Brulotti

In stato di guerra

M. B.
 
Tenersi nel ricordo di questa verità:
qui, dove possiamo dire tutto o quasi, non possiamo che parlare in territorio nemico, in uno spazio in cui ogni parola, intercettata dall'avversario, sarà messa al suo servizio — un nemico amichevole, benevolo, feroce. Non siamo mai abbastanza consapevoli di questo: apparteniamo a una società contro cui siamo in stato di guerra; abitiamo in zona occupata. Tra il 1940 e il 1944 un numero abbastanza elevato di persone, per istinto o per riflessione, è stato consapevole di ciò che bisognava fare per vivere, agire e pensare in dissenso con la legge imposta. […] Detto senza giri di parole. La verità: anche qui dobbiamo sentirci (comportarci come) i neri di una società bianca; neri contro la nostra bianchezza, neri in lotta contro i più forti, pronti ad organizzare la segregazione a loro spese, cioè a rovesciarla contro di loro, anche se dovesse essere contro di noi. Segregazione, parola odiosa, decisione terribile. A dispetto del disagio, però, capiamo che quando per astuzia e assenso generale le sbarre vengono rese invisibili, la prigione non solo continua ad esserci, ma diventa prigione a vita, poiché a nessuno viene più in mente di lottare per fuggire, e il primo compito è allora quello di mostrare le sbarre, magari di dipingerle di rosso. Che cos'è la lotta di classe? Non è affatto una lotta per aprire quel ghetto che è la classe inferiore e permettere l'accesso a una classe migliore in un'armonia soddisfacente: al contrario, significa servirsi della chiusura del ghetto per rendere impossibile un contatto tra le classi che non sia un contatto aspro, violento, distruttore...
Capiamo anche l'esigenza di questa nuova segregazione: consiste nel concedere tutto a coloro che già hanno tutto. Sì, tutti i valori, la verità, il sapere, i privilegi onorevoli, la bellezza, compresa quella delle arti e del linguaggio, l'umanità, dunque, li abbandoniamo a quelli che si sentono in accordo con la società costituita: sono qualcosa che appartiene a loro, il Bene è dalla loro parte. Che vivano con questo bene come con Dio o con ciò che viene chiamato umanesimo: è di loro proprietà, non vale che per loro, non permette loro altra cosa che comunicare tra di loro. E gli altri, allora? Agli altri, cioè, se possibile, a noi, la penuria, la mancanza di tutto, la potenza del nulla […]
Ciò porta a una sorta di demenza? È vero. Ma bisogna anche capire che nelle nostre società moderne il modo collettivo di pensare, sempre dissimulato, è volta per volta la schizofrenia, la paranoia o entrambe le cose, e che se accettiamo di guarire, come ci viene amichevolmente proposto, per noi significherebbe ritrovarci senza accorgercene dietro l'invisibilità delle sbarre.
 
 
[1968]