Brulotti

Invisibile ma vero

 
A qualcuno non sarà sfuggito che gli Champs Élysées in fiamme lo scorso sabato potevano essere considerati una magnifica commemorazione della Comune di Parigi. Chissà in quanti lo avranno pensato. «Parigi respirava!... Dovunque si agitava una vita intensa... Addio al vecchio mondo e alla diplomazia», scriveva Louise Michel a proposito degli avvenimenti cominciati il 18 marzo 1871 a Parigi. «La Comune è stata la più grande festa del XX secolo» — chiosarono un secolo dopo i situazionisti. «È stato fantastico, di una gioia impressionante» — ci ha scritto un anonimo compagno a proposito del 16 marzo 2019 a Parigi. L'ebbrezza della rivolta, nell'assalto al potere ed alle sue piccole mortificazioni quotidiane, un piacere che non ha bisogno di capi... ah, già, a proposito, e i capi?
Che tristezza, nemmeno i leader rivoluzionari sono più quelli di una volta. Se il 18 marzo 1871 l'aspirante generale dell'insurrezione Blanqui non poté partecipare alla sollevazione, è perché si trovava in prigione. Temendo la sua influenza su un clima sociale ormai incandescente, il capo del governo Thiers era corso ai ripari e lo aveva fatto arrestare il giorno precedente. Ebbene, pare proprio che il 16 marzo 2019 nemmeno l'autoproclamatosi erede di Blanqui abbia potuto (tentare di) cavalcare la rivolta per le strade di Parigi, ma per un motivo assai più volgare: era, ed è tuttora, in giro per l’Italia a vendere la sua merce editoriale.
Il 15 marzo era infatti al Book Pride di Milano, rassegna-serva dell'editoria indipendente, organizzata con il patrocinio dell'amministrazione locale («Ora possiamo dare il meglio di noi senza essere contro nessuno», ha detto la nuova direttrice generale). Qui ha presentato la raccolta dei testi del Comitato Invisibile appena edita dalla Nero Editions, «casa editrice che dal 2004 opera nel mondo dell'arte internazionale», il cui catalogo è tutto un wow! (dallo xenofemminismo al ciarpame high-tech yankee, passando per Bifo). Si tratta di un bel volumone di 354 pagine, con un sobrio retro di copertina (tre citazioni promozionali di Nina Power, The News Statesman e Fox News... mica paglia!). Questo primo appuntamento milanese è stata la prima tappa di un vero e proprio Magical Commodity Tour, che lo ha portato anche a Bologna (il 16, alla libreria Modo Infoshop), a Roma (il 18, alla Tomo Libreria Caffè), a Napoli (il 20, all'Ex-Asilo Filangieri), e lo porterà a Torino (il 23, a Radio Blackout) e di nuovo a Milano (il 24, alla libreria Calusca). 
Da quanto abbiamo capito, finora in ogni data l’aspirante nipotino di Blanqui ha discettato di sommovimenti sociali e cospirazioni criminali in compagnia di chi la sa lunga in materia: cattedratici e giornalisti. Al Book Pride era con il fido Marcello Tarì (a cui Toni Negri prima ed il senatore del PD Tronti poi hanno già avuto modo di spiegare cosa sia il comunismo), a Bologna era con Andrea Cavalletti (docente girovago, collaboratore de Il Manifesto), a Roma era con Luca Pisapia (futbologo militante che, tifando da sempre rivolta, collabora con Il Fatto Quotidiano)... a Napoli con chi, col sindaco-magistrato che ha benedetto lo spazio artistico che ospita la presentazione? A Torino rischia addirittura di doversi accontentare degli infamelli leaderini No Tav e dei loro portazainetti, mentre a Milano, va beh, nel trogolo dove-tutto-ma-proprio-tutto-tutto-tutto-fa-brodo gioca in casa...
Non è mica un caso, sapete. Cattedratici, giornalisti, artisti e recuperatori di vario pelo sono in effetti i soli che possano prendere il Comitato Invisibile sul serio. Letteralmente. Per rendersene conto basta leggere l'esilarante introduzione all'antologia, scritta in perfetto bispensiero neoblanquista, generosamente riprodotta dal noto quotidiano sovversivo Il Fatto Quotidiano. Gli autori si firmano «dei contrabbandieri franco-italiani», ma da bravi doganieri si lamentano che in Italia i libri del Comitato Invisibile abbiano conosciuto finora solo edizioni pirata (cioè... bacchettano chi li ha pubblicati senza aver acquistato e versato i regolari diritti d'autore?). Prima osservano che «la luce della pubblicità oscura ogni cosa», poi accendono tutti i neon a loro disposizione per mettere bene in luce il proprio prodotto in un crescendo di superlativi commerciali. Fra le «verità» del Comitato Invisibile ricordano il «disgusto della politica» e l'«anonimato», ma... ops... dimenticano di precisare che i suoi presunti membri queste verità non le hanno mai praticate. Chi ha piagnucolato la propria innocenza davanti ai magistrati arrivando a suggerire loro quali piste investigative seguire? Chi è diventato consigliere comunale? Chi promuove le proprie merci editoriali, quando va bene, negli spazi della sinistra? Chi partecipa a programmi televisivi? Chi concede interviste a giornali di regime? Chi ha affossato la ZAD sostenendone la regolarizzazione attraverso la trattativa con le istituzioni? Ed hanno perfino l'ipocrisia di sostenere con sicumera: «non è con coloro che hanno fottuto il mondo che lo ripareremo»!
Suvvia, ma chi volete che creda veramente a simili cazzari? Solo qualche cattedratico, qualche giornalista, qualche artista e qualche recuperatore, appunto. Gente che annuncia di combattere il capitalismo votando Potere al Popolo o di fermare il riscaldamento climatico marciando dietro a una sedicenne, è la sola che possa leggere i libri del Comitato Invisibile pensando di fare l'insurrezione. Ora, se è vero che le rivolte moderne sono opera di «gente che di libri ne legge pochi», se è vero che le loro motivazioni principali sono etiche, e non politiche, va da sé che i saggi politici del Comitato Invisibile non sono certo destinati a chi insorge. Deve essere questo il motivo per cui i «contrabbandieri» prefatori del Comitato Invisibile non amano le edizioni pirata che circolano fra gli straccioni sovversivi, preferendo di gran lunga vendere le edizioni ufficiose ad un pubblico radical-chic in fregola di emozioni estetiche-choc… i soli che possano bersi che «di libro in libro, il Comitato Invisibile è diventato come uno spettro che ossessiona i governanti francesi». Sicché, dopo aver notato che chi si ribella non legge molto, si conclude che i governanti francesi temono non le ribellioni che incendiano le strade, bensì i libri che ci speculano sopra?!? 
Sembra una barzelletta, vero? La rappresentazione spettacolare che fa la gradassa sulla vita. Parigi brucia e la macchietta post-tutto di Blanqui è qui in Italia a fare la ruota nel suo tam-tam pubblicitario per un libro. Più che una bataille degna dell'Enfermé, un battage degno di un épicier. Bisogna proprio chiamarsi Julien Coupat e non essersi mai emancipati da un insulso blanquismo di fondo per credere che l'insurrezione abbia bisogno di narcisisti intellettuali a farne da portavoce-consiglieri-piazzisti.
 
[22/3/19]