Brulotti

Clandestini? Rifugiati?

Contro la selezione e le discariche umane

 
Alcuni anarchici
 
Avete già sentito parlare del fatto che attualmente ci sono all'incirca 4.000 persone che arrivano in Europa ogni giorno. Forse avete già intravisto gli accampamenti a La Chapelle, a fianco della Gare d'Austerlitz, al Jardin d'Éole, alla Halle Pajol e in altri punti di Parigi. Osservando con attenzione, vi sarete forse accorti delle espulsioni condotte dal Comune di Parigi, dai suoi sbirri, con tutto l'aiuto indispensabile dell'Ufficio Francese di Protezione di Rifugiati ed Apatridi (l'OFPRA), di Emmaus, di Francia Terra d'Asilo, dei Verdi e degli altri che hanno lo scopo di umanizzare la selezione degli esseri umani che il potere considera rifiuti. Se il vostro senso di empatia non si è spento definitivamente davanti alla pattumiera che ci viene assegnata in quella discarica chiamata capitalismo, può darsi che vi siate indignati, può darsi che abbiate mosso il culo per portare cibo, vestiti o medicine a queste persone che non hanno affatto concluso il loro viaggio verso l'ignoto, spinti dal desiderio di fuggire da un inferno familiare... Non si può che salutare la volontà di rompere l'indifferenza che affianca ogni reclusione ed ogni espulsione, sempre più o meno violente. In una simile città, dove nessuno vale più della sua sottomissione travestita da «simpatia», si può solo approvare ogni tentativo di affermare che si tratta di individui lasciati a marcire per strada. E tuttavia, la questione si rovescia quando si impara ad esprimerla nella lingua del potere...
Perché oggi ci viene detto che, se si vuole essere bravi, bisogna «accogliere i rifugiati». Ma cosa vuol dire «rifugiato»? Secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, è una persona protetta dallo Stato accogliente a causa del timore, motivato, di essere perseguitati nel proprio paese natale. Ma chi decide se si ha ragione oppure no di avere paura? Beh, lo Stato! Per ottenere quel che si chiama «diritto all'asilo», bisogna perciò essere in pericolo ed essere capaci di provarlo con documenti che lo attestino. Quindi, per esserlo con ragione, occorre che il potere dia la sua benedizione. Anche se si dorme sotto il fragore delle armi, non c'è guerra prima che le Nazioni Unite lo decidano. Anche se sei ad un passo dalla morte, bisogna averne una prova convincente. E se si crepa, è preferibile farlo in gran numero per impressionare i potenti così come l'opinione pubblica da cui dipendono (o no).
Ma anche se la tua povertà ha fatto una buona impressione sui potenti, ti faranno strisciare in ginocchio. Perché lo Stato ed i mercanti che serve non concedono «regali» per niente. Vedi, è uno scambio. Ci sono tutta una serie di imprese che ti aspettano a braccia aperte, e il tuo lavoro da fare in cambio di niente farà certamente schizzare l'economia. E se non sei contento, ti faranno di nuovo gustare il tuo inferno natale, a fianco di chi è stato selezionato come rifiuto, talvolta riciclabile, talvolta no. E ce ne saranno finché ci saranno le frontiere. Di quelli che, agli occhi dello Stato, non meritano di essere accolti e che quindi non hanno il suddetto «diritto» di non crepare sul filo spinato, di non crepare su un'autostrada a Calais, di non annegare nelle acque turche, greche o italiane, come bestiame trascurabile.
Dinanzi alla «crisi dei migranti», durante la quale le autorità europee si sono decise, costrette dall'opinione pubblica, ad accogliere un certo numero di rifugiati, la Francia, e specialmente l'OFPRA, ha già iniziato la selezione fra quelli che sono «in urgente bisogno di protezione» e quelli che, secondo loro, non lo sono o non abbastanza, su una scala di minaccia quantificabile in funzione degli interessi geopolitici del potere e della quotazione del barile di petrolio. Per questi ultimi, va da sé che le conseguenze sono chiare. Di recente, durante una occupazione nel liceo Jean-Quarré, nel XIXe, il sindaco ha chiesto ai migranti di consegnargli un elenco di nomi per distinguere i richiedenti asilo dai senza documenti (per sempre, si suppone), e tutto ciò in cambio di un alloggio d'emergenza (non per i senza documenti, facile indovinare...).
Sfortunatamente, dichiarandosi solidali con i «rifugiati» si è implicitamente complici di questa divisione e di tutto ciò che ne consegue. Si perpetua la selezione che giustifica le molestie, le retate, la reclusione e l'espulsione di chi non ha le carte in regola. Proclamandosi solidali con una categoria che può essere definita solo dal potere, si è per forza complici della caccia all'uomo che esso conduce contro i «soliti» senza documenti e gli esclusi dal «diritto d'asilo». «Rifugiato» non è quindi sinonimo di «migrante». È un termine che ha lo scopo al tempo stesso di nascondere e di giustificare il terrore contro i migranti che non sono selezionati dallo Stato per diventare i suoi preziosi rifugiati. È un termine del potere per dividere gli sfruttati fra loro, fabbricare delle figure di «buoni» (rifugiati, agiati nei loro paesi, di preferenza cristiani, ecc.) per espellere tranquillamente i «cattivi» (senza documenti, poveri di qui come di là, che vengono a mangiare il pane dei «nostri» marmocchi). In un mondo che non ha più alcun senso, in cui ciascuno si rannicchia nella sua piccola particella di identità, crepare di fame non è più un criterio sufficiente per ricevere ospitalità e solidarietà. E qualche lacrima davanti a foto sensazionali o la firma di una petizione bastano a procurarsi una buona coscienza mentre la macchina delle espulsioni continua il suo business di morte agli angoli delle nostre strade. Perché la miseria di quelli che errano su questa terra non è questione «umanitaria»; è prodotta consapevolmente dallo Stato e dai suoi mercanti, e resa accettabile dai suoi amministratori perché si tratta di un business come un altro. È quella che definiamo «macchina delle espulsioni».
«Rifugiato» è dunque una parola del potere che ha un solo scopo: separare gli sfruttati, far loro credere che i loro interessi non sono gli stessi, e creare delle classi fra i «cattivi» senza documenti, al di sopra dei quali trionferanno i «buoni» rifugiati, di cui la Francia si farà carico in perdita come in profitto, con  l'umanesimo trionfante della patria dei diritti dell'uomo e del filo spinato. E quale sorte verrà riservata a quei «senza documenti» che non sono dichiarati idonei all'asilo? La stessa del solito: miseria, sfruttamento, centri di identificazione ed espulsioni. Per sopravvivere, bisogna meritarlo!
Il punto non è una mancanza di documenti o di titoli da dare. No, il punto è che si delega la decisione riguardo a chi li merita. Perché, finché ci saranno documenti, non ce ne saranno per tutti. Finché ci saranno frontiere, ci saranno quelli che creperanno nel tentativo di attraversarle. Finché ci saranno Stati, questa caccia all'uomo effettuata dai suoi lacché continuerà.
La nostra lotta non è perciò per i rifugiati – anche se non si tratta in nessun caso di colpevolizzare coloro che ne hanno ottenuto il titolo. La nostra lotta è contro tutti gli Stati e contro le loro frontiere che non possono che mutilare, rinchiudere ed uccidere. Un titolo di soggiorno è una maniera come un'altra per sfangarla in un mondo di merda, ma non è ciò a cui aspiriamo. In un mondo in cui dei documenti equivalgono al diritto di esistere, pensare a «documenti per tutti» è impossibile. Ecco perché lottiamo per un mondo in cui non avranno più alcun valore.
Ci rimproverate di essere troppo poco realisti? Bene, in questa circostanza essere «realisti» consiste nel perpetuare il massacro occultandone le vere ragioni. Davanti ad una tale realtà, è meglio agire subito affinché i nostri sogni di oggi si realizzino domani.
 
 
[da un volantino trovato nelle strade di Parigi,
Trad. ici, 9/2015]