Brulotti

Un dimenticato: Paolo Lega

Se fossimo dei bigotti, o almeno dei fatalisti, pensando a questo dimenticato, a Paolo Lega — poiché è di lui che vogliamo parlare — diremmo che l'uomo dalla nascita alla morte è prigioniero di una buona o di una cattiva stella. Quelli che nascono sotto una buona stella, qualunque cosa facciano, qualunque vita conducano sono certi d'essere sempre assecondati dalla fortuna; gli altri invece, quelli nati sotto una stella cattiva, malgrado tutto sono sempre sfortunati.
Così deve essere di Paolo Lega.

Fino dai primi anni della sua esistenza, figlio di poveri genitori, dovette provare tutte le durezze della vita. Cresciuto in età, divenuto anarchico, alla miseria s'aggiunsero le persecuzioni della polizia, persecuzioni che ad un dato momento (1890-1894) raggiunsero veramente un grado insopportabile, tanto che, ridotto alla disperazione, germogliò nel suo cervello l'idea della vendetta. Di primo acchito, pensando che la causa prima dei suoi mali fosse il famigerato cavalier Sironi, allora questore di Genova, immaginò di scagliarsi contro di lui per sopprimerlo, poi, adagio adagio, siccome gli permetteva l'incolta sua intelligenza, vide che al pari di lui centinaia di altri anarchici, sparsi nelle diverse provincie del regno d'Italia, soffrivano ogni sorta d'ingiustizie, comprese che il male doveva risiedere più in alto; meditò ancora e continuò a soffrire, maturando sempre più i suoi propositi di vendetta. Cercando, indagando, fissò gli occhi della mente sulla persona che stava a capo del governo, su Francesco Crispi, ché proprio lui presiedeva allora (1894) alla cosa pubblica in Italia.

Solo, pressoché privo di mezzi, Paolo Lega, senza nulla fiatare di quanto gli turbinava nel cuore, lasciò la cittadina romagnola che gli aveva dato i natali, e percorrendo a piedi un buon tratto di strada si portò a Roma, deciso a compiere la sua vendetta, la vendetta di tutti coloro che del paterno governo del Crispi conoscevano solo i dolori.

Giunto a Roma, errò qualche giorno per le vie della capitale, finché un bel mattino, raggiunse il Crispi proprio nel momento in cui, accompagnato dal suo segretario, si recava in vettura chiusa a Montecitorio, e gli sparò vari colpi di rivoltella. I colpi, malamente diretti, andarono a vuoto e Crispi rimase illeso.
Arrestato, Lega fu processato e condannato a venti anni di reclusione. Trasportato in un bagno penale della Sardegna, vi morì un paio d'anni dopo.

I giornali dell'epoca diedero la notizia della sua morte, poi... più nulla, nessuno più si occupò della sua memoria.

Per parecchi anni percorremmo tutti o quasi tutti i giornali anarchici italiani coll'intima speranza di trovare in qualcuno di essi un cenno, una parola che lo rammentasse, che rammentasse l'atto suo alla generazione nuova. Mai nulla trovammo. Il silenzio, sempre il silenzio!

Perché questo silenzio? Due sono, secondo noi, le cause: la prima è che i compagni, specialmente i giovani, di Paolo Lega non conoscono neppure il nome; la seconda — e questo è grave — è che la campagna vile condotta da giornali e da uomini ancora più vili in quanto facevano in quei tempi mostra di una pretesa opposizione ministeriale, valse, se non a togliere, a diminuire, agli occhi della massa, il valore dell'atto compiuto.

Dicevano allora, questi politicanti sfacciati: Crispi era alla vigilia d'essere travolto col suo ministero. L'attentato del Lega lo ha rimesso sulle gambe. Menzogna! Impudente menzogna! La verità è che si ebbe paura, allora, che l'atto del Lega fosse contagioso e sorgesse qualche imitatore per colpire più in alto, per abbattere Umberto I.

Si ricordarono e si ricordano Bresci, Angiolillo, Caserio, ecc., ma di Paolo Lega nessuna parola mai, mai, se non di qualche aulico biografo del triste sire che fu Francesco Crispi.

È una ingiustizia, è una dimenticanza colpevole per noi anarchici, che periodicamente amiamo rievocare le figure generose dei ribelli i quali diedero la vita per sopprimere un tiranno, per insegnare alla folla anonima l'unica via che deve percorrere se vuole giungere alla sua più alta redenzione; è una ingiustizia, è una dimenticanza che ameremmo vedere riparata, non perché portiamo un culto speciale alla memoria di Paolo Lega, ma perché sappiamo che egli, come tutti gli altri, è degno del nostro ricordo, della nostra riconoscenza.

È per questo che oggi, mentre ricordiamo il giustiziere gagliardo di Umberto I, ci piace di rievocare chi volle fermamente, pur non riuscendo nello scopo, giustiziare Francesco Crispi.

Se Umberto e Crispi vanno accomunati nel nostro disprezzo, Gaetano Bresci e Paolo Lega devono essere uniti nel migliore dei nostri pensieri.

 
[Cronaca Sovversiva, anno VIII, n. 31, 30/7/1910]