Contropelo

L’amore senza nome: una confessione

Sagitta [John Henry Mackay]
 
Dal 1906 al 1913 apparvero in Germania sei testi che costituiscono «la prima deliberata e consapevole campagna dei tempi moderni per ottenere la pubblica comprensione dell'amore fra un uomo e un ragazzo». Scritti in diverse forme letterarie (dal pamphlet al romanzo, dalla poesia all'atto teatrale), diffusi dietro sottoscrizione o invio di copie omaggio, e firmati da un misterioso Sagitta, questi testi pur nella loro diversità compongono ciò che l'autore — rifiutando tutti i termini medici, legali e moralistici — definì I libri dell'amore senza nome. Il tentativo di Sagitta di dare luce ad un amore considerato dall'intera società una ignobile perversione venne snobbato dal pubblico e perseguitato dalle autorità. Il 12 marzo 1908 la polizia sequestrò i primi tre libri ed il 6 ottobre 1909 un tribunale tedesco, pur riconoscendone i meriti artistici, ne ordinò la distruzione, condannando ad una multa l'editore che si era rifiutato di rivelare il vero nome dell'autore. La raccolta de I libri dell'amore senza nome fu stampata nel 1924 e due anni dopo Sagitta pubblicherà un altro libro sull'argomento, un romanzo sui ragazzi di vita nella Berlino degli anni Venti. Dietro allo pseudonimo di Sagitta c'era John Henry Mackay (1864-1933), poeta, scrittore, biografo di Max Stirner, nonché anarchico individualista. Quella che segue è la traduzione, condotta sulla versione inglese, del primo dei Libri dell'amore senza nome.
 
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Un tempo, più di duemila anni fa, era una delle radici da cui traeva il proprio miglior nutrimento la cultura di un popolo per molti versi senza rivali, il più assetato ed ebbro di bellezza che il mondo abbia mai conosciuto. Per i greci il benessere, la forza e la grandezza sbocciavano dall’amore di un uomo per un giovane, di un giovane per un uomo, un amore lodato dai suoi pensatori e cantato dai suoi poeti. A sovrastarlo c’era una luce — la luce della comprensione e della libertà.
Poi arrivò la notte e venne con il cristianesimo e la sua mostruosa falsificazione di tutte le nostre sensazioni naturali di ottimismo e di gioia nella vita. Per secoli questo amore, che i greci collocavano per la sua bellezza e nobiltà sotto la luminosa luce del sole e dinnanzi agli occhi del mondo, venne sepolto: il suo nome venne svilito e messo fuorilegge, fu disonorato, perseguitato e disprezzato a tal punto che, pur vivendo perché era immortale e quindi non poteva morire, si dovette nascondere dal mondo e da se stesso, e le sue urla di martirio perirono senza eco nel silenzio della paura e del terrore per secoli bui.
 

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Noi, i viventi, i benedetti-maledetti figli del diciannovesimo secolo, che prepariamo le fondamenta della futura libertà della razza umana, siamo stati i primi ad ardire nuovamente di conoscerlo.
Invece di sollevarlo finalmente dal fondo coperto di sporcizia e sabbia, per porlo nel trionfo della sua intatta bellezza al posto che merita, incoronando le sue bianche fattezze con fresche rose e celebrando la festa della vita ai suoi piedi, essi hanno trascinato ciò che è stato disonorato dal banco del giudice e dal pulpito del prete fino al tavolo anatomico del medico, facendogli posto fra i due sessi, ritenendo gentili quanto corretti quelli che decidevano: il suo posto non è qui, ma piuttosto nei manicomi.
Questo amore, che vive a dispetto di tutte le catene e delle torture, questo amore salutare avrebbe dovuto esser «guarito» dai trattamenti ipnotici dei ciarlatani e dalle camicie di forza. Dopo averlo bollato fino a quel momento come un crimine contro natura, iniziarono a fare qualcosa di peggio — a giustificarlo gentilmente in quanto aberrazione della natura.
 

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Infine sollevò la sua magnifica testa e sorrise! Sorrise di nuovo per la prima volta dai giorni in cui conosceva una razza più felice e quindi più bella.
 

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Natura! Lei che ha creato tutti noi, non come volevamo, ma come doveva, lei sola sa perché ci ha creato così come siamo.
Siamo tutti figli suoi. È la madre di tutti noi. Ogni cosa in essa è naturale, giacché ogni cosa è in essa e non esiste crimine contro la natura che non si trascini dietro la propria rovina.
La nostra vita viene condotta in un’infinita lotta per l’autoconservazione. Ogni essere deve lottare per il proprio posto nel suo petto che dona la vita.
Anche noi, a lungo rinnegati, lottiamo infine per il nostro posto e non patiamo più miseramente, solo perché i suoi figli apparentemente privilegiati ci allontanano da lei.
 

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Ad ogni amore il proprio diritto.
Il diritto dell’amore dell’uomo per la donna, dell’amore della donna per l’uomo, il loro diritto come prima cosa.
Anche il diritto dell’amore di una donna mascolina per una donna, di un uomo femmineo per un uomo.
Ma anche il diritto del nostro amore, l’amore dell’uomo per un ragazzo, l’amore del ragazzo per il ragazzo, l’amore del ragazzo per un uomo!
Madre natura semina le sue ricchezze fra noi con incredibile abbondanza — senza preoccuparsi di come le usiamo per benedirci o maledirci, senza prestare attenzione a come le distribuiamo fra di noi. È inutile cercare scopi di cui non si sa nulla. Tutto quello che possiamo fare è inchinarci di fronte alle leggi della sua necessità, riconoscendole in quanto tali.
C’è abbastanza spazio per tutti. Nessuno deve patire. Nessuno ha bisogno di sentirsi escluso.
Perché litighiamo per il posto migliore? Il migliore non è forse quello in cui chiunque può essere più felice nel pieno sviluppo della sua personalità?
Tutti cercano la propria terra natale nel paese straniero della vita. Anche noi. E poiché la nostra casa è nel cuore di un amico, che amiamo, è lì che la cerchiamo finché non la troveremo.
Sia maledetto chiunque continua a defraudarci!
 

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Noi? Ma allora, chi sono questi «noi»?
Ciascuno di noi che ha sofferto una solitudine immeritata e non voluta, si è sentito del tutto solo. Disprezzato fra la gente, allontanato dal tavolo della vita, ha combattuto con le inclinazioni della propria natura come contro un nemico maligno, ogni giorno daccapo; oggi vincendo e domani perdendo, sentendosi già lui stesso un criminale per ogni sguardo, ogni stretta di mano, ogni bacio del suo amore perseguitato, fino al giorno in cui ha osato aprire gli occhi e riconoscere che intorno esistono altri come lui, simili eppure differenti.
E mentre il suo sguardo si faceva più ampio e profondo, una nuova consapevolezza doveva unirsi alla sua comprensione di questa differenza: la consapevolezza, la più matura uscita fuori dal secolo appena passato, che la prosperità del futuro è situata nella liberazione dell’individuo, di ogni individuo, nello sviluppo — in nessuna maniera ostacolato dalla pressione sociale o di gruppo — di se stessi come la maggiore felicità della vita, il suo significato e il suo scopo.
Un giorno, quando in questa libertà la potenzialità di una persona di essere diversa prenderà nuove e non ancora immaginate strade, allora questo amore mostrerà se stesso nel suo vero aspetto. Non più in vendita per bisogno o per calcolo, non più messo sfacciatamente sotto gli occhi e col permesso degli altri, il libero dono di un cuore all’altro, ed al più prezioso, questo sarà l’amore creativo e nutriente che, anche se non dappertutto in maniera reciproca, verrà concesso e afferrato — senza preoccuparsi o interessarsi dell’odio e dell’incomprensione.
Allora vedremo chi siamo e in quale numero. Chi oggi può anche solo immaginare quanti siamo, impauriti e disgraziati di fronte ai selvaggi pregiudizi e alle leggi che sono in sé dei crimini, ad uccidere le più tenere inclinazioni del nostro cuore e ad innalzare uno schermo fra loro e noi, in modo da non vedere e non essere visti!
Un futuro più felice ci vedrà e ci conterà — cosa oggi immaginata forse solo da qualcuno di noi — rimanendo stupito nel constatare che una eredità greca impossibile da sradicare continua a vivere nel petto di ogni uomo, di ogni giovane, stupito e sconvolto nel contempo dal pensiero di quello che abbiamo sofferto, noi che abbiamo ottenuto dalle sofferenze della nostra vita l’inaudito coraggio di riconoscere il nostro amore. E non ci negherà il suo ringraziamento.
 

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Nell’immagine di Eros, tu nostro amore stai ancora sul piedistallo di marmo, respirando la bellezza attorno a membra spensierate, la grazia dell’eterna giovinezza sulle esili anche ed un sorriso sulla bocca e sulla fronte: sulle labbra l’affascinante ed innocente sorriso del ragazzo che si fida della sua prima inclinazione, sulla fronte il serio sorriso dell’uomo che combatte la più dura battaglia della sua vita per lui.
Non esiste offesa che non ti sia erroneamente stata fatta; nessuna sofferenza che l’odio non abbia aggiunto ad essa; nessuna incomprensione con cui la follia non ti abbia perseguitato — eppure tu sorridi!
 

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Tu, mio amore fin dall’infanzia — ti vedo sorridere ed un infinito desiderio mi riempie il cuore! E cado ai tuoi piedi, che ho a lungo evitato, e abbraccio le tue ginocchia — scartato e respinto da tutti tranne che da te, vengo da te.
Fammi riposare qui un poco!
Non vedi come sono stanco!
Ho sofferto molto, forse troppo per le mie forze.
Voglio solo capire, comprendere quello che una volta mi era incomprensibile e ancora lo è per molti.
Insegnami il tuo sorriso di comprensione!
E tu sorridi — sorridi anche a me. Ma da te proviene la forza, una forza infinita!
Fammi allora riposare un attimo, in modo che scorra da te a me.
Quando mi rialzerò non rimarrò più zitto. Allora parlerò!
 

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Ma come ti devo chiamare, amore della mia vita?!
Ogni nome che ti ha definito fino ad ora è diventato un termine abusato nelle sporche bocche di persone volgari, un fraintendimento nelle menti ottuse, peggiore di qualsiasi insulto; e nessuno ti definisce correttamente.

Non hai ancora un nome.

Allora lascia che ti chiami — senza nome !
 

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Amore senza nome!
Amore senza nome del giovane e del ragazzo, che fiduciosamente si rannicchia sul petto dell’uomo perché sente di poter trovare là ogni cosa — amicizia e amore, aiuto nelle parole e nei fatti!
Amore senza nome dell’uomo, che attira a sé colui che ha di più caro e desidera essere tutto per lui — amico e padre, fratello e amante!
Amore senza nome — quand’è che il futuro ti chiamerà finalmente con il tuo vero nome?
 

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Non rimarrò più zitto.
Parlo con ritardo. Il mio cuore impaurito e oppresso ha liberato un grido dalla mia bocca; l’eterna delusione ha ucciso il suo desiderio; il pensiero senza riposo ha distrutto rapidamente la sua freschezza.
In questo modo l’ultima speranza della mia vita si è fatta largo fino al riconoscimento di una ingiustizia mostruosa e senza eguali, ed il suo più alto desiderio ora è diventato: servire questa comprensione con le mie ultime forze.
Se non è più un grido, allora sarà ancora un richiamo: e ciò che ha perduto in forza, deve aver guadagnato in profondità.
E sento che giungerà alle orecchie di coloro che, nel terribile silenzio che li circonda, sono ancora all’ascolto in attesa di una risposta alla sconcertante domanda della loro vita — arriverà come una parola di consolazione, un messaggio di nuovo coraggio.
 

*

Ho vissuto nella notte.
Ora saluterò ad alta voce l’alba nascente e rinfrescherò i miei occhi che bruciano, sfiniti da lacrime solitarie, nella sua giovane luce.
Coraggio e consolazione sono necessari oggi per tutti noi.
La mia ultima opera dovrà dare coraggio e consolazione anche a me. E, se possibile, anche agli altri che nella solitaria paura disperano, che patiscono in silenzio per amore, che cercano se stessi invano, incapaci di trovarsi nella confusione e nell’angoscia — ognuno da solo e tutti immeritevoli del proprio destino!
Coraggio e consolazione — per loro e per me!
Coraggio e consolazione!
 
 
[Die namenlose Liebe, ein Bekenntniss, 1906]