Brulotti

Ricordate di non dimenticare

Ci hanno educato ad obbedire all’autorità. Ci hanno indotto a temere i suoi guardiani.
Ci hanno insegnato a trascorrere una vita in ginocchio, a testa china.
Anche adesso, quando è sotto gli occhi di tutti che questo mondo è al capolinea, quando è evidente che non ci sarà nessuna futura ricompensa per la nostra passata sottomissione, anche adesso pretendono da parte nostra l’assoluto rispetto della legge. Siamo senza soldi? Non bisogna rubare! Siamo senza casa? Non bisogna occupare! Siamo alla disperazione? Non bisogna ribellarsi! E per chi è stanco di genuflettersi o di tremare, non resta che il suicidio. Togliersi di mezzo, possibilmente con discrezione, senza fare tanto rumore. La rabbia, quella no, non è permessa, non è concessa, non è legale. La rabbia, come quella che sta esplodendo in tutta Italia contro gli strozzini di Equitalia, è «terrorismo».
Ci è stato inculcato talmente a fondo il rispetto per il potere che, dinanzi alle infinite aberrazioni istituzionali, sappiamo solo invocare giustizia. Tutti i partiti si sono dimostrati nocivi, eppure noi continuiamo a votare per qualcuno. Tutti i politici si sono rivelati arraffoni e inetti, eppure noi continuiamo ad affidarci alla politica.
Per mantenerci nel nostro torpore ci invitano a prendercela con poche mele marce, quando è palese che è tutta questa civiltà ad essere putrefatta. I politici corrotti (come gli imprenditori sfruttatori, i banchieri speculatori o i generali massacratori) non sono esecrabili eccezioni — sono la regola. Essi rappresentano la norma, ovvero la normalità della nostra società fondata sul potere e sul profitto.
Lo stesso discorso vale per le forze dell’ordine. Ieri ammazzavano Pinelli o Serantini, oggi ammazzano Cucchi o Aldrovandi. Il colpo di pistola che uccise Giorgiana Masi a Roma nel 1977 non è diverso da quello che ha ucciso Carlo Giuliani a Genova nel 2001. E che dire della repressione in Val Susa, che si abbatte su tutta la popolazione? Sono mele marce quei poliziotti, quei carabinieri che sparano lacrimogeni in faccia a donne e uomini, rei di voler difendere quella vallata dalla devastazione? No, sono la norma, fanno cioè il loro dovere. Un domani saranno certamente premiati, così com’è stato già premiato De Gennaro (uno dei responsabili della mattanza di Genova nel 2001). Perché lo Stato sa premiare chi gli obbedisce e punire chi si ribella.
E mela marcia non lo era certo il commissario Luigi Calabresi, del cui assassinio ricorre il quarantesimo anniversario. Era sì il principale responsabile della morte dell’anarchico Pinelli, defenestrato dalla Questura di Milano. Aveva sì contribuito a trasformare Valpreda nel «mostro» autore della strage di piazza Fontana. Ma in fondo era questo il suo lavoro, il lavoro che svolgeva zelantemente per conto dello Stato: arrestando, torturando, uccidendo. Un poliziotto modello, meritevole di onorificenze. Da commemorare.
Ebbene, anche noi intendiamo commemorarlo. Anche per noi quel 17 maggio 1972 è una data indimenticabile, l’anniversario di un momento storico: il giorno in cui l’autorità ha perduto l’obbedienza, il giorno in cui il suo guardiano più famigerato non è stato più temuto. Basta con una vita trascorsa in ginocchio, a testa bassa. Basta con lo stupido rispetto della legge. Basta genuflettersi, basta tremare, basta suicidarsi con discrezione. Basta votare partiti, basta credere nella politica. Basta rassegnarsi allo Stato. Riscopriamo l’ostilità.
 
il 17 maggio facciamo festa!
musica, leccornie, bevande, proiezioni 
dalle 18,00 alla Gatta Gnuda, Lungarno del Tempio 1, Firenze

 

 

Ore 19 - Chi ha ucciso Pino Pinelli?
Videotestimonianza dell’anarchico Pasquale Valitutti
presente nella Questura di Milano quella sera del
15 dicembre 1969 in cui Pinelli fu assassinato
 
Ore 21 - Film
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
regia di Elio Petri, con Gian Maria Volonté