Brulotti

Lutti r-r-r-rivoluzionari

 
Sono tutti in lutto, da giorni. Sapevano che prima o poi sarebbe successo, non si scampa alla morte, ma è duro sopportare tutto quel dolore. Fidel è morto. Morto, capite? E loro adesso sono soli, disperatamente soli. Orfani di un padre spirituale, privi di punti di riferimento, senza fulgidi esempi da seguire. Non stiamo parlando dei cubani, divisi fra chi piange e chi ride alla notizia della dipartita dell'uomo che li ha governati per oltre mezzo secolo, ma di loro. Loro, sì, i r-r-r-rivoluzionari occidentali, quelli che vanno talmente pazzi per le dittature esotiche da fare a gara con i cosiddetti turisti sessuali su chi va di più all'estero a fare ciò che non farebbe mai a casa propria.
Fidel era il loro campione, da sempre. Fidel c'era già quando gran parte di loro doveva ancora nascere. Fidel era tutto Stato & Rivoluzione (perché Rivoluzione è Stato, o non è niente). Fidel era il brivido dell'avventura al servizio del potere. Fidel era il mitra imbracciato che precede la legge decretata (perché — come amano ripetere — sono solo strumenti, bisogna saperli usare entrambi con pragmatismo e senza pregiudizi ideologici). E Fidel era anche il simbolo del trionfo sulla sfiga, era sinonimo di vittoria, non quella effimera, ma quella duratura. C'è una bella differenza! Sì, va bene, il Che era più bello di Fidel... Ma in fondo lo hanno anche steso da giovane. A 20/30 anni si può ben andare in giro con la maglietta del Che, dai 40 in poi si ha più occhi per Fidel. Vogliamo l'avventura, ma anche la pensione!
Ed ora lui è morto. Morto, capite? La sua scomparsa non sarebbe così terribile se almeno avesse lasciato un erede in grado di prenderne il posto nel cuore dei pasciuti r-r-r-rivoluzionari occidentali. Ma non è così. Il loro turismo sovversivo ha molte derive possibili, ma nessun comodo approdo. Chavez è schiattato e poi, diciamolo, gli mancava quell'aroma guerrigliero che dà sapore alla sinistra più insipida. Il sub-comandante mascherato andrebbe benissimo, vederlo a cavallo con il fucile in spalla è una meraviglia. Ma lui da anni resiste, resiste, resiste... gagliardo, davvero, ma resistere non è vincere! Il Messico non ha conosciuto alcuna rivoluzione, il Chiapas è sempre infestato da truppe governative. Quasi-Stato e Rivoluzione è ammirevole, ma non è ancora abbastanza!
Vero è che ora c'è un altro baffone a far girar la testa… Il dna della rivoluzione sembra essere passato dal sangue dei cubani a quello dei curdi (gli esami su quello dei valsusini hanno dato per ora esito negativo, ma finché c'è mitopoiesi c'è speranza). La lotta di questo popolo è in corso, aspra ed esaltante, contro un nemico feroce (nonché composto per metà da appartenenti a questo stesso popolo, ma tutto sommato è una sfumatura trascurabile: i traditori della razza esistono dappertutto). E finché dura, ogni speranza è lecita. Tant'è che non solo i soliti politicanti autoritari, ma anche i soliti minchioni libertari sospirano e gemono di voluttà a sentir pronunciare il nome del nuovo leader maximo e della regione dove è in corso l’esperienza di auto-governo dei suoi fedeli. Davanti a quei nomi-simbolo, ma quanto diventa nobile una bandiera? Quanto diventa bella una uniforme? Quanto diventa giustificata una autorità? Quanto diventa necessaria una polizia? Quanto diventa onorevole il martirio?
Già, ce lo chiediamo anche noi. Purtroppo il Kurdistan non è un'isola da cui basta buttare in mare i nemici — imperialisti e traditori del popolo — per poterla (auto)governare. Stretto fra l’Iran, la Siria e la Turchia, pedina facilmente sacrificabile sulla scacchiera della ragione di Stato, non sarà facile trionfare per quella lotta. Anche lì si rischia di prolungare all'infinito una situazione di dualità di potere. E come già detto, resistere non è vincere.
Ma il lutto degli orfani dei dittatori esotici non può durare all'infinito, la rivoluzione è il destino della Storia! Fidel vivrà ancora nell'uomo della provvidenza che viene (ancor meglio se in un altro continente)!
 

[30/11/16]