Brulotti

Due più tre uguale undici

«Me se loro hanno tanto osato, voi avete tutto permesso. 
Più l'oppressore è vile, più lo schiavo è infame»
 
Martedì 19 febbraio si annunciava essere un giorno importante per tutti gli scrupolosi cittadini italiani rispettosi della legge, quelli fedeli alle «istituzioni democratiche che rappresentano la volontà popolare espressa nel corso di libere elezioni». Era il giorno in cui nel loro Parlamento avrebbero deciso se il Bullo degli Interni doveva andare sotto processo per aver impedito lo sbarco in Italia dei profughi raccolti nel Mediterraneo dalla nave Diciotti. Dal punto di vista giuridico, il quesito sembrava quasi una banalità considerato che il secondo articolo della loro Costituzione garantisce i «diritti inviolabili» riconosciuti all'«uomo». 
«Inviolabili» – capite? – inteso in senso assoluto. Non validi sotto un governo, nei giorni pari, di giorno, e trascurabili sotto un altro governo, nei giorni dispari, di notte; ma intoccabili sempre e comunque. «All'uomo» – capite? – inteso in senso universale. Non ai soli cittadini italiani, non ai soli cittadini europei, né ai soli maschi o maggiorenni, ma a tutti gli esseri umani a prescindere dal paese in cui sono nati, dalla lingua che parlano, dal colore della loro pelle, dalla loro età o dal cromosoma.
Ovviamente, poiché la legge è sempre la legge del più forte (non viene certo scritta per proteggere chi sta in basso dagli abusi di chi sta in alto); poiché la democrazia (che già di per sé non è affatto sinonimo di virtù, anche qualora fosse reale o diretta) è l'abituale foglia di fico di una oligarchia; poiché i risultati elettorali da parecchio tempo non esprimono nemmeno matematicamente la volontà popolare (ammesso e non concesso che esista un simile feticcio, creato su commissione dagli organi di propaganda); poiché la Costituzione è come la Bibbia, testo sacro che nessuno prende sul serio (nemmeno i pochi che la conoscono davvero)... Insomma, poiché ogni carta dei diritti è carta da culo, è andata come doveva andare. Il Bullo degli Interni non finirà alla sbarra, salvato da chi dopo aver giurato che avrebbe aperto il Parlamento come una scatola di tonno lo ha chiuso come una cassaforte di potere e privilegi.
Ma non crediate che la sera di martedì 19 febbraio gli scrupolosi cittadini italiani rispettosi della legge, quelli fedeli alle «istituzioni democratiche che rappresentano la volontà popolare espressa nel corso di libere elezioni», non siano andati comunque a dormire sereni. Affinché non dubitassero che la legge è uguale per tutti, cruccio che avrebbe guastato il loro sonno minando all'indomani la loro produttività sul lavoro, quello stesso giorno è stato servito loro uno zuccherino, anzi due, per aiutarli ad inghiottire l'amara pillola.
Senza guardare in faccia a nessuno, per effettuare degli arresti le forze dell'ordine hanno infatti bussato sia alla porta dei genitori dell'ex capo del governo, faccendieri di banche in Toscana, sia a quella di alcuni anarchici in Trentino. I primi (due) sono finiti agli arresti domiciliari in una villa di loro proprietà con l'accusa di falsa fatturazione e bancarotta, i secondi sono finiti quasi tutti in carcere (sei su sette) con l'accusa di associazione sovversiva con finalità di terrorismo.
Tralasciando pure le disavventure giudiziarie dei primi, il minimo che si possa dire è che si è trattato ancora una volta di uno spettacolo giuridico-politico-mediatico indecente. Che degli anarchici possano organizzarsi per compiere delle azioni dirette contro strutture del potere, questo è poco ma sicuro. Che il lavoro delle forze dell'ordine consista nell'individuarli ed arrestarli, pure. Ma che contro gli arrestati gli inquirenti sbandierino in conferenza stampa non prove inoppugnabili e nemmeno prove discutibili, non testimonianze dirette e nemmeno confidenze indirette, ma a malapena comportamenti quotidiani in difesa della propria privacy, intercettazioni di semplici ragionamenti logici (altrui, per di più!) e il ritrovamento di banali oggetti d’uso quotidiano, ebbene, ciò la dice lunga sui tempi che stiamo attraversando. 
Non è questione di formalità, ma di sostanza. Lo scorso millennio, all'epoca dell'inchiesta Marini contro decine di anarchici, i Ros dei carabinieri si presero la briga di fabbricare una falsa pentita per attizzare la fantasia dei magistrati. Non sapeva niente, non capiva nulla, non era nemmeno in grado di ricordarsi a memoria lo spartito che le era stato consegnato, era convincente come una moneta antica raffigurante una rockstar? Sì, è vero, ma almeno esisteva, dando così ai magistrati la possibilità di prendersi l'infame licenza di affermare che proprio le numerose e colossali discrepanze e contraddizioni presenti nelle sue «rivelazioni» ne dimostravano l’autenticità (?!). Ma oggi gli inquirenti non hanno più bisogno neanche di quello. Se un anarchico cerca di evitare orecchie indiscrete, o di rimanere soffocato dai gas lacrimogeni sparati durante le manifestazioni, se (parla con qualcuno che) sostiene una ovvietà come il fatto che è impossibile fare una rivoluzione senza spargere sangue, ciò basta e avanza per far diventare la sua casa un «covo di terroristi». E se in questo covo viene rinvenuta una tanica o un bastone, allora è fatta, le manette possono scattare. 
Ci sembra evidente che quanto gli inquirenti stanno cercando di far passare sia un passo enorme sul terreno repressivo. Dopo aver fatto entrare i delatori in tribunale, dopo aver spostato l'onere della prova dall'accusa alla difesa, dopo aver offuscato la differenza tra prova e indizio, ora la magistratura sta facendo del non conformismo una ragione sufficiente a giustificare un intervento repressivo. L'insistenza con cui gli inquirenti ci hanno tenuto a sottolineare la legittimità del dissenso, a differenza del reato, ha un che di tragicomico se si considera che la sola certezza che hanno mostrato di possedere a proposito degli arrestati è data proprio dalle idee di dissenso di questi ultimi. Fa un certo effetto sentire un inquirente dichiarare papale papale che gli arrestati hanno nascosto sicuramente qualcosa in un bosco, anche se i carabinieri non sono riusciti a trovarlo. Beh, mica ne hanno avuto bisogno prima di formulare certe accuse, giusto? No, ormai non è più necessario rispettare simili seccanti formalità. Perché perdere tempo a trovare prove che confermino i sospetti o fabbricare false prove con cui incastrare i sospettati, se adesso il solo sospetto è già di per sé sufficiente?
Decisamente, mai come in questo periodo la soluzione finale alla questione sovversiva è a portata di mano. Perché, se la possibilità di farla finita con chi minaccia la pace sociale è sempre stato il sogno delle istituzioni, mai come oggi questo incubo può essere reso realizzabile da una realtà talmente ignobile da consentire solo la libertà di obbedire. Quanto sta accadendo non sarebbe infatti possibile se da (troppo) tempo la libertà non fosse stata barattata con la sicurezza, l'etica con la convenienza, l'intelligenza singolare con la pubblica opinione. Le manovre repressive non sono la causa di tale degrado, ne sono una conseguenza. Se così è, tentare un’inversione di rotta ha ben poco a che fare con il dare una risposta alla repressione, ma semmai con il darsi (ed offrire) una prospettiva di vita. Cercare di far ricrescere la foresta, anziché bagnare la propria striminzita pianticella.
 
[22/2/19]