meno se ne ha l’intenzione.
Noi, gli anarchici, abbiamo sottoterra, o in prigione, o per i posti d’esilio o di confino, amici numerosi, e, liberi ma affamati, i loro figli, le loro mogli, i loro genitori. E tutta la nostra attività limitiamo a raccogliere il soldino della pietà per l’aiuto... cristiano. Con un risultato poco lusinghiero, di certo, perché abituiamo la gente nostra alla provvidenza... anarchica. I comitati di soccorso per carcerati, pei figli dei carcerati o dei sotterrati non arrivano oltre il magro soddisfacimento di magri bisogni fisici. Mentre, ai fini della ribellione, le situazioni si forzano, si rendono più aspre, perché l’animo s’agguerrisca al gesto supremo della liberazione.
Per questo le vittime rimangono invendicate. Quando si è partecipato ad un comizio di protesta, quando ha rovesciato le tasche ed ha dato l’ultimo soldino alla questua immancabile, il rivoluzionario torna a casa a dormire i suoi sonni tranquilli, con l’animo sodisfatto per aver fatto completo il proprio dovere di anarchico. E l’anarchismo diventa, dove non si è tramutato in sport, anch’esso un’esplicazione cristiana di mutuo soccorso.
Non per tale via si aprono i battenti della storia che dovrà culminare nella emancipazione di tutti e di ciascuno.
Altro cammino bisognerà battere, o meglio, occorrerà riprendere la via maestra che ci hanno additato gli assertori impavidi dell’azione.
Al padrone tracotante, ai suoi scagnozzi saturati di libidine di oppressione, ai mastini del potere non incute timore la chiacchiera violenta degli arruffapopoli, ma provoca la diarrea l’azione implacabile dei silenziosi, dei solitari.
Si renda loro malsicuro il palmo quadrato di terra su cui posano i piedi e s’accorgeranno subito quanto incomodo riesca conservare il privilegio e servirlo. All’attacco dall’alto, l’attacco dal basso, senza pietà, senza misericordia e dalle prigioni tetre dei regimi d’oppressione, dalle zolle insanguinate risponderanno gli atomi ricomponentisi dopo il disfacimento un pensiero solo: ribellione, ribellione, ribellione, che apra la via soleggiata della libertà e dell’emancipazione.
 
[Eresia, numero 4, agosto 1928]