Brulotti

La ricerca dell'Altro

 

Dopo tutto, è così che si potrebbe riassumere uno dei problemi fondamentali dell'esistenza umana, se non il suo problema principale. Andiamo alla ricerca dell'Altro quando, da esseri umani, desideriamo trovare l'amore. Ma andiamo alla ricerca dell'Altro anche quando, da sovversivi, desideriamo trovare complici. La ricerca dell'Altro è ciò che ci spinge sia verso l'amicizia sia verso l'affinità. In teoria è facile capire che non bisogna confondere i due piani, che amore e insurrezione non sono la medesima cosa. Ma in pratica ciò potrebbe rivelarsi piuttosto complicato. Gli animali politici, legati ai rapporti strumentali, riusciranno ad abbandonarsi all'eccesso? Gli animali apolitici, innamorati di rapporti disinteressati, saranno disponibili al calcolo?
Lo spunto per queste domande è la lettura di un breve saggio sull'amore, vecchio di oltre mezzo secolo, le cui riflessioni potrebbero però trovare spazio anche nelle odierne (non) discussioni che dividono chi vuole andare verso il popolo da chi vuole rimanere fra i suoi (pochi) compagni. «Se l'uomo è un essere sociale, lo è chiaramente perché possiede il sentimento innato della sua insufficienza individuale, a sua volta derivata dalla condizione umana propriamente detta. Dal che la sua angoscia. Cosa che fra l'altro lo porterà, sin dall'origine, a cercare fuori di sé ciò che gli manca», scriveva questo autore. Solo, in questo mondo ostile, l'essere umano non si basta. Deve perciò guardare fuori di sé, giacché «qualora l'essere umano fosse completo e perfetto non si manifesterebbe in lui alcuna tendenza ad associarsi ai suoi simili, tantomeno a ricercarne la compagnia qualunque ne fosse lo scopo». Se ci si barricasse all'interno della propria solitudine ci si limiterebbe a tirare a campare in un eterno presente, dove non «sarebbe possibile evoluzione alcuna. L'unica cosa concepibile in tal caso sarebbe una armonia individuale in un universo fisso per l'eternità». Si tratta non solo di una noia mortale, ma anche di una pura illusione denunciata fin dall'antichità: «già Eraclito vedeva nel mondo “un'armonia di forze opposte”, una “armonia di tensioni di volta in volta tese e rilasciate”, poiché “la discordanza crea l'armonia più bella”».
L'Altro di cui si va alla ricerca per colmare la propria mancanza, per raggiungere la pienezza, non può essere l'Identico. L'Identico è sempre e soltanto una conferma, mai una sorpresa. Non apre possibilità sconosciute, ripresenta quelle già note. Ma questo Altro – perché tale deve essere – non può nemmeno venire assimilato, non può nemmeno essere accomunato. La differenza esistente non deve affatto venire smussata, bensì approfondita: «Platone, nel Simposio, osserva che il grave e l'acuto raggiungono l'armonia solo in quanto si accordano. Perché un tale accordo sia possibile occorre che, a partire dal punto in cui il grave e l'acuto si confondono, sia riconosciuta la gamma sia dell'uno che dell'altro, fino al tono più alto dell'acuto e fino a quello più basso del grave. In una parola, è necessario raggiungere prima la massima differenziazione dei suoni perché poi se ne possa ricercare l'accordo».
Se la coincidenza fra Identici è una tautologia che non merita di essere ribadita, l'accordo fra Simili è una banalità che non vale la pena essere scoperta. Tanto meno quando questa similitudine viene instaurata in maniera coatta, a colpi di compromessi, rimozioni e rinnegamenti. L'amore non può «ammettere la benché minima restrizione: tutto o nulla!... In fondo “tutto o niente” rispecchia semplicemente la vita o la morte, la vita totale o la morte, qualora quella vita si fosse dimostrata impossibile, qualunque potesse esserne il motivo; e la società, in ultima analisi, ne porta la responsabilità».
Quanto sostenuto dall'autore, un poeta e rivoluzionario del 900 secondo cui «chiunque inoltre possieda una individualità nettamente spiccata, può rivolgere il pensiero verso l'essere che gli manca perché si realizzi così l'armonia in ognuno di loro, in altre parole per conoscere la felicità», non è poi tanto diverso da quanto già detto da un anarchico e poeta dell'800, secondo cui «l'accordo generale dell'Umanità nascerà dalla divisione degli individui spinta all'infinito». Ecco perché i ritornelli sulla bellezza di ciò che è comune, sulla necessità della condivisione, puzzano tanto di omologazione. Ciò che va ricercato è l'esatto opposto, ciò che non si può condividere, ovvero la singola unicità. «Uomini! Ve lo dico, se i vostri diritti sono uguali, le vostre nature sono diverse. Quando parlate l'uno dell'altro non dite “il mio simile”, dite “il mio differente”», scriveva questo anarchico dell'800.
Ma questa ricerca dell'Altro fondata su una reciproca unicità è una possibilità sempre meno presente. Lo constatava con amarezza, sempre a proposito dell'amore, anche questo autore. Nel nostro mondo, a suo dire, questo genere di amore «resta asociale e talvolta persino antisociale, poiché il mondo, di questi tempi, tocca il vertice di un dualismo da cui trae tutto il suo potere oppressivo, percepibile fin nei minimi particolari della vita quotidiana». Meglio la destra o la sinistra? Meglio la Coca o la Pepsi? Meglio Dio o Allah? Questo dualismo ha colonizzato i sensi ed i pensieri dell'essere umano a tal punto da renderlo incapace di immaginare che altro sia possibile. Si tratta di una possibilità che, come l'immagine dell'amore, «se ne sta in lui a una tale profondità, in un rifugio così segreto e oscuro che il suo essere razionale non vi ha alcun accesso. Se non altro non dovrebbe ignorare l'esistenza di quel rifugio e lasciar campo libero ai geni della luce che tentano di aprirlo. Ma quanti riescono anche solo a sospettarne l'esistenza? Nel mondo odierno la maggior parte degli uomini si limita a una scelta sommaria sulla base di considerazioni che non fanno che sfiorare l'amore, quando non sono ad esso totalmente estranee. La sorte loro riservata non permette altro: l'uomo sociale si contrappone all'essere umano man mano che si sviluppa la società, ininterrotta generatrice di costrizioni».
Se per questo autore i due tipi di donna sensibili a provare e provocare questo amore sono la donna-bambina e la strega, il volto luminoso e quello oscuro della passione, va da sé che la società – «in un mondo che, nella natura e nell'uomo, non vede altro che le possibilità di sfruttamento» – impone al loro posto la scelta fra la santa e la puttana. All'amore negato vengono perciò offerte due sole ipotesi: l'astinenza per non cadere nello squallore, o lo squallore per non marcire nell'astinenza.
Ebbene, non è forse la stessa alternativa sommaria in cui si dibatte oggi la ricerca dell'Altro in ambito insurrezionale? Anche qui infatti veniamo spinti da una parte verso la passione triste di un nichilismo (sinceramente riconosciuto) che rimanda solo e soltanto a se stesso, insensibile ad ogni contatto esterno e cupo nel suo soliloquio, e dall'altra verso l'interesse allegro di un populismo (ipocritamente negato) che insegue solo e soltanto gli altri, sprezzante per ogni dignità interiore e civettuolo nel suo comizio. Pur diametralmente opposti, si tratta di due atteggiamenti del tutto speculari che si alimentano e si giustificano a vicenda. Più il primo ringhia per minacciare, più il secondo – scuotendo la testa – sorride per adescare. Più il secondo spalanca le porte al compromesso, più il primo – scuotendo la testa – si barrica autorecludendosi. L'affinità, santa o puttana?
Se è vero che l'amore «implica la più completa libertà sessuale, senza la quale le possibilità di scelta rimangono derisorie», è altresì vero che al giorno d'oggi sempre più «la libertà sessuale resta dissociata dall'amore». Ciò significa che «il baluardo dei pregiudizi sessuali è stato superato, solo che questo dissimulava un pantano, prima insospettato, nel quale gli esseri rischiano di affondare». Ovvero il consumismo sessuale, licenziosità che nulla ha a che vedere con il libero amore. Anche i sovversivi, nella loro ricerca dell'Altro, hanno superato molti cosiddetti pregiudizi, affondando in un pantano affatto insospettato da cui pensano di uscire immacolati teorizzando la virtù delle mani sporche. Ovvero il consumismo d'alleanze, amicizia politica che nulla ha a che vedere con l'affinità. Qui come là, è l'effimero della situazione a prevalere.
E la distinzione fatta a proposito della possibilità che l'amore possa comunque farsi strada in mezzo a scialbe alternative, vale anche a proposito dell'affinità: «la licenza sessuale senza prospettive, al pari dei tabù più rigidi, può soltanto sminuire l'essere umano; ma mentre questi ultimi hanno talvolta il potere di mettere in moto le risorse umane, quella può soltanto sciuparle». L'astinenza, come il nichilismo, può sempre abbandonarsi sotto la forza del desiderio e andare finalmente verso il piacere dato dall'incontro con Altri. La volgarità, come il populismo, no. Si è già lasciata andare, ma nella maniera peggiore: sbracandosi, vendendo il piacere dell'amore per l'utile della marchetta. I suoi Altri sono solo clienti da accalappiare. Non si dà con generosità a degli sconosciuti, come vorrebbe (far) credere; fa affari con tutti, Nemici noti e dichiarati compresi. 
Proprio come l'amore descritto da questo poeta, anche la nostra ricerca dell'Altro è costretta «a impegnarsi in una lotta assolutamente impari con la società che la schiaccia». I progressi dell'alienazione sono tali da aver ridotto l'essere umano al rango di cittadino e consumatore. Ma l'angoscia della nostra solitudine non ci abbandona, mai. Dove sono gli Altri, questi esseri diversi, unici, né Identici né Simili, ma soprattutto mai Nemici (dato che «l'improvvisa rivelazione del valore complementare dell'oggetto amato deve essere reciproca»)? I complici sono come gli amanti: «Nelle attuali condizioni c'è anzi il rischio che passino attraverso l'esistenza senza riconoscersi o senza neppure aver modo di incontrarsi. Nulla sapendo l'uno dell'altro, si dovranno cercare a tentoni, in uno stato di disponibilità che moltiplica i rischi della loro ricerca».
Insensato chiudersi nella propria identità. Disgustoso battere le strade. Indispensabile essere asociali e talvolta persino antisociali – solo modo per difendersi da questa società. Ma l'intenzione è ben altra: «resistere a mille tentazioni per poi abbandonarsi a una soltanto». Allorquando ci si imbatterà in questo Altro che darà completezza alla nostra vita e che riconosceremo dopo averlo confrontato con quell'immagine che rechiamo dentro di noi, in un rifugio segreto e oscuro, «ricoperta di uno spesso velo di notte che si squarcerà di colpo in occasione dell'incontro».
Meglio giocare in una torre d'avorio che lavorare in un bordello di merda, senza dubbio. Ma è davvero questa e solo questa l'alternativa a nostra disposizione? O non è anch'essa uno di quei dualismi da cui questo mondo trae tutto il suo potere oppressivo?
 
[26/12/14]