Brulotti

L’errore della Comune di Parigi

 
Escludendo i numerosi articoli di periodici, le bibliografie italiane sulla Comune di Parigi indicano un piccolo opuscolo anonimo come il primo titolo di parte esplicitamente anarchica apparso nel nostro paese. L'autore di queste pagine redatte ad Ancona nel 1904 — all'alba dello scorso secolo, quando le rivoluzioni che lo avrebbero travagliato dovevano ancora tutte scoppiare — non si limita a ricordare fatti e personaggi di quella esperienza storica, ma si sofferma su quella che a suo avviso è la lezione principale da trarre dal tempo delle ciliegie.
 
Nella sua ripugnanza per la guerra civile, il Comitato centrale commise l'errore imperdonabile di non marciare immediatamente sopra Versailles dopo il tentativo notturno ordinato da Thiers sopra Montmartre. Versailles era allora senza difesa e si poteva d'un colpo troncare la cospirazione di Thiers e dei rurali.
L'indulgenza del Comitato centrale: la magnanimità dei proletari armati vennero interpretati come sintomi di debolezza e il 21 Marzo un corteo di moscardini e di gamin sotto il pretesto di dimostrazione pacifica, nascondendo sotto le vesti armi d'assassino, tentò sorprendere il quartiere generale della piazza Vendôme. In risposta ai loro colpi di pistola furono fatte le intimazioni d'uso e siccome restavano senza effetto, il comandante del posto ordinò il fuoco. Una sola scarica bastò per metterli in fuga. Rimasero sul terreno due guardie nazionali morte; nove gravemente ferite (e fra esse un membro del Comitato centrale) e la piazza sparsa di pugnali, revolver, bastoni animati ecc.
Questo è il famoso massacro dei contadini senz’armi nella piazza Vendôme: la stampa borghese d'Europa se ne servì per attaccare con altre calunnie la Comune!
 
L'indulgenza della Comune fu il tallone d'Achille e la vulnerabilità offerta agli avversari.
La rivoluzione dell’89 fu perduta il giorno in cui Desmoulins pronunciò per la prima volta la parola clemenza. Rovesciato il regime del terrore non è vero che fu la Francia a respirare: respirarono i preti, gli aristocratici, i reazionari che si videro liberi nelle loro cospirazioni contro le conquiste del popolo.
Bisogna mostrarsi migliori di quelli che ci avversano, è vero, ma se ciò può servire nel periodo della propaganda, la storia c'insegna ch'è errore di tattica durante il periodo rivoluzionario.
Se il terrore avesse potuto continuare qualche tempo ancora, noi non ci troveremmo ad aver compito in un secolo un'immenso circolo, ritornando al punto di partenza. Esso avrebbe plasmato la coscienza della generazione che sorgeva e col concorso del popolo trascinato dall'entusiasmo delle nuove conquiste, avrebbe svelto fin dalle radici il sentimento della schiavitù nei popoli e della progressiva ferocia nelle classi reazionarie.
I rivoluzionari dell’89 e della Comune nella massima parte si preoccuparono troppo della buona reputazione da parte degli altri,
Bisogna pensare più a chi dice bene, che a colui che biasima. La pietà è un delitto in rivoluzione come lo è in chirurgia. Il rivoluzionario che invece di sopprimere le sette teste dell'idra si accontenta di sopprimerne una, equivale al chirurgo che lascia incancrenire un membro, invece di tagliarlo. Davanti all'interesse generale l'inesorabilità è virtù.
Billaud-Varennes, il rivoluzionario più maltrattato dopo Marat e Herbert dalla reazione, il grande Billaud che incoraggiò gli esecutori di Settembre e fu sempre partigiano del terrore ad oltranza, deportato dai termidoriani a Caienna, si tramutò, durante un'epidemia, in infermiere. Egli aveva per gli ammalati tali cure femminili, fraterne, tanta abnegazione metteva nel suo ufficio di carità, che un tale gli disse un giorno: «Ma, signor Billaud, come avete potuto essere un terrorista, voi così buono?». L'austero rivoluzionario rispose: «Perché era necessario». In questa frase c'è la risposta storica a tutte le coscienze timorate e agli sportisti della rivoluzione?
 
Perocché è supremamente dannoso ragionare in questo modo: «Bisogna lasciare ai preti la libertà del culto e dell'insegnamento come vorrebbero in Francia; ai borghesi quello di stampa come si voleva nello Sciopero generale; alle donne nostre la libertà di andare alla messa, di battezzare i bambini: e domani magari, in rivoluzione, la libertà ai monarchici di reagire come fecero i termidoriani». No: io non conosco che una sola libertà, la vera: quella cioè che l'esperienza storica insegna come la sola che possa rendere felice il genere umano. Davanti alla necessità di questa libertà, cadono tutti i sentimentalismi e la rettorica d'atavismo.
Bisogna difenderla a tutti i costi, bisogna togliere agli altri la libertà, bisogna combattere con tutti i mezzi la reazione della città e della Vandea.
Si dice: «Chi non rispetta la libertà degli altri non merita che gli si rispetti la propria». E sta bene.
Ma noi dai tempi preistorici ad oggi siamo sempre stati gli offesi, le vittime e se diventiamo violenti contro quello che si chiama libertà degli altri e non è invece se non licenza, ci troviamo in condizione di legittima difesa per noi e per gli interessi veri dell'umanità.
Oggi i borghesi sono logici quando opprimono la nostra libertà colle loro leggi: essi difendono i loro interessi di casta, mentre noi sosteniamo gl'interessi dell'umanità.
 
La Comune di Parigi era destinata a cadere fin dal principio, perché colla sua indulgenza dette tempo ai reazionari di isolarla totalmente dal resto dalla Francia, costringendola in un cerchio di soldati e di calunnia, arma sempre buona perocché della calunnia rimane sempre qualche cosa, specie quando non si può smentire.
Giacché la calunnia doveva essere inevitabile, meglio era tentare di sbalordire la Francia e i nemici del proletariato col terrore come nel 1793.
Altro che spalancare le porte di Parigi agli uomini d'ordine che si rifugiavano a Versailles per prepararsi il ritorno! Altro che accompagnare alle porte di Parigi gli stessi sergent de ville, invece di tenerli sotto chiave, o peggio come la più elementare prudenza voleva! Non solamente, dice Malon, gli uomini d'ordine rimasti ancora a Parigi conservarono le armi, ma si permise loro di prendere tranquillamente possesso di parecchi posti importanti nel cuore stesso di Parigi. Due giorni dopo il tentativo reazionario accennato più sopra, gli stessi eroi, lasciati tranquilli dal Comitato centrale, si riunirono di nuovo sotto gli ordini dell'ammiraglio Saisset e fecero un'altra dimostrazione armata, che fortunatamente finì colla loro fuga a Versailles.
Queste (purtroppo!) erano, o borghesi, le belve famose della Comune di Parigi.
Generosi fino alla cecità; fino alla perdita di se stessi!
[...]
La notizia dell'arrivo di Flourens li aveva preceduti, alla porta della città un reggimento di soldati, ignorando la morte dell'eroe, tirarono nel baroccio le bacchette dei fucili per colpirli.
Arrivano alla prefettura di polizia fra una popolazione ebbra e feroce che gridava «A morte! a morte!».
La stessa popolazione che consegnava i Bandiera al Borbone, trucidava Pisacane e compagni, gridava morte a Mazzini nelle strade di Napoli, derideva Pallavicino a Verona, minacciava Guerrazzi a Firenze, uccideva Basseville a Roma ecc. ecc. È il nemico in casa, è la Vandea insomma, che non dovrà venire risparmiata nella ventura rivoluzione. Guai se un sentimento di falsa pietà, di errata pietà, sopraffacesse quel giorno la nostra rabbia: saremmo perduti, ancora perduti!
Bisogna liberarsi della Vandea: è fatale. La morte sola potrà convincere i fanatici del trono e dell'altare.
 
 
[La Comune di Parigi: narrata da un anarchico secondo documenti
e testimonianze di comunardi, Mantova 1905]