Intempestivi

Patria

G. M.

L’italiano medio, scapolo, divorziato o con famiglia, che passi nelle vicinanze di una bandiera italiana, sgargiante nei suoi tre colori, è ammonito di tenere un contegno assolutamente inequivoco; potrà sorridere ma con rispetto, nei confronti di detta bandiera, e non sguaiatamente, come può accadere di ammiccare ad un compagno di bevute e sconvenienze; gli si consiglia di levarsi il cappello, ma sempre come si usa con i superiori, non, ad esempio, con i condòmini; in genere, può eseguire gesti allusivi a trepida devozione, incondizionato assenso, festosità e generico desiderio di morire in modo straziante per la medesima: tanto, egli lo sa, la sua famiglia resterà raccomandata alle cure di quella bandiera, che non dimentica i suoi figli migliori. Questo contegno non esito a giudicare saggio, prudente e, anche se ipocrita, da vero italiano. Infatti, quei tre colori sono protetti dal reato di vilipendio, e pertanto nessuno può usare, nei confronti del bianco, del rosso e del verde, espressioni insolenti, ironiche, ideologicamente daltoniche, sprezzanti. Questo reato di vilipendio fluttua sulla vita nazionale da non so quanti anni, generazioni certo, ed è ormai parte integrante del costume nazionale, come il delitto d’onore, la grassa cucina, il nero ciabattare dei preti, e le guerre perdute, le pensioni a babbo morto. Il numero delle persone ed enti che l’italiano non può assolutamente vilipendere, pena il processo, che da noi è in genere peggio della galera, e molto peggio della multa, è estesissimo: il che fa pensare che il cittadino italiano viva in condizioni tali, e tra istituzioni che egli è desideroso di vilipendere, e che insomma, se appena potesse, l’italiano passerebbe buona parte della sua vita a irridere ministri, deputati, preti, bigliettari, capi di Stato nazionali ed esteri, vigili, santi, re, netturbini, sindaci, metronotte, orfanelle, carristi, carabinieri, dogmi e liberi docenti; temperamenti più laconici e comprensivi potrebbero insultare la nazione tutta o, come s’è detto, prendere a calci la bandiera. Rammento che un tale venne condannato a sei mesi per aver detto, in un contesto di lite doganale: «Mi vergogno di essere italiano». Pertanto, resta acclarato che noi tutti dobbiamo essere sempre fieri della nostra Patria, che ci ha fatto quali siamo.
[…]
Un altro incidente, alquanto più plateale, finì sul tavolo del ministro di Grazia e Giustizia; infatti, un tale, multato in quel di Udine da due guardie di pubblica sicurezza, era esploso in una concitata invettiva, forse ideologicamente poco articolata, ma non priva di espressività; di questa esistono, come è stato chiarito, due versioni: una purgata per la Camera dei deputati, ed una, critica ed integrale, per i senatori, uomini rotti ad ogni vizio. Il signore «rivolgeva… agli agenti suddetti, le seguenti frasi:… maledetta la Repubblica italiana, io al presidente della Repubblica gli romperei il culo, e così farei con tutti i deputati e senatori, io sono un libero cittadino e voi mi state rompendo i ciglioni, porco Iddio». Ora, per buona sorte, l’autorizzazione a procedere non è stata concessa, e se ne può parlare con una certa serenità: se infatti prendiamo la proposizione «romperei il culo a tutti i deputati e i senatori», essa comporta taluni problemi giuridici. A differenza della Patria, che è sferica e globale, il deputato è protetto in quanto rappresenta, per elezione popolare, la nazione; ma si potrà affermare che anche il culo del deputato sia stato eletto? O in tal caso non cade nel reato di vilipendio del deputato? Il deputato è stato eletto in quanto «corpo» – inclusivo di parti intime e vergognose – o in quanto «persona», anima, psiche? Ma se, tanto per dire, io affermo che anche lo scroto rappresenta la nazione, non mi troverò di fronte al reato di vilipendio della nazione tutta? Giacché è noto che lo scroto è in genere tenuto in modesta stima, per non dire di peggio. Da un altro punto di vista è chiaro che il proposito di «rompere il culo a tutti i deputati e senatori» rivela nel signore in questione una chiara megalomania, un delirio di grandezza confermato dalla frase, che è poco definire scandalosa, «io sono un libero cittadino»; frase che suscita pena e apprensione per i familiari di costui, invasato da furori giuridici e da affermazioni imperiali, che, non rivelassero una povera mente sconvolta, includerebbero tutti i possibili reati di vilipendio, oltraggio, tradimento, consegna di piani militari al nemico, insulto alla bandiera, linciaggio delle forze armate, stupro del paesaggio, abigeato nei confronti dei leoni del Campidoglio e della lupa di Roma, infine annichilimento, per mera magia verbale, dei carabinieri, dei generali, dei vigili, e dei maestri, professori e presidi di ogni ordine e grado e, a maggior ragione, dei bidelli. In genere la giunta delle autorizzazioni a procedere è indulgente: e motiva codesto lassismo dichiarando che codeste espressioni, per la loro «genericità e non particolare gravità» non concretano il reato di vilipendio. In effetti il signore di Udine, pur nella sua vaniloquenza libertaria, ha aiutato il Parlamento a dichiarare che il culo, genericamente inteso come parte depressa dell’organismo umano, rientra si nel concetto di Patria, ma non in quello di deputato; e se gli spetta la generale protezione che tocca a tutto ciò che è Patria, non può vantare la specifica tutela che va ai rappresentanti della nazione.