Intempestivi

Sparse le chiome

«Si moltiplicano in tutta Italia gli attacchi contro Equitalia». Sapete chi lo ha detto? No, non è una citazione tratta da qualche periodico o sito più o meno sovversivo, più o meno incendiario. Sono le parole di apertura pronunciate pochi giorni fa dalla conduttrice di un telegiornale di regime. E cos'altro possono dire i bardi delle veline di questure e ministeri davanti a questa valanga irrefrenabile di rabbia contro gli strozzini di Stato? Molotov a Livorno, scontri a Napoli, uffici murati a Mestre, pacchi esplosivi a Roma, aggressioni fisiche a Melegnano... ed è solo la cronaca spicciola degli ultimi giorni. Si tratta di una rabbia irrefrenabile. Ma, soprattutto, essa non ha alcuna regia, alcuna organizzazione, alcuna sintesi omologante. Non vi è nessun racket politico, rosso o nero che sia, che possa pretendere di gestire, amministrare, speculare, indirizzare questo furore.

Il nemico è chiaro, manifesto, ben visibile agli occhi di chiunque. E chiunque, con i suoi modi e tempi, ragioni ed intenzioni, lo sta attaccando. Questi assalti molteplici, differenziati, continui, imprevedibili — che stanno mettendo in seria difficoltà uno Stato circondato oramai più dal disprezzo che dal consenso — ci hanno fatto venire in mente le vetuste considerazioni sulla inutilità dei fronti unici formulate oltre un secolo fa da un noto anarchico italiano:
«Siamo pel fronte unico noi pure, che, salvo errore, vuol dire soltanto: tutto il proletariato nelle sue più diverse fazioni d'avanguardia contro tutta la borghesia, classe e spirito, dovunque si rifugia, nell'oggi e nel domani.
Non può dir altro; né implica l'ombra d'una remissione. Il fronte della guerra di classe non è diverso da quell'altro, e dove unico non è mai né uniforme, né rettilineo. Contro l'oste nemica stanno dai bersaglieri all'artiglieria, con caratteri, funzione, azione propria, le più diverse falangi di combattenti, così come di fronte alla nostra borghesia costellata nel simbolo e nel regime monarchico sono repubblicani e preti, socialisti ed anarchici, con atteggiamento, azione e fini particolari.
I preti passeranno armi e bagagli all'usurpatore al primo rombo dell'uragano, i repubblicani vorranno arrestarsi non appena la monarchia, che non è più sufficiente guarentigia ai monopoli economici della borghesia, se ne sarà andata e la repubblica spianerà le vie dell'ultimo fugace compromesso tra capitale e lavoro sulla base di una uguale partecipazione agli utili; i socialisti incalzeranno i repubblicani urgendo le masse alla ripresa di possesso su cui i millenni sono passati senza prescrizione, ed in fronte ed alle reni dei socialisti, ad impedire che le prime conquiste economiche si cristallizzino in forme ed istituti, intorno a cui si agglomerino gli istinti conservatori superstiti, gli anarchici, a volere che la rivoluzione sociale si integri, che l'olocausto propizi tutto il destino di benessere e di libertà a cui si sacrano schiavitù, pene, lavoro di secoli, che nessun governo ci può dare, non la monarchia, non la repubblica, non il soviet, e ci assicurano soltanto il diritto, il progresso, l'eroismo armato inesorabile della rivoluzione.
Fronte unico sì, ma come ogni fronte ha la sua gironda e la sua montagna, l'avanguardia e le retrovie, noi sappiamo il posto ed il compito nostro».
Se il tempo è stato inclemente con queste fioriture di linguaggio, non ne ha tuttavia sminuito il significato. Il nemico da abbattere potrà anche essere comune, le lotte potranno anche essere condivise con altri, ma ciò non comporta affatto né intercambiabilità di pratiche né relatività di idee. I percorsi si potranno anche talvolta incrociare, ma gli obiettivi resteranno sempre diversi. Anche oggi, dinanzi ad un mondo intero che vacilla e pare crollare da un momento all'altro, in un certo senso si mobilitano preti e repubblicani, socialisti ed anarchici. Ed è giusto, ovvio e naturale che sia così, non potrebbe essere diversamente.
Il punto è un altro: noi, sappiamo qual è il posto ed il compito nostro? Chi non presta minimamente attenzione a questo interrogativo potrà anche agitarsi dentro molte trincee, ma il suo daffare — più che inevitabile dialettica e salutare confronto — ha tutte le sembianze del becero calcolo politico o della generosa ma stolta manovalanza. Da questo punto di vista la molteplicità degli attacchi oggi in corso contro Equitalia sta dimostrando come non sia affatto necessario rinunciare a se stessi per contribuire a porre fine a questo ordine sociale sempre più insopportabile.
 
[15/5/12]