Brulotti

Volontarismo

Free-lancer [Luigi Galleani]
 
«Prima la volontà,
 poi la forza,
 infine la vittoria»

Multatuli
 

Non lasciatevi ingannare dal titolo. Non vuol essere una disquisizione filosofica, questo mio articolo. Metto in discussione un problema indubbiamente vecchio, a cui la guerra dà forza nuova e nuovo sapore di attualità. Si tratta di indagare se la volontà è un fattore rivoluzionario. In termini più espliciti: se è vero che i fatti storici sono ferreamente concatenati, se essi sono determinati e diretti da una legge naturale di causalità meccanica, che non ammette eccezioni; se il «salto» è o no possibile nel corso della storia, se la volontà umana può o no con un audace atto di violenza, imprimere allo sviluppo storico della società un indirizzo nuovo, creare un nuovo ordine di cose, sovvertendo i rapporti sociali esistenti.

C'è chi concepisce la lotta di classe come un fatto universale indipendente dalla nostra volontà, chi pensa che la questione sociale avrà una soluzione, indipendente pur essa dalla volontà umana, quasi fatale, appunto perché determinata dai rapporti economici che sono la base della compagine sociale, prodotta da una evoluzione meccanica, lenta, e perciò pacifica.

È la tendenza fatalista applicata ai problemi economici, generata dalla interpretazione materialistica della storia, che prende il nome da Marx, sol perché il pensatore socialista tedesco ne fu il volgarizzatore, il sostenitore più tenace, fino ad erigerla a dogma assoluto, indiscutibile.

A questa tendenza si oppone l'anarchismo, che, in tal senso, potrebbe definirsi la teoria della volontà del potere.

Spieghiamoci: se ben si esamina il movimento storico, ci si accorge subito e chiaramente che esso ha sempre avuto base e fattori economici: alcuni inerenti alle condizioni del luogo, al clima, al suolo, e perciò universali ed eterni; altri pertinenti alle forme di produzione e di consumo e perciò contingenti e passeggeri.

È anche indiscutibilmente vera la deduzione che ne trae Marx, e i migliori interpreti dell'anarchia con lui: la vita domina il pensiero  e non il pensiero la vita.

Però è altresì innegabile che le facoltà intellettuali e morali dagli uomini acquistate, reagiscono ed hanno influenza, a loro volta, sulle condizioni materiali della vita.

La verità vera è che si deve parlare del fattore economico come uno dei fattori e non come il fattore della storia.

E così della volontà.

Io sono però d'avviso che se le condizioni economiche della civiltà capitalista-borghese hanno approfondito la divisione di classe, ne hanno acuito l'antagonismo e han dato il primo impulso alla lotta; nella fase odierna accesa dalla grande conflagrazione più che europea, mondiale, l'intervento cosciente del proletariato rivoluzionario è necessario ed urgente: la volontà diventa il fattore primo e maggiore, nello spingere la lotta alla sua fase risolutiva: la rivoluzione.

Per dirla in poche parole: le condizioni economiche per prime hanno determinato il «fatto», cioè la divisione di classe; la volontà deve ora guidarci e spingerci al «da fare» cioè all'espropriazione del capitalismo, allo sbaraglio dello Stato, alla rivoluzione.

Ma io sono convinto anche che non si può parlare di lotta di classe vera e propria, laddove gli operai non ne hanno «coscienza» o non l'hanno sveglia ed energica, pur essendo, pressapoco, dovunque uguali le condizioni economiche; che la lotta si trasforma in collaborazione laddove le masse non avendo una volontà propria, rimettono i loro destini nelle mani altrui eleggendosi rappresentanti e tutori.

E può talvolta scomparire addirittura la lotta, fino alla fusione delle due classi opposte, quando, come nel caso della guerra europea, gli individui e le masse si trovano improvvisamente a vivere in un ambiente e in un momento psicologici speciali, creato l'uno, determinato l'altro, dalla forte, ferrigna volontà di una decisa minoranza.

Perché le minoranze capitaliste contano sulla loro volontà e l'esercitano, reagendo contro le circostanze esteriori che minacciano il loro dominio, la loro esistenza.

La guerra l'hanno voluta, non subita, a sentir loro, quasi come una fatalità. L'hanno voluta, tutte le nazioni belligeranti, per rafforzare il loro imperio, per allargarlo, per allungarne la vita, eternarla, se possibile.

In America assistiamo ad una rinascita delle energie e delle facoltà volitive delle classi dirigenti, le quali, per non degenerare e morire, assumono posizioni nuove, impugnano nuove armi, e ai flaccidi figli delle aristocrazie del denaro, immersi nell'ozio mentale e nella lussuria, esercitanti il bisogno innato del lavoro con le partite di golf, infondono nuovo sangue e vigor nuovo.

Ci pensano i fatalisti?

Oh! essi aspettano la manna dal cielo. Che volete farci, essi vi dicono, è inutile sforzarsi, è inutile volere, tanto il socialismo sarà lo stesso, è fatale che sia, verrà per necessità di cose. Le cose? Le cose non si fanno da sé, l'uomo non deve essere al loro servizio. È invece l'uomo che deve servirsi delle cose per le sue creazioni geniali, audaci.

Dicono: «Gli anarchici sono matti da legare. Vogliono l'atto violento, la rivoluzione che forzi il corso naturale della storia, che crei il mondo ex novo. Vogliono fare i “salti” impossibili nella storia come nella natura».

Ignorantelli: la natura inconscia non può far salti; ma sappiate che l'uomo con la sua volontà creatrice ha trovato il modo di abbreviare il periodo di gestazione degli animali, e il periodo di germinazione dei vegetali trasformando a suo piacimento la forma e il colore dei fiori, il sapore delle frutta.

Voglio prevenire infine un'obiezione di coloro che odono a frullo e sparlano a vanvera, e potrebbero, com'è d'uso, ridire:
Volontarismo? Metafisicherie degli anarchici...

Non parliamo della volontà astratta, metafisica dello Schopenhauer o del Nietzsche; ma della volontà fattiva, creatrice degli individui e della grande massa: dei primi più che dell'ultima. Volontà che dev'essere potenza ed azione nello stesso tempo.
 
 
[Cronaca Sovversiva, anno XIV, n. 25, 17 giugno 1916]