Papiri

In carcere si tortura

Ancora una volta il mostro assassino mostra il suo vero volto alla vittima e ai suoi familiari.
Lo Stato, nella sua missione principale di cane da guardia della proprietà privata, decide di prendersi in custodia coatta un ragazzo di 27 anni e, dopo averlo tenuto sotto la sua “tutela” per 4 anni, ne restituisce il corpo privo di vita ai parenti; senza tralasciare tutta la serie di traversie fisiche, morali e burocratiche che in casi come questo riserva loro.
Nell’ottobre del 2015 i familiari vengono a sapere che il loro congiunto, detenuto nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce, non si trova più lì.
Dopo richieste insistenti riescono a farsi dire che era stato trasferito in infermeria e da lì a quella del carcere di Taranto per abuso di psicofarmaci. Trovando il tutto molto strano, i parenti riescono a sapere che da Taranto Antonio (questo il suo nome) era stato trasferito niente meno che ad Asti. Poco dopo il giovane viene di nuovo trasferito all’ospedale di Taranto, dove i familiari riescono finalmente a vederlo.
Lo stato in cui lo trovano è disumano: irrigidimento degli arti e atrofie muscolari, in dialisi per intensa disidratazione, lividi evidenti sul corpo, commozioni cerebrale e intercostale, impossibilità a parlare. Il primario conferma che è arrivato in ospedale in stato comatoso, con polmonite così avanzata che era ormai divenuta una setticemia diffusa ormai anche nel sangue; operato d’urgenza ai reni per la forte disidratazione.
Al carcere di Lecce danno la colpa ad alcuni detenuti che si sarebbero accaniti su di lui, ma tutto ciò non trova conferma in nessun incartamento dell’istituto. Antonio muore l’8 dicembre in ospedale, senza riuscire a dire molto, nelle condizioni in cui era, su cosa sia realmente accaduto, anche se ha fatto intendere ad un pestaggio da parte delle guardie. Un giudice di Taranto ha già chiesto l’archiviazione del caso. Un altro detenuto, compaesano di Antonio, aveva iniziato a fare delle domande un po’ scomode su quanto accaduto al suo compagno, ma è stato subito trasferito a Reggio Calabria. Questi i fatti, in breve.
Ciò che ci preme è che il caso di Antonio non venga taciuto e nascosto e che ancora una volta una morte di Stato passi per mero incidente. Siamo consapevoli che il carcere non ha affatto  la funzione di rieducare ma semmai quella di vendicarsi di chi è uscito fuori dai ranghi e di fungere da monito per chi non si adeguerà alle regole sociali.
Il carcere è il luogo della disumanizzazione, della spersonalizzazione, della violenza istituzionale, della privazione degli affetti.
Il carcere è un abominio e la vicenda di Antonio Fiordiso, come quella di tanti altri detenuti o di persone ammazzate mentre erano nella custodia di qualche forza di polizia ne sono la conferma. Vogliamo sapere chi sono i responsabili della morte di Antonio, vogliamo che nel ricordo Antonio riacquisti la sua dignità vilipesa.
 
[Aprile 2016]