Brulotti

Istigazione a delinquere!

La contestazione di questo reato è il perno su cui è ruotato il teorema accusatorio della Corte d’Assise d’Appello di Lecce, servito a condannare [9 dicembre 2010] per associazione sovversiva 12 anarchici, con pene comprese tra un anno e cinque anni e cinque mesi. Siamo stati accusati di aver istigato gli immigrati internati nell’ex CPT “Regina Pacis” di San Foca affinché dessero vita a rivolte, evasioni, distruzioni del centro. È convincimento utile allo Stato e ai suoi servitori quello di credere che le rivolte nei CPT (ora chiamati CIE) siano frutto di un lavoro di istigazione svolto da pochi sovversivi, e non già pratica endemica alla stessa condizione di reclusione: quando un essere vivente è rinchiuso, spesso si ribella. La storia dei CIE, dalla loro nascita nel 1998 ad oggi, è la dimostrazione più chiara di questa affermazione.
Il “Regina Pacis” è stato un campo di internamento per stranieri poveri come tutti gli altri campi. Al suo interno veniva praticata ogni sorta di nefandezza: somministrazione massiva di psicofarmaci nei pasti per sedare gli internati, pugno di ferro nei loro confronti, pestaggi contro chi si ribellava o provava ad evadere. Non erano anomalie, né pratiche svolte da poche “mele marce”, bensì prassi svolte da tutti: dal direttore, don Cesare Lodeserto, ai carabinieri che erano di guardia, agli operatori, passando per i medici che coprivano i massacri sistematici con falsi referti. Tutto ciò è anche venuto fuori pubblicamente, suscitando un po’ di scandalo e tanto imbarazzo nella curia leccese che gestiva il centro e nel mondo della politica che lo sorreggeva ideologicamente e lo difendeva pubblicamente. Affinché calasse il silenzio su queste nefandezze e cessasse questo imbarazzo, è stato necessario mandare don Cesare a fare il missionario per conto di Dio. Ora è in Moldavia, dove continua a fare le sue porcate e a ingrassare i suoi conti e quelli della curia.
Davanti ad uno scenario del genere, è l’esistenza stessa di questi centri a rappresentare una “istigazione a delinquere”, perché non si possono chiudere gli occhi davanti alla vita reclusa in quanto priva del giusto documento in tasca, di fronte alle torture inflitte per mano democratica e statale. Non si può tacere quando centinaia di disgraziati periscono nel deserto, in migliaia annegano nei mari o muoiono sugli scogli appena sbarcati, mentre altri ingrassano su tutto ciò in nome dell’accoglienza. Chiunque dovrebbe sentirsi istigato davanti ad una situazione del genere, per fermare questo abominio. Chi non lo fa e resta nel silenzio si rende complice, come la maggioranza silenziosa dei tedeschi era complice di Auschwitz. Noi abbiamo raccolto questa istigazione e abbiamo reagito, e la discriminante non è stata il codice penale, bensì l’etica individuale.
Essere sovversivi, di fronte a tutto ciò, è davvero solamente il minimo…

Sovversivi senza Associazione

 

[Manifesto diffuso a Lecce nel dicembre 2010]