Brulotti

Un colpo di lima

Il nome di Giuseppe Ciancabilla continua ad essere misconosciuto, talvolta esecrato, persino all’interno di quel movimento anarchico a cui seppe dare un impulso non indifferente. 

Del resto, da chi dovrebbe essere ricordato? Non certo dai fedeli sudditi di un ordine costituito che egli detestava e ha combattuto con tutte le sue forze. Tanto meno dagli storici di Movimento, i quali hanno tutto l’interesse a dimenticarlo. Perchè mai gli scribi di una sinistra dedita a corteggiare il potere dovrebbero ricordare uno dei primi redattori dell’Avanti!, passato all’anarchismo dopo aver denunciato i tradimenti e l’impotenza di ogni parlamentarismo? Quanto a quei cattedratici desiderosi di valorizzare la tradizione più presentabile e rispettabile dell’anarchismo agli occhi delle masse (e di quello Stato da cui vengono salariati), sempre lesti a ricostruire e a commentare con perizia ogni minima riflessione di un Malatesta, ogni contributo di un Fabbri, ogni lirismo di un Gori, ogni revisione di un Berneri... perché dovrebbero perdere tempo con chi ha contribuito a dare una cattiva reputazione all’anarchia, difendendo prima la lima di Luccheni e poi le rivoltelle di Bresci e di Czolgosz?
Prendiamone atto. Giuseppe Ciancabilla occupa un posto particolare negli inferi del movimento anarchico italiano. Non può essere tollerato come un Luigi Galleani, moschettiere di un’epoca ormai scomparsa come la sua prosa infiorettata e che solo per questo ispira simpatia. Non può nemmeno venir liquidato come un Paolo Schicchi, la cui veemenza già allora venne contenuta con tanto di bolla psichiatrica.

No, Ciancabilla era un caso eccezionale. Perché era il convertito di fama salutato con gioia, l’allievo su cui erano state riposte tante speranze, che prima abbandonò e poi si scontrò col maestro, Errico Malatesta. Ma c’è di peggio, perché non si limitò a polemizzare con i fautori del “partito anarchico” — come già prima di lui Paolo Schicchi o Vittorio Pini — ma è stato il primo a dare un certo spessore e respiro ad una prospettiva anarchica che intendeva fare a meno delle sirene dell’Organizzazione, della logica quantitativa, di ogni tatticismo e calcolo politici.

Ciancabilla può essere infatti considerato in Italia il primo vero teorico di quella corrente che all’interno del movimento anarchico è stata definita in diversi modi: antiorganizzatrice, individualista, autonoma (o informale).
E questo non gli è stato mai perdonato, anche perché con la sua stessa vita egli costituiva la migliore smentita alle abituali critiche che da sempre piovono addosso a quei compagni che non intendono allinearsi al passo di marcia delle masse. Come rimproverare, a lui che fu dirigente del Partito Socialista, di non riuscire a capire le necessità tattiche dell’Organizzazione? Come rinfacciare, a lui che fu membro del Sindacato dei Corrispondenti Esteri, di non volersi sporcare le mani con le rivendicazioni parziali? Come biasimare, lui che fu delegato di Società Operaie, di volersi chiudere in una torre d’avorio di metafisica purezza? Tutto ciò lo ha reso, al tempo stesso, qualcuno di cui non si può fare a meno di parlare ma di cui non bisogna dire sostanzialmente nulla.

Ma, insomma, chi era mai questo Giuseppe Ciancabilla? Un giornalista che non disdegnava di imbracciare il fucile? Un socialista che ha aderito all’anarchismo? L’ammiratore di Malatesta che poco tempo dopo ne è diventato il principale rivale? Il traduttore di Kropotkin che però strizzava l’occhiolino a Stirner, magari senza conoscerlo? Il «bieco propugnatore dell’anarchismo a Paterson» (“Corriere della Sera”) sospettato d’essere il mandante di Gaetano Bresci? Una figura dignitosa, importante, energica, efficace, influente e sincera del movimento anarchico, ma al tempo stesso esclusiva, maligna, esaltata? Meglio non porsi troppe domande, meglio accontentarsi di quel che tutti i libri di storia si premurano di farci sapere: Ciancabilla amava la violenza e avversava il sindacato. Tutto qui?
In un certo senso Ciancabilla è stato una meteora. La sua vita pubblica si racchiude tutta in uno spazio di tempo abbastanza ristretto, otto anni, prima della sua scomparsa.

Dal 1897 al 1904, egli non ha fatto altro che attraversare paesi, battaglie, passioni, idee. La forza propulsiva del suo eretismo non era alimentata da un comodo confusionismo, ma da una sete inestinguibile di assoluto. Ogni modificazione del suo pensiero non ammetteva più passi indietro, non accettava opportunistiche altalene. Il suo passaggio è stato in grado di mutare il panorama anarchico, la scia di luce lasciata dietro di sé ha avuto la forza di irradiare l’ambiente circostante ed i suoi riflessi arrivano fino ai giorni nostri.

Prima del 1897, di lui si sa solo che è nato a Roma nel 1871 (o nel 1872, secondo altre fonti), che proveniva da un’agiata famiglia della provincia di Perugia, e che dopo gli studi classici che favorirono in lui il talento letterario si distinse come giornalista, fino a diventare redattore de “l’Avanti!”, organo del Partito Socialista.

Nell’aprile del 1897 scoppiò un’insurrezione nell’isola di Candia che provocò l’inizio della guerra greco-turca, ovvero della lotta di liberazione greca dal dominio dell’impero ottomano. In Grecia Ciancabilla conobbe il suo battesimo del fuoco, partecipò in Macedonia a parecchie azioni di guerriglia miranti a provocare un sollevamento popolare, con l’attacco portato alle truppe turche a Baltinom, a Bosnova, a Krania. Diventato segretario di Cipriani, lo seguì fino alla fine, anche dopo l’abbandono di parecchi volontari, fino alla tragica battaglia di Domokos del 17 maggio, dove persero la vita numerosi combattenti italiani e lo stesso Cipriani rimase ferito.

Al suo rientro in Italia, non è difficile intuire che era già diventato un altro uomo. Scriveva Fedeli: «non si sentì più a suo agio. Egli pensava alla rivoluzione e il Partito gli dava una vita da burocrate; una vita che, pure nella difficile situazione, si sarebbe svolta fra riunioni e congressi senza grandi propositi rinnovatori, né tentativi per arrivare a concretizzare una vera e pronta azione capace di fronteggiare e spezzare quella reazionaria del governo».

È comprensibile quindi che egli si sentisse attratto da chi si batteva sì in nome del socialismo, ma al di fuori del pantano parlamentare: gli anarchici.

Nel giro di poche settimane Ciancabilla fece due incontri cruciali che avrebbero segnato indelebilmente la sua vita. Ad Ancona riuscì ad intervistare Errico Malatesta, allora in clandestinità perché ricercato dalla polizia; l’intervista apparve su “l’Avanti!” del 13 ottobre 1897 suscitando grande scalpore, anche perchè il numero del giornale venne immediatamente sequestrato. A settembre, recatosi a Bologna per partecipare al V Congresso socialista in qualità di rappresentante delle Società Operaie di Foligno e Carrara, conobbe Ersilia Grandi Cavedagni, anarchica — una delle cinque donne cui era stato imposto il domicilio coatto in Italia — considerata dalla polizia «acerrima nemica dell’autorità». Fu un colpo di fulmine, l’anarchica bolognese diventò la sua compagna e lo avrebbe accompagnato in tutte le sue peregrinazioni standogli accanto fino all’ultimo giorno.

Nessuno stupore quindi che “L’Agitazione” del 4 novembre abbia pubblicato in prima pagina, salutata da un’ovazione redazionale («Il valore dell’uomo aggiunge sensibilmente alle nostre forze propagandiste»), la Dichiarazione con cui Ciancabilla annunciava la sua adesione all’anarchismo. Dopo essersi scagliato contro il partito socialista, concludeva la sua dichiarazione con queste parole: «Le mie aspirazioni eternamente ribelli ed insofferenti di giogo, hanno trovato nell’anarchia il loro cielo e il loro acquietamento». Per le leggi speciali varate dal governo, in base alle quali chiunque fosse schedato come anarchico era destinato al domicilio coatto o al carcere, il gesto di Ciancabilla costituiva una vera e propria sfida. E per sfuggire alle inevitabili persecuzioni dovette trasferirsi in Svizzera, da dove, dopo un soggiorno a Bruxelles, raggiunse la Francia.

A Parigi fece la conoscenza di Jean Grave ed iniziò a collaborare con “Les Temps Nouveaux”, esperienza che lo introdusse al comunismo anarchico di stampo kropotkiniano. Sebbene i testi di quel periodo risentissero ancora pesantemente dei suoi trascorsi parlamentaristi, fu proprio oltralpe che Ciancabilla scoprì la profonda differenza che intercorre fra partito e movimento.

Si noti che in Francia gli anarchici erano soliti unirsi in gruppi, non avvertendo affatto l’esigenza di costituire una grossa organizzazione, un partito sotto il cui mantello protettivo ripararsi. Ciascuno sceglieva di partecipare o di formare il gruppo che meglio rispecchiava le proprie idee e attitudini. (E non è forse dalla molteplicità e varietà delle iniziative che deriva la ricchezza dell’azione anarchica, magma ribollente che non conosce sintesi uniformanti?).

Siamo ormai nel 1898: le classi più povere in Italia erano state duramente colpite dall’aumento del prezzo del pane. In tutto il paese scoppiavano tumulti, dalle Marche alla Sicilia, dalla Toscana alla Puglia, che all’inizio di maggio culminarono col massacro di Milano compiuto dal generale Bava Beccaris, il quale ordinò ai suoi uomini di fare fuoco coi cannoni sulla folla. Una strage che avrebbe segnato profondamente Ciancabilla, il quale un mese dopo decise di intervenire da Parigi con un articolo su “Les Temps Nouveaux”, stigmatizzando duramente gli avvenimenti. La sua esperienza a Parigi volgeva al termine, la polizia italiana lo aveva segnalato alle autorità francesi come anarchico pericoloso e per questo venne raggiunto da un ordine di espulsione. Con l’intento di rimanere vicino all’Italia per poter meglio farvi rientro in caso di nuovi moti insurrezionali, Ciancabilla si trasferì nuovamente in Svizzera. A Neuchâtel fondò assieme ad altri compagni il giornale “L’Agitatore”, periodico comunista anarchico, il cui primo numero uscì all’inizio di luglio. A questo periodo dovrebbe risalire anche un viaggio fatto clandestinamente da Ciancabilla in Italia allo scopo di assassinare Bava Beccaris, piano poi mandato a monte dalla polizia sulle sue tracce.

Il 10 settembre 1898, l’anarchico italiano Luigi Luccheni uccideva a Ginevra la principessa d’Austria, Elisabetta. E in tutta la Svizzera si scatenò la caccia all’anarchico. In un movimento rimasto attonito davanti all’uccisione di una donna sessantenne separata dal marito, Ciancabilla fu il solo a difendere apertamente il gesto di Luccheni con l’articolo Un colpo di lima apparso il 17 settembre sul dodicesimo numero de “L’Agitatore”. Sarà questo il pretesto usato dalle autorità elvetiche per chiudere il giornale e ordinare l’espulsione di 35 anarchici italiani, ritenuti ad esso collegati. Non potendo fare ritorno in Italia perché ricercato dalla polizia, Ciancabilla fu costretto a rifugiarsi a Londra.

Nell’ottobre del 1898 Ciancabilla si imbarcò per gli Stati Uniti con Ersilia, diretto a Paterson, dove giunse al’inizio di novembre.

Situata a poche decine di chilometri da New York, nel New Jersey, Paterson era una cittadina operaia che grazie alle numerose industrie tessili presenti in zona era meta di molti emigranti. Secondo alcune stime gli italiani residenti a Paterson erano circa diecimila, un quinto dei quali considerato vicino alle idee anarchiche. Il movimento anarchico era perciò particolarmente attivo, con diversi gruppi, librerie, case editrici e periodici. Ma il principale strumento di diffusione del pensiero anarchico era senza dubbio il settimanale “La Questione Sociale”fondato nel 1895 da Pietro Gori durante la sua permanenza negli Stati Uniti. Non sono difficili da immaginare i motivi per cui, subito dopo il suo arrivo in città, sia stata offerta a Ciancabilla la redazione del settimanale. Chi meglio di lui, giornalista professionista di talento appena giunto dal vecchio continente, poteva ricoprire quel ruolo? Quanto alle differenze di vedute con i vecchi redattori del giornale, più vicini alle posizioni malatestiane, la speranza era di riuscire a farle convivere nel nome dell’ideale comune.

Nonostante le buone intenzioni iniziali, accadde esattamente il contrario. Ciancabilla diede un grande impulso al giornale, ne cambiò formato e veste grafica, ne aumentò la tiratura, lo impreziosì con numerose traduzioni dal francese. Affiancò alla pubblicazione del periodico anche una attività editoriale, impegnandosi fra l’altro nella traduzione di La conquista del pane di Kropotkin e di La Società l’indomani della rivoluzione di Jean Grave. Tutto ciò non senza attriti con gli altri redattori, in particolare col tipografo Pedro Esteve, anarchico spagnolo assai legato a Malatesta. Basta scorrere gli articoli di fondo in prima pagina, quasi tutti firmati da Ciancabilla, per accorgersi del divario esistente. Da una parte la valorizzazione dell’individuo e della sua coscienza, dall’altra la valorizzazione della massa e della sua efficacia. È da questa diversità di prospettive che deriveranno a cascata tutte le polemiche sui singoli argomenti.

L’organizzazione, per esempio. Secondo Ciancabilla gli anarchici devono associarsi spontaneamente, per affinità, in piccoli gruppi momentanei, rivolti alla realizzazione di un determinato scopo. Non hanno bisogno di programmi prestabiliti, di patti regolamentati, di vincoli organizzativi da rispettare. Non devono cercare di costituire un vero e proprio partito politico, agente sulla piazza piuttosto che in Parlamento, ma dare vita ad un movimento autonomo, fluido, variegato, molteplice, in cui ogni singolo individuo possa sviluppare al massimo le proprie potenzialità. Viene ripresa l’intuizione già abbozzata da Carlo Cafiero in merito alla superiorità dell’ordine sparso de’ manipoli rispetto all’ordine compatto della falange. Non concentrare le forze, ma disseminarle. Non costruire un robusto nodo, ma tessere una fitta rete. Non arruolarsi in un esercito disciplinato, ma dare vita a bande autonome. Ciò non costituisce soltanto un vantaggio dal punto di vista tattico, non offrendo al nemico un unico punto dove colpire, ma è decisamente più coerente con le idee anarchiche: «Il movimento anarchico — embrione dell’insieme armonico e decentrato che dovrà essere la futura società libertaria — tende ad essere quanto più è possibile agile, sciolto, snodato; rifugge da ogni tentativo di accentramento; si sparpaglia liberamente in un vasto formicolio di gruppi autonomi e indipendenti, liberi di collegarsi momentaneamente solo quando ad essi paia conveniente. Lo stesso dicasi delle iniziative che si producono nel nostro movimento, le quali non sono l’emanazione dall’alto di un centro o comitato direttivo; ma fioriscono spontanee da ogni individuo o da ogni gruppo, e si diffondono e hanno tutto il diritto al libero esperimento».

Ogni singolo individuo è responsabile della propria azione, non dovendo chiedere né concedere permesso ad alcuno. A determinarlo è la sua coscienza, la sua intelligenza, la sua sensibilità, le sue attitudini, ovvero quelle caratteristiche di cui Ciancabilla solleciterà costantemente l’ampliamento. Viceversa il partito, nella sua esigenza di aggregazione numerica, nel suo bisogno di assicurarsi il consenso popolare, è portato per forza di cose a livellare al ribasso i propri propositi e a limitare l’azione dei suoi militanti, i quali non diventano che gli esecutori di una politica (pre)stabilita nel corso dei congressi e cristallizzata in un programma. Ora, proprio l’assoluta libertà che Ciancabilla concedeva all’individuo lo portava non solo a difendere e giustificare ogni atto anarchico di rivolta individuale e a respingere l’organizzazione specifica, ma anche a rifiutare qualsiasi ipotesi di alleanza con altre forze rivoluzionarie.

E qui non possiamo fare a meno di annotare fino a che punto l’esperienza personale abbia influenzato il dibattito.

Malatesta, da sempre anarchico, vedeva nelle alleanze strategiche il solo modo per arrivare alle masse e trascinarle alla rivoluzione. Il raggiungimento della forza necessaria per una trasformazione sociale costituiva per lui un problema di ordine meramente quantitativo, per questo non si stancava di ripetere che non possono essere i soliti «quattro gatti» anarchici a rovesciare lo Stato. A chi rivolgersi, se non agli altri partiti sedicenti rivoluzionari?

Ciancabilla, ex socialista parlamentare, li conosceva bene i partiti cosiddetti sovversivi — e dall’interno — e sapeva che giammai avrebbero aiutato gli anarchici ad abbattere lo Stato, per cui mettersi al loro fianco (in realtà, al loro servizio) sarebbe stato il modo migliore per andare verso la disfatta. A suo avviso la forza era questione qualitativa: non sono gli individui a doversi sciogliere fra le masse, sono le masse a doversi trasformare in individui. Per questo non si stancava di ripetere che gli anarchici dovevano sì buttarsi in mezzo ad ogni mischia, ma rimanendo sempre se stessi. Se il loro scopo era di raggiungere la gran massa degli sfruttati, il modo migliore era di rivolgersi direttamente ad essi, cercando di scuoterli e trascinarli con la parola e con l’azione, senza perdere tempo coi loro rappresentanti a stringere accordi che sarebbero stati sicuramente traditi.

Le masse non devono restare amorfe e quindi organizzabili, bensì essere trasformate in individui consapevoli. Non bisogna entrare in competizione con gli altri partiti per vedere chi ne guiderà l’ignoranza attraverso lo slogan più azzeccato, ma combattere questa ignoranza con il pensiero ed il sapere, fonti di consapevolezza. Ciancabilla non aveva dubbi: «l’anarchia non è soltanto ribellione, non è soltanto una preparazione continua e convulsiva della rivoluzione, ma è anche una preparazione d’idee». Senza un’Idea che elevi l’essere umano, ogni sua lotta è destinata ad impantanarsi nel fango. Nel migliore dei casi si può avere magari un’orgia intensa di breve durata, non una liberazione.

Le accuse di astrattezza e di scarso realismo, quelle che puntualmente vengono rivolte a chi non intende rinchiudere i propri sogni fra le pareti dello stomaco, lo lasciavano indifferente — «io preferisco “le vane chimere di là da venire” le quali invece di abbassare e avvilire la dignità umana la sollevano, e rendono l’essere cosciente di un ideale di libertà e di emancipazione verso cui egli tende con tutti i suoi sforzi».

Insomma, in quel fosco fin del secolo morente Ciancabilla ribadiva a proprio modo ciò che più volte era stato sostenuto da altri anarchici: se davvero l’anarchia vuol essere l’avvenire, gli anarchici non possono fare a meno né del pensiero né della dinamite — «L’azione, l’azione, l’azione. Di fronte alla reazione non può opporsi che l’azione. Quale non importa. Purché e perché faccia pensare, scuota, ecciti, trascini... Azione cosciente però, e accompagnata per questo dalla più energica propaganda».

La situazione precipitò nell’agosto del 1899, con l’arrivo a Paterson dello stesso Malatesta, evaso dal confino di Lampedusa. Ciancabilla e i compagni a lui più vicini lasciarono “La Questione Sociale” fondando un nuovo giornale, “L’Aurora”, il cui primo numero uscì il 16 settembre 1899. Nel suo nuovo giornale, Ciancabilla, sentendosi infine completamente libero di esprimere le proprie convinzioni, le approfondì e perfezionò. Ma il dissidio con gli anarchici sostenitori dell’organizzazione di partito crebbe fino a precipitare.

La sera del 12 novembre Malatesta stava tenendo una conferenza pubblica a West Hoboken, paese vicino a Paterson dove risiedeva Ciancabilla. Fra il pubblico erano presenti compagni di entrambe le tendenze e scoppiarono accesi diverbi. Il clima si fece sempre più teso finchè un anarchico ritenuto vicino a “L’Aurora”, Domenico Pazzaglia, fece fuoco contro l’illustre conferenziere ferendolo ad una gamba. L’autore del gesto venne disarmato e atterrato con un pugno sferratogli da un altro anarchico presente che sarebbe presto diventato famoso in tutto il mondo: Gaetano Bresci. Si tratta di un episodio mai chiarito, di cui esistono diverse versioni. Qualcuno sostenne che l’incontro era un contraddittorio fra Malatesta e Ciancabilla, qualcuno accusò lo stesso redattore de “L’Aurora” di aver sparato su Malatesta, qualcuno disse che Pazzaglia aveva agito per motivi esclusivamente personali. In realtà, al momento del fatto Ciancabilla non era nemmeno presente, ma ciò non avrebbe impedito a molti anarchici di ritenerlo comunque responsabile dell’accaduto. Secondo Fedeli: «Di questo atto Ciancabilla non ne aveva nessuna colpa», ciò nonostante gli odi di parte andarono talmente gonfiandosi contro di lui, fino a rendergli la vita particolarmente dura. Infatti, sebbene nulla fosse trapelato pubblicamente dell’episodio, la polemica aumentò a dismisura. Malatesta fu tra i firmatari di una vera e propria scomunica contro Ciancabilla, mirante a negargli il riconoscimento di “compagno” e ad accusarlo di varie scorrettezze ai danni dei vecchi redattori de “La Questione Sociale”. Non stupisce la furiosa reazione di Ciancabilla, che sfidò Malatesta a provare le sue accuse. Insomma, per Ciancabilla l’aria era diventata irrespirabile, pregna di sospetti e di rancore.

Nel frattempo “L’Aurora” proseguiva le sue pubblicazioni, raggiungendo in breve le tremila copie di tiratura. Nelle sue pagine venivano affrontati gli argomenti più disparati, da quelli legati alla vita di movimento, a quelli relativi al contesto sociale nazionale e internazionale, fino a quelli ritenuti “privati” (ad esempio, in difesa della dignità e dell’emancipazione della donna). La prima serie del giornale si concluse il 24 maggio 1900, col numero 23. Pochi giorni prima Gaetano Bresci, che figurava sul primo numero del giornale fra i sottoscrittori dell’iniziativa, era partito per l’Italia con l’intenzione di vendicare i morti di Milano. Ci sarebbe riuscito la sera del 29 luglio, a Monza, abbattendo con tre colpi di rivoltella il re Umberto I.

Ciancabilla, che nel frattempo si era trasferito a Yohoghany, in Pennsylvania, spedì un telegramma di felicitazioni al ministro Saracco. In Italia la polizia ed i giornali si lanciarono in ipotesi complottiste, molte delle quali indicavano proprio in Ciancabilla la mente occulta del regicidio. Il 6 settembre 1901 un altro colpo di rivoltella mise fine alla vita di un altro potente della terra. Questa volta fu il Presidente degli Stati Uniti, William Mc Kinley, a cadere sotto il piombo dell’anarchico Léon Czolgosz. E mentre dalla lontana Italia arrivarono le isteriche condanne del solito Luigi Fabbri, da Spring Valley, Illinois, Giuseppe Ciancabilla fece sentire la sua scomoda voce difendendo ancora una volta sia il gesto sia colui che lo aveva compiuto. Otto giorni dopo il fatto, “L’Aurora” pubblicò in prima pagina un articolo sulle disgrazie del signor McKinley che non mancò di attirare le fastidiose attenzioni della canea reazionaria statunitense. Il partito dell’ordine di Spring Valley non poteva accettare che uno straniero salutasse la morte dell’amato Presidente ed invocò il pugno di ferro della repressione.

Il 27 settembre due poliziotti si presentarono alla redazione de “L’Aurora” invitando Ciancabilla a seguirli per un disguido all’ufficio postale che andava chiarito. Solo davanti al giudice Ciancabilla avrebbe capito d’essere in stato di arresto. Il pretesto era di aver violato il regolamento postale, spedendo biglietti di una lotteria. Senza avvocato, senza interprete, Ciancabilla si vide assegnare una cauzione spropositata per l’accusa mossagli: 5000 dollari. Rinchiuso nel carcere di Ottawa, anziché scendere a più miti consigli, continuò a pubblicare su “L’Aurora” articoli infuocati a sostegno dell’anarchico polacco, seguendo il suo calvario come un anno prima aveva seguito quello di Bresci.

Ciancabilla restò in carcere alcuni mesi. Ma la sua detenzione fu un colpo mortale per “L’Aurora” la quale, anzichè diventare bisettimanale come già aveva annunciato, fu costretta a chiudere. Il suo ultimo numero, il 60 della nuova serie, è datato 14 dicembre 1901.

Per sfuggire alle persecuzioni della polizia, Ciancabilla fu costretto a trasferirsi nuovamente, questa volta a Chicago. Qui, nel febbraio del 1902, vide la luce il primo numero de “La Protesta Umana”, Rivista mensile di Scienze lettere ed arti. “La Protesta Umana” si caratterizzò per un taglio più teorico rispetto a “L’Aurora”, ospitando numerosi saggi e studi, ma anche opere di narrativa e poesie. Molte, ovviamente, le traduzioni.

Nella sobria nota iniziale ai lettori si può leggere: «La Protesta Umana si propone di portare un contributo d’idee alla propaganda anarchica e rivoluzionaria, secondo i criteri individuali di coloro che la redigono e vi collaborano. Tutte le idee e tutte le tendenze troveranno in essa svolgimento, esplicazione, discussione. La Protesta Umana non muove e non muoverà appelli per chiedere invii di fondi a favore della sua pubblicazione. Chi ne riterrà utile l’opera di cultura e di propaganda contribuirà a mantenerla in vita; chi ciò non crede, se ne asterrà». Ma basta leggere l’editoriale per comprendere come, pur nella diversità di stile rispetto a L’Aurora, la sostanza fosse rimasta immutata: «Noi non siamo un partito che impetra dai governanti il beneplacito dell’esistenza; ma siamo la falange ribelle che non supplica e non perdona; ma siamo gli Anarchici insofferenti di ogni giogo e di ogni coercizione i quali vogliono trasformare la massa, educandola ad essere individuo. Siamo i compagni di Bresci e di Czolgosz, nei cui atti non esitiamo a riconoscere la più gagliarda manifestazione dello spirito di ribellione anarchica».

Dopo l’ennesimo trasferimento, questa volta a San Francisco, a partire dal 19 marzo 1903 Ciancabilla trasformò “La Protesta Umana” in un settimanale. Un anno dopo, l’eventualità di una guerra fra la Russia e il Giappone indusse diversi giornali italiani ad offrirgli un incarico in qualità di corrispondente di guerra, ma egli rifiutò ogni vantaggiosa offerta. Tutto il suo tempo, tutta la sua energia, intendeva dedicarli alla diffusione del pensiero anarchico.

Piccolo di statura, gracile e magro di costituzione, Ciancabilla era da tempo malato di tubercolosi. Le vicissitudini di una esistenza trascorsa al bando, fra continue peregrinazioni, senza risparmio, alla fine lo soverchiarono. Ricoverato all’Ospedale Tedesco di San Francisco, Ciancabilla si spense il 16 settembre 1904, vegliato fino alla fine dalla sua compagna Ersilia Cavedagni.

Due settimane dopo, il 1 ottobre, uscì listato a lutto l’ultimo numero de “La Protesta Umana”, dedicato a colui che «consacrò tutte le sue forze e il suo ingegno all’avanzamento dell’Ideale Anarchico, e di qualunque natura fossero sia le minacce che le persecuzioni lui non abbassò giammai la testa; e davanti alle intimidazioni lottò sino alla fine coll’ultima energia morendo senza angoscia coll’immenso dolore morale di non aver potuto fare di più pel nostro Ideale. Ciancabilla è morto specialmente pel troppo sovrumano lavoro cui si era dedicato per dar vita a questo periodico, cadde sulla breccia e in piena attività».

La sua scomparsa a soli trentatré anni privava il movimento anarchico di uno dei suoi maggiori animatori. Ma la morte di Ciancabilla non decretò la fine del suo pensiero. Il seme gettato nel solco aveva dato i suoi generosi frutti. A prenderne il posto fu Luigi Galleani, arrivato negli Stati Uniti alla fine del 1901. Dopo essere stato per un periodo redattore de “La Questione Sociale” di Paterson (anche lui!), nel giugno del 1903 Galleani fondò a Barre un nuovo settimanale anarchico, “Cronaca Sovversiva”. Dopo la morte di Ciancabilla pare che Galleani avesse accarezzato l’idea di trasferirsi a San Francisco per continuare la pubblicazione de “La Protesta Umana”, ma poi dovette rinunciarvi. “Cronaca Sovversiva” chiuse nel 1919, quando il suo animatore venne deportato in Italia, da dove proseguì comunque la pubblicazione del giornale.

Dopo vent’anni quella idea si era radicata negli Stati Uniti e il 15 aprile 1922 nacque a Newark il primo numero di un nuovo settimanale, “L’Adunata dei Refrattari”, che per mezzo secolo — con alti e bassi — diffuse nel mondo intero la voce di quello che amava definirsi «movimento anarchico autonomo».

Ma se questa voce non si è sopita ed è riuscita ad arrivare ai giorni nostri, il nome di chi l’aveva per primo elevata a poco a poco è caduto nell’oblio. Oscurato da chi non ha ragioni di ricordarlo e sconosciuto a chi non ha avuto occasione di incontrarlo. Non stupisce quindi che i suoi testi non siano mai stati ripubblicati finora. Il solo che ci risulta ne abbia avuto l’intenzione era Severino Di Giovanni, ma il plotone di esecuzione non gli ha dato il tempo di realizzare quei propositi.

***

Troverete qui raccolti numerosi scritti di Giuseppe Ciancabilla, a partire dalla sua dichiarazione di adesione all’anarchismo datata 1897 fino agli ultimi suoi articoli apparsi nel 1904 (esclusi quelli dedicati a Gaetano Bresci, che pubblichiamo a parte sotto il titolo Viva Bresci!).

Non è stato facile reperirli, né farne una selezione. Giornalista di professione, Ciancabilla ha lasciato dietro di sé moltissimi articoli in varie testate. Non potendo pubblicarli tutti, abbiamo dovuto fare una scelta talvolta dolorosa.

In un certo senso questo libro avrebbe dovuto essere pubblicato almeno una trentina di anni fa. Allora, avrebbe dato ancora un contributo importante al dibattito in corso fra gli anarchici. Oggi invece rischia di passare inosservato. A chi volete che interessino attualmente le sue parole? Ciancabilla mirava a diffondere l’Idea, mentre oggi tutti barattano opinioni. Cercava l’affinità, mentre oggi si commercia in amicizia politica. Invocava la qualità della coscienza, mentre oggi si pretende l’efficacia della quantità. Duellava con l’arma della polemica, mentre oggi ci si abbraccia e ci si conforta nell’ecumenismo. Voleva trasformare le masse in individui, mentre oggi si vogliono ridurre i pochi individui rimasti allo stato di massa. Amava la rettitudine, mentre oggi si giustifica la tortuosità. Metteva in guardia dagli opportunismi, mentre oggi si saluta la convenienza... In fondo, non vi è nulla di più inattuale e di meno pragmatico delle pagine che seguono.

Rivoluzionario del passato, Ciancabilla non sembra avere alcuna possibilità di ispirare il rivoluzionario del presente. Dopo aver assistito negli ultimi anni al tramonto di ogni «Ideale immenso», di ogni «Idea che ci vivifica e c’infiamma», come poter sperare davvero che sia giunta la sua ora? La notte nera che ci avvolge e ci sommerge non accenna a dissiparsi, anzi si addensa ogni giorno di più. E davanti a questa amara constatazione, davanti a questa cupa evidenza, è facile cadere nella tentazione dello sconforto. Eppure, chi può negare che queste tenebre potranno diradarsi solo se saremo in grado di far sorgere, magnifica e sorprendente, una nuova Aurora?

Da questo punto di vista, nella sua feroce difesa della libertà individuale contro tutte le museruole collettiviste, la riscoperta del pensiero di Giuseppe Ciancabilla costituisce una scommessa per il futuro.

 

 

Giuseppe Ciancabilla

Un colpo di lima

pp 356, euro 15

gratis 

 

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trrivio@gmail.com

grotesk@libero.it